sabato 27 marzo 2004

Paradisi e inferni




Graziano Dalla Torre

 «... repentini spostamenti di fondi che generano crisi di instabilità anche politica, dovendosi riscontrare spesso la rovina o il grave danno subito da decine di migliaia di piccoli risparmiatori che si ritrovano di colpo a non potere più disporre dei propri risparmi ...»


È ormai consuetudine che ogni mese, dalle pagine di "Avanguardia", si commentino gli avvenimenti maggiormente rimarchevoli di politica interna, di economia e società e quant'altro. I noti eventi legati al caso Parmalat hanno però, tra le altre cose, puntato fugacemente il riflettore su quel mondo sommerso e defilato costituito dalle piazze finanziarie "offshore". Questa espressione, che deriva dal linguaggio della marineria, può essere tradotta con «al largo, in alto mare, lontano dalla costa» ma nel caso che ci interessa si può parlare piuttosto di un qualcosa che è «fuori giurisdizione». Ovvero le attività finanziarie e bancarie condotte da aziende o persone fisiche al di fuori della nazione di appartenenza, al fine di beneficiare di particolari legislazioni che in molti Stati tendono a limitare od annullare l'imposizione fiscale sulle persone e soprattutto sulle aziende e le società, incentivando in questo modo la concentrazione di grossi capitali.
Su questo tema che continua ad essere di straordinaria attualità oggi come venti o quaranta anni fa la casa editrice malatempora (alla quale rinnoviamo la nostra stima anche e soprattutto per il coraggio dimostrato nel rapportarsi lealmente con la nostra Comunità nonostante la -per taluni versi- opposta concezione del mondo e dell'uomo) che ha pubblicato un libretto dal titolo "Paradisi fiscali. Uno scippo planetario" [1] che mira, pur senza pretese specialistiche, a conferire una panoramica di insieme su questo aspetto scandaloso del capitalismo contemporaneo.
Certamente la materia in se stessa appare altamente specialistica, ma anche noi -aiutandoci appunto con il testo citato- possiamo perlomeno formarci un'idea sulla portata reale di questo «scippo planetario».
I principali utilizzatori e beneficiari della finanza offshore sono diversi, ma principalmente (ed ovviamente) vi figurano i grandi evasori od elusori fiscali; spesso si tratta proprio di persone fisiche ricchissime (pensiamo a personaggi dello spettacolo, dello sport, industriali, professionisti) ma naturalmente la parte del leone la giocano le società multinazionali. Gli enormi profitti possono essere così riutilizzati, al riparo di tassazioni di sorta, al fine di creare altro danaro.
Altra componente fondamentale è costituita dalla criminalità organizzata che aspira a riciclare i proventi delle attività generalmente illegali in quasi tutto il mondo (traffico di droga in primis, ma anche commercio clandestino di armi o di organi umani, di schiavi o di rifiuti tossici) al fine di ricreare attività legali.
Da non dimenticare infine i proventi della corruzione politica e partitica che sia nelle democrazie che nei regimi dittatoriali provvede alla rapina delle risorse e ricchezze nazionali per concentrarle nelle mani di poche famiglie.
Queste quantità inimmaginabili di danaro vengono trasferite su più conti bancari e successivamente spostate con più operazioni da un conto a un altro, da una banca a un'altra, il tutto al fine di rendere difficile se non impossibile risalire alle origini del danaro stesso. Queste enormi somme ricompariranno infine per essere riutilizzati in operazioni legali in tutto il mondo.
I nomi dei territori che -in ogni parte del mondo- hanno scelto di supportare questa prassi sono a volte noti, altre volte meno: Andorra, Monaco-Montecarlo, San Marino, Svizzera, Liechtenstein, Gibilterra, Lussemburgo, Panama, Belize, Malta, Hong Kong, Bermuda, Cayman... Quasi tutti i residui territori coloniali britannici hanno una economia strutturata al fine di garantire un sistema bancario e finanziario agevolato; addirittura lo stesso dicasi di parti del territorio metropolitano britannico, come l'isola di Man o le Channel Islands (nel Canale della Manica) che però per antiche convenzioni risultano formalmente autonomi e soggetti direttamente alla Corona. Altri Stati si sono affacciati solo recentemente alla ribalta internazionale della finanza «deregolata»: Slovacchia, Repubblica Ceca, Albania, Moldavia... Possiamo immaginare come queste terre stiano diventando sempre più zona franca per la feccia criminale mondiale!
In alcune piccole isole del Mare dei Caraibi sono presenti un numero di società registrate quasi pari al numero degli abitanti; secondo il nostro testo nelle Cayman Islands, ad esempio (35.000 abitanti), figurano 20.000 società e 575 banche, di cui solo 106 con una qualche presenza fisica, che amministrano 438.000 milioni di dollari USA...
Ma anche l'Italia del nuovo corso sta cercando di proporsi, a livello mondiale, come luogo sicuro per svariati maneggi internazionali: si considerano l'abolizione del reato di falso in bilancio e l'abolizione della tassa di successione; inoltre è in corso un programma di incentivo al rientro di capitali esportati illegalmente all'estero nel passato, al fine dichiarato di ricuperare ricchezze da utilizzarsi in investimenti produttivi. Ma in realtà è ipotizzabile pensare che si possa mettere in moto, complice l'anonimato garantito da tale normativa, un meccanismo atto alla sempiterna trasformazione dei capitali illegali di varia natura in capitali legali. Gli avvenimenti più recenti inoltre hanno dimostrato come possano verificarsi repentini spostamenti di fondi che generano crisi di instabilità anche politica, dovendosi riscontrare spesso la rovina o il grave danno subito da decine di migliaia di piccoli risparmiatori che si ritrovano di colpo a non potere più disporre dei propri risparmi senza nemmeno la possibilità di impostare una adeguata difesa locale. È anche successo in Italia, è successo (con ben più gravi conseguenze) in Argentina, è successo negli Stati Uniti con il caso Enron. Non vi è del resto da stupirsene, conoscendo il modus operandi ed il modus vivendi dei Signori malefici della finanza annidati nei santuari sparsi nei cinque continenti, uno dei quali -tra i più rilevanti- è proprio la City di Londra, quella Londra del laburista Tony Blair che ben si è guardato dall'interferire con questi potenti vicini e ... padroni.
Sbaglia chi crede che tale sistema possa essere riformato e controllato. Una nuova economia può nascere soltanto da una forte volontà politica assolutamente alternativa al vecchio sistema.
Se ne traggano le conseguenze.
 
Graziano Dalla Torre