domenica 12 dicembre 1999

Piazza Fontana. La verità su una strage

 
In occasione dell’anniversario della Strage di Piazza Fontana, a distanza di quaranta anni esatti, pubblichiamo l’interessante recensione di un libro scritto a quattro mani da Fabrizio Calvi - Fredéric Laurént, Ed. Mondadori, Milano 1997, pp. 342, (oggi praticamente introvabile) Lire 32.000, estrapolata dal n° 162 - Luglio 1999 della rivista “AVANGUARDIA”.


In merito alla strage del 12 dicembre 1969 è trenta anni che si scrive e ancora molto si discuterà, ma difficilmente si potrà giungere ad una «verità ufficiale» e a svelare i reali colpevoli, poiché lo Stato, attraverso le sue istituzioni, non potrà mai accusare se stesso.
Questo perché tra gli ideatori e i mandanti, un ruolo di primo piano viene ricoperto dai vertici istituzionali di questa Repubblica antifascista nata dalla resistenza, preoccupata solo ed esclusivamente di mantenere inalterati gli equilibri atlantici, funzionali alla strategia di controllo coloniale degli Stati Uniti d'America in Europa occidentale.
Lo stato di sovranità limitata veniva giustificato dalla salvaguardia dei valori dell'Occidente contro il pericolo rosso; ma oggi anche dopo aver assistito all'implosione del comunismo-marxista, che è franato su se stesso, la situazione non è mutata e lo stato di sudditanza coloniale permane più di prima.
Tra i molti libri scritti sull'argomento, l'opera di Calvi-Laurént risulta unica nel suo genere in quanto, per la prima volta, ci si avvicina ai reali centri di potere, più o meno occulti, che hanno operato dietro le quinte della strategia della tensione.
L'analisi di questi due autori, coadiuvata dal coraggioso e dinamico lavoro compiuto dal giudice Guido Salvini (ostacolato pure dai suoi stessi colleghi, tra cui la «toga di fango» Felice Casson), pone sotto accusa l'intero mondo del «neofascismo atlantico di servizio», che a parole tutto voleva distruggere per tutto ricostruire, ma nei fatti collaborava più o meno sottobanco con apparati di sicurezza italiani ed atlantici, strutturati in ambito NATO e primariamente dislocati presso la base FTASE di Verona.
L'ottimo libro, uscito nel 1997, ha subitaneamente colto la nostra attenzione, anche se per negligenza personale non abbiamo mai provveduto a redigerne una recensione, sicuramente elemento di integrazione e di contributo in favore dell'analisi di revisione del neofascismo sostenuta in questi anni da "Avanguardia" con la pubblicazione degli scritti di Vincenzo Vinciguerra.
A distanza di due anni, questo dovere si impone, anche per denunciare il fatto che il sopraccitato testo è misteriosamente sparito dalla circolazione, così come molti altri in passato recensiti o citati da "Avanguardia"; vedi i libri di Giovanni Preziosi, "L'antisemitismo moderno" di Joel Barromi e "Il capitalista nudo" di W. C. Skousen, "Le finanze del terrorismo" di Adam James e "I giorni di Gladio" di Bellu-D'Avanzo, così come "Rimanga tra noi" di Claudio Gatti.
Abbiamo personalmente riscontrato in diverse librerie (di Bologna e di Firenze, di Roma e di Siena, così come a Milano e Verona, Trapani e Palermo) l'assenza del libro, e, una volta informatoci presso alcuni centri di distribuzione non abbiamo ottenuto alcuna informazione precisa.
Nessuno sa se il libro è andato esaurito, se è stato posto fuori catalogo, se è stato tolto dal commercio dalla casa editrice; di certo vi è solo che non verrà mai ristampato. Fortunatamente abbiamo potuto recuperare pochissime copie presso piccole librerie, probabilmente estranee e periferiche al circuito di controllo della grande informazione.
Evidentemente l'analisi e la ricerca di Calvi e di Laurént ha toccato nel vivo, fin dall'inizio (è uno dei pochi libri che la Mondadori, al momento della pubblicazione, non ha pubblicizzato con una presentazione ufficiale), figure molto vicine ai centri di potere responsabili della strage del 12 dicembre 1969.
Ad emergere da quest'analisi è il ruolo preponderante di settori degli apparati dello Stato nello sviluppo della strategia della tensione; ruolo che non deve essere considerato come «deviazione», ma come normale esercizio delle proprie funzioni istituzionali, nell'arco di circa un ventennio.
Comparando questa strategia con un'analisi degli scenari di politica internazionale va tenuto conto che la posta in gioco era la difesa degli equilibri politici esistenti in Italia e il mantenimento del nostro Paese nel campo occidentale ed atlantico.
Quest'obiettivo doveva essere raggiunto attraverso la «guerra non ortodossa», una guerra che non prevedeva la conquista di territori, ma gli animi della popolazione che, spaventata ed atterrita da una escalation di attentati da attribuire alla sinistra, doveva ricercare rifugio e sicurezza nei garanti del potere atlantico ed occidentale. L'espressione «destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare l'ordine politico» rende esattamente l'idea di questa strategia, elaborata dai servizi segreti occidentali ed esposta in Italia nel 1965 al Convegno dell'Istituto Pollio, dove erano presenti uomini dei Servizi, rappresentanti degli Stati Maggiori e responsabili e militanti di movimenti neofascisti.
La strage di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi, doveva portate alla proclamazione dello stato di emergenza che avrebbe visto l'entrata in scena di forze pronte a realizzare un golpe sul modello di quello francese di De Gaulle o dei colonnelli in Grecia.
Tutto ciò non avvenne per dei motivi che restano ancora oscuri e ben celati, ma sicuramente per un repentino cambio di strategia e delle divergenze di visione presso alti vertici istituzionali italiani e atlantici.
Personalmente non ci interessa la responsabilità materiale di chi ha predisposto il piano, di chi ha preparato gli ordigni e di chi li ha depositati.
Non dobbiamo processare nessuno; nemmeno rivendicare la memoria dei morti rimasti coinvolti, pur se tutti civili innocenti.
Il nostro dovere rimane quello di compiere un'analisi politica che possa delucidare i rapporti tra la manovalanza neofascista, esecutrice delle strategie atlantiche, e gli apparati di sicurezza civili e militari coinvolti nelle operazioni; il tutto per una rivisitazione storica, ma soprattutto in nome di una battaglia che va al di là delle ideologie e degli opposti estremismi, e combattuta solo ed esclusivamente in favore della verità.
La strategia della guerra psicologia «non ortodossa» che lo Stato italiota aveva dichiarato ad una popolazione inconsapevole ed inerme veniva mediata dalle esperienze dell'OAS francese e messa in pratica da diverse organizzazioni più o meno occulte. Le dinamiche operative di queste organizzazioni si identificavano nei tre princìpi fondamentali:
1) infiltrazione a sinistra e creazione di gruppi extraparlamentari di orientamento maoista.
2) attentati da attribuire alla sinistra.
3) collaborazione militari e civili.
Ad orchestrare il tutto provvedeva una falsa agenzia di stampa di Lisbona, I'Aginter Press, guidata dal fantomatico Yves Guérin Serac, in stretto contatto coi servizi segreti occidentali e soprattutto con la CIA.
Braccio destro di Guérin Serac era l'ex-Waffen SS francese Robert Leroy, collaboratore della struttura NATO. La realizzazione delle strategie della guerra non ortodossa si concretizza inizialmente con l'infiltrazione a sinistra e la creazione di gruppi «nazi-maoisti».
Questo lo fa Robert Leroy, infiltrato nei movimenti filo-cinesi europei e molto vicino alla rappresentanza diplomatica della Cina a Berna, lo fa Mario Merlino, uomo di Stefano Delle Chiaie, che ritornato da un viaggio in Grecia si scopre improvvisamente anarchico; contemporaneamente la cellula padovana di Freda e Ventura entra in contatto con un certo Alberto Sartori, ex-comandante partigiano delle brigate Garibaldi, esponente di spicco del Partito Comunista d'Italia marxista-leninista (finanziato direttamente dalla CIA, la quale era a conoscenza dei nomi degli aderenti ancor prima della costituzione del movimento).
Questa strategia va ricondotta all'attività della CIA che in quell'epoca aveva lanciato «... una vasta operazione di controllo degli ambienti liberali e di sinistra americani (denominata MH-Chaos) che, in una delle sue ramificazioni (Project-2), prevede l'infiltrazione negli ambienti maoisti negli Stati Uniti e all'estero. Responsabile di tale operazione altri non è che James Jesus Angleton (intimo di Junio Valerio Borghese, N.d.R.), capo del controspionaggio della CIA e mentore americano di D'Amato». [1]
Ed in Italia è proprio D'Amato, a capo dell'Ufficio Affari Riservati del Viminale che elabora ed ordina I'«operazione manifesti cinesi» portata a compimento tramite Mario Tedeschi (agente del Counter Intelligence Corps) dagli uomini di Stefano Delle Chiaie.
D'Amato (non dimentichiamoci la sua sovrintendenza alla segreteria speciale Patto Atlantico e all'Ufficio di Sicurezza Patto Atlantico a Bruxelles, oltre alla presidenza onoraria del club di Berna) è un uomo-chiave per comprendere i retroscena degli «anni di piombo» ed in particolare per la strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, ove risulta ampiamente coinvolto l'Ufficio Affari Riservati del Viminale, così come emerso anche dalla dichiarazione del generale Aloja, capo di Stato Maggiore della Difesa alla fine degli anni '60: «L'attentato di Piazza Fontana è stato in qualche modo organizzato dall'Ufficio Affari Riservati del ministero degli Interni. Il SID si adoperò per coprire tutto». [2]
Subitaneamente, dopo l'attentato che avrebbe dovuto essere seguito da una manifestazione a Roma, doveva verificarsi la proclamazione dello stato di emergenza da parte del ministro dell'Interno Mariano Rumor, il quale però disattese le aspettative.
Questo cambio repentino lo rese aspramente inviso ai «neofascisti atlantici di servizio» che progettarono di eliminarlo, così come confermato da Vincenzo Vinciguerra: «Proprio nel giugno o nel settembre del '71 Zorzi mi propose di uccidere Mariano Rumor. E senza nessun acume psicologico, mi garantì l'appoggio della scorta del Presidente del Consiglio. Per uno che si considera in lotta contro lo Stato, di destra o di sinistra, sentirsi chiedere una cosa del genere, con l'appoggio della scorta, è quantomeno singolare«. [3]
AI rifiuto di Vincenzo Vinciguerra si tentò di ripiegare qualche tempo dopo con l'azione dell'«anarchico» del SID Gianfranco Bertoli (addestrato nei kibbutz sionisti) che lanciò una bomba davanti alla questura di Milano durante una visita di Rumor. Ritornando all'attentato del 12 dicembre 1969, secondo copione, le indagini vennero guidate immediatamente verso sinistra, più precisamente tra gli anarchici, tra cui come capro espiatorio fu carpito un certo Valpreda, del "Circolo 22 marzo", formato guarda caso da Mario Merlino. In un secondo momento si tentò di far ritrovare alcuni timers, della medesima tipologia di quelli utilizzati a Piazza Fontana, nei pressi di una residenza dell'editore di sinistra Feltrinelli.
Il supporto logistico a quest'operazione venne fornito dal gruppo milanese "la Fenice" di Giancarlo Rognoni, collegato con il gruppo di Ordine Nuovo del Triveneto, da cui provenivano i timers acquistati da Freda e destinati, secondo le sue deposizioni, ad un fantomatico e mai esistito capitano Hamid dei servizi segreti algerini. La pista esatta fu indicata da un rapporto del SID del 16-12-1969, reso noto solo recentemente ai magistrati, in cui venivano citati i nomi di Guérin Serac, Robert Leroy e Stefano Delle Chiaie.
In realtà il SID, in compagnia dell'Ufficio Affari Riservati del Viminale,e dell'Arma dei carabinieri, si adoperò alacremente affinché non venisse minimamente sfiorata ed ipotizzata la reale identità dei principali responsabili della strage, individuabili tra le fila dei servizi italiani e statunitensi in Italia. È la prima volta, grazie al lavoro del giudice istruttore Guido Salvini e all'opera di Calvi-Laurént che emergono alla luce i compromettenti e squallidi rapporti organici intessuti tra membri di Ordine Nuovo ed apparati di intelligence statunitensi.
Ordine Nuovo è «... una delle organizzazioni di destra caratterizzata dalle più vaste collusioni con gli apparati dello Stato e dalla presenza di elementi dipendenti o a vario titolo in contatto con i Servizi di Sicurezza. (...) Nonostante le proclamate finalità antiborghesi e anticapitaliste, si nota tuttavia intorno all'organizzazione un ritegno a portare l'attacco contro lo Stato come se dovesse comunque prevalere il ruolo di difesa dello Stato contro le forze della sovversione comunista, ruolo che comporta una ben precisa empatia con settori dei pubblici Apparati e con i fautori di uno Stato forte e semplicemente reazionario e non organico e nazista». [4]
Quando Pino Rauti ammette in alcune sue interviste che è probabile (sic!) che alcuni neofascisti siano stati manovrati dai Servizi di Sicurezza, non ammette che tutto ciò è stato possibile poiché a capo di questi uomini vi era lui, che fin dall'inizio coi servizi vi ha collaborato in maniera organica e ininterrotta. «Una collaborazione che risale all'estate del 1966, quando l'ammiraglio Henke assume la direzione del SID, che manterrà fino all'autunno del 1970. È a quest'epoca che Pino Rauti, allora capo di Ordine Nuovo, diviene uno dei principali informatori del servizio, anzi, uno dei più stretti collaboratori del suo capo». [5]
Agente del SID era anche Guido Giannettini, vicino alla cellula di Freda e Ventura, così come lo stesso Ventura, così come Gianni Casalini, facente sempre parte del gruppo di Padova. Il SID fu appunto la struttura che si attivò per depistare le indagini e proteggere i neofascisti, come palesato dall'operato del generale Maletti, ex-capo dell'Ufficio "D", e del suo vice capitano La Bruna, attivati per permettere la fuga a Freda e a Ventura dal carcere di Catanzaro.
Uomo vicino ai Servizi risulterebbe anche lo stesso Delfo Zorzi, indicato come esecutore materiale della strage.
Racconta Vincenzo Vinciguerra: «Un episodio centrale a riprova dei collegamenti fra elementi di Ordine Nuovo del Veneto e apparati dello Stato è rappresentato dall'arruolamento di Delfo Zorzi da parte dell'allora questore di Venezia Elvio Catenacci, così come me lo ha raccontato Cesare Turco. (...) Catenacci chiese quindi a Zorzi di scegliere di aderire a questa battaglia anticomunista alle dipendenze di un apparato dello Stato oppure no. Dagli avvenimenti successivi è ovvio constatare che Delfo Zorzi, pur restando ufficialmente un militante neonazista, si inserì nell'apparato informativo del Ministero dell'Interno (più precisamente in contatto con il viceprefetto Antonio Sampaoli Pignocchi, capo ufficio stampa del Viminale, N.d.R.)». [6]
Ancora Vinciguerra: "Ho sempre segnalato nel gruppo di Ordine Nuovo in Veneto la presenza di elementi inseriti negli apparati dello Stato. Rammento Delfo Zorzi e chiedo che sia approfondita la sua posizione anche alla luce della concessione, da parte del ministero degli Esteri, di un passaporto diplomatico». [7]
In ottimi rapporti con Zorzi era Carlo Digilio, agente CIA di stanza in Veneto, nome in codice Erodoto, specialista in armi e subordinato a Sergio Minetto, referente CIA per il Triveneto. Di questo ambiente facevano parte anche Marcello Soffiati e il professor Lino Franco, uomo della CIA ed elemento del gruppo Sigfried. Questi personaggi erano contemporaneamente militanti delle organizzazioni di estrema destra e agenti della CIA. Nel primo ruolo partecipavano all'organizzazione degli attentati, nel secondo scrivevano diligentemente le relazioni di servizio. Un ruolo preponderante di collegamento civili-militari in ambito NATO fu ricoperto dai Nuclei di difesa dello Stato, organizzati dallo Stato Maggiore dell'Esercito, come organizzazione paramilitare clandestina organica alla rete Gladio, con l'obiettivo di impedire l'espansione comunista e in caso di atto di forza comunista o di conflitto militare con i sovietici, costituire l'ossatura della resistenza. Per questi compiti furono appunto arruolati, a fianco dei militari, elementi di estrema destra, di sicura fede anticomunista, così come auspicato dalla direttiva del generale Westmoreland emanata nel 1963 quando secondo la quale «il comunismo doveva essere fermato ad ogni costo, in Italia furono formate le Legioni dei Nuclei di difesa dello Stato e la scelta strategica fu quella di contattare ed avvicinare, ad opera della rete informativa americana, tutti gli elementi di destra che fossero in qualche modo disponibili a questa lotta e coordinarli». [8]
Ora, alla luce di quanto analizzato molti altri elementi potrebbero fungere da supporto a quanto da sempre il mensile "Avanguardia" continua ad affermare, ovvero che la strage di Stato del 12 dicembre 1969 vede responsabili I'Aginter Press, un'agenzia di copertura della CIA; l'Ufficio Affari Riservati del Viminale, quindi il ministero degli Interni, I'Ufficio "D" del SID e l'Arma dei carabinieri, con competenze di depistare le indagini successive alla strage, ma soprattutto, ed è quello che vogliamo maggiormente evidenziare, la partecipazione di esponenti del «neofascismo atlantico di servizio», legati alla cellula Veneta di Ordine Nuovo, ligi ad espletare le strategie approntate in ambito NATO e presso i servizi di sicurezza occidentali.
Manuel Negri

Note:
1) Calvi-Laurént, "Piazza Fontana. La verità su una strage", Mondadori 1997, p. 106;
2) A. e G. Cipriani, "Sovranità limitata", Ed. Associate, Roma 1991, p. 121-122,
3) "Lo stragismo di destra al servizio dello Stato e dei servizi segreti", di M. Notarianni, su "Liberazione" del 25 marzo 1997;
4) Calvi-Laurént, op. cit. pp. 30-31;
5) ibidem, p. 127;
6) ibidem, p. 55;
7) cfr. il "Resto del Carlino" del 17 giugno 1997;
8) Calvi-Laurént, op. cit. pp. 273-274.