mercoledì 26 maggio 2010

L'antigiudaismo nella letteratura cristiana antica e medievale

da "Avanguardia" n° 210 - Luglio 2003




Gianna Gardenal


Editrice Morcelliana, Brescia 2001, pp. 340, euro 17,00

Uno degli scopi principali che si prefigge Bernardino è quello di far risaltare da un lato la malvagità e la nefandezza di Giuda e dei giudei, in generale di tutti i giudei, dall'altro la mansuetudine, la dolcezza, ma anche la fermezza di Cristo...

Nella articolazione d'una consapevole contrapposizione al giudaismo, diretta contro all'idea di sfruttamento ed alla ellitticamente parallela instaurazione di un nuovo ordine mondiale, fondato sui poteri della sinarchia universale e dominato dall'Alta Finanza ebraica, uno spazio considerevole occupano le radici antigiudaiche del cristianesimo primordiale.

In realtà, lo studio dei testi scritti dai Padri del cristianesimo, l'approfondimento dell'esegesi cristiana sin dal Vangelo di Giovanni e Matteo, dirigono ad una notevole comprensione sulla portata del fenomeno giudaico che la Chiesa, essenzialmente nei primi secoli dalla sua nascita, condannò tenacemente. Il volume della Gardenal offre -seppur l'autrice rigetti l'antigiudaismo così come l'avversione verso gli ebrei- degli interessanti e documentati spunti, prioritariamente teologici ma anche letterari, storici e filosofici, utilissimi per l'approfondimento e lo studio della questione giudaica, ricordiamo, a nostro giudizio, imprescindibile per la conoscenza dell'evolversi dello spirito capitalistico, dal quale trae essenza la moderna opera capitalistico-borghese. Gli spunti documentaristici trattati nel volume traggono origine dalla nascita del cristianesimo fino al XIV secolo, attraverso la tarda latinità e gli inizi dell'anno mille.

Giustino e San Giovanni Crisostomo, Santo Stefano e Tertulliano, Sant'Ambrogio e San Bernardo di Chiaravalle, Sant'Agostino e San Bernardino da Siena, Giovanni di Capestrano e Cesarie di Heisterbach, porgono, nella loro opera patristica, suggellata da più differenziazioni, una monumentale ed originale testimonianza sulla contrapposizione al «perfidie Iudaeis», deicida, bestemmiatore e calunniatore di Cristo e della Madonna, idolatra e profanatore dell'ostia sacra. Questo popolo reietto, sempre secondo la teologia cattolica, veniva anche accusato di commettere omicidi rituali ai danni dei cristiani.

Il giudeo originò, così come riportato dalla esegesi cristiana tradizionale, la pratica dell'usura, al fine di accaparrarsi attraverso il prestito i beni dei gentili, frutto del lavoro e della fatica. La perfidia giudaica materializzata con l'usura venne sottolineata nel IV Concilio Laterano del 1215 ove si sostenne: «Quanto più la religione cristiana viene oppressa dalla riscossione del denaro prestato a usura, tanto più gravemente la perfidia giudaica diviene prepotente, tanto che in breve tempo le ricchezze della chiesa si esauriranno». Mentre per San Bernardino da Siena, il quale nei suoi testi si interessò alla questione economica come al commercio cercando di darne anche dei risvolti etici, nel Sermone XLIV della sua "Opera omnia" scrisse un verso più che mai profetico: «Gli usurai sottraggono il pane dalle mani degli affamati e dei fanciulli, l'acqua dalle mani degli assetati, la casa e l'alloggio a chi non ne ha uno, gli indumenti dal corpo di chi è nudo, fanno ammalare i sani, cacciano in prigione i liberi e, come lupi voraci, si affannano a saziarsi della carne dei miseri».

È con la progressione della città e nella città che il giudeo diviene attivo e ciò costituisce per Bernardino una vera e propria rovina. Il santo e teologo senese oggi sarebbe senz'altro d'accordo nel proferire tali giudizi all'indirizzo del Mondialismo, al potere della banca e del liberismo.

Nel testo l'autrice correttamente parla di antigiudaismo e non di volgare e pretestuoso antisemitismo. Poiché quest'ultimo assume connotati teologici, culturali e popolari che nulla hanno a che fare con dei pregiudizi biologici, materialisti e positivisti a danno di un insieme di popoli che, nel corso di centinaia di anni, così come avviene ancor oggi, hanno dovuto subire e stanno subendo l'imperialismo giudaico-sionista.

Popoli che, dall'Algeria all'lrak, hanno avuto modo negli anni '30 e '40 di inneggiare alla vittoria politico-militare del III Reich nazionalsocialista, per liberarsi dalle pesantissime catene dell'oppressione coloniale e mercantilistica giudeo-plutocratica. Avventurarsi su questo tema però ci porterebbe fuori dalla struttura portante della presente recensione libraria.

In più bisogna aggiungere, per correttezza, che il termine «semita» fece la sua comparsa soltanto verso la fine del Settecento per «indicare appunto le lingue del gruppo semitico».

Le origini dell'avversione cristiana al giudaismo possono esser fatte risalire a Paolo, il quale rimproverava agli ebrei di non riconoscere il Cristo e nella "Epistola di Barnaba" giudicava negativamente la Legge e le norme giudaiche, negandone il valore dei sacrifici e dei rituali. «Certamente -afferma la Gardenal (pag. 22)- in questi brani dell'Epistola di Barnaba sono già contenuti i nuclei fondamentali che si troveranno combinati in vario modo nelle opere della polemistica antigiudaica e che si basano sulla centralità assunta dalla cristologia, nei tre aspetti della passione, della morte e della resurrezione di Gesù Cristo (...) Da questa impostazione cristologica derivano tre conseguenze: 1) la critica della Legge mosaica e in particolare delle prescrizioni rituali; 2) la dimostrazione del rifiuto di Israele e della chiamata dei gentili; 3) la nascita di una nuova Alleanza e di un nuovo Israele».

Da quel momento numerosi furono i Padri della chiesa, poeti e trattatisti, che misero a disposizione le proprie conoscenze teologiche e filosofiche, mischiate ad una buona dose di saggezza, per combattere i nemici della nuova fede: prima in un atteggiamento difensivistico (Giustino), mentre in un secondo momento furono usati toni sempre più aggressivi -centrale risulta l'opera di San Giovanni Crisostomo- per contrastare l'avanzata della sovversione giudaica, allora come adesso sempre prepotente e preponderante. L'avversione al giudaismo venne caratterizzata in omelie ed opere poetiche, sermoni e dal genere degli "Adversus ludaeos": un'opera di impianto polemico ed apologetico, originata da Tertulliano, «che nel corso del Medioevo divenne genere letterario assai diffuso e coltivato, basilare per il confronto con gli ebrei, popolo prima avversario, poi nemico». (cfr. pag. 41)

Tertulliano tende a mostrare tutta la malvagità del popolo ebraico culminata nel tradimento verso Dio, attraverso l'uccisione di Cristo e puniti per questo con la distruzione del tempio, con la cacciata da Gerusalemme e condannati all'esilio perpetuo. Un popolo, infine, sostituito da Dio con quello cristiano. L'avversione al popolo di Giuda portò persino Eusebio, vescovo di Cesarea e collaboratore dell'Imperatore Costantino, a salutare compiaciuto la conquista di Gerusalemme da parte delle Legioni Romane, sotto il comando dell'Imperatore Adriano. Sant'Ambrogio, figlio dell'aristocrazia romana e poi Padre della chiesa, elevò il tono della contrapposizione verso i precetti talmudici; per esso il rispetto a favore dei giudei sarebbe stato contrario alla professione del cristianesimo. Per il vescovo di Milano il popolo giudaico è «... perduto, spirito immondo, preda del diavolo anche all'interno del suo tempio sacro, la sinagoga: anzi la stessa sinagoga è ormai sede e ricettacolo del demonio che stringe entro spire serpentine tutto il popolo giudaico». [1]
I toni antigiudaici all'interno delle scritture cristiane si profondono maggiormente con Giovanni Crisostomo, "Padre della Chiesa d'Oriente". Nato ad Antiochia nel 344 scrisse le "Omelie contro i giudei". [2]
Nelle otto omelie, afferma la Gardenal «il predicatore insiste nel voler dimostrare di quali nefandezze, di quali vizi, di quali peccati fossero colpevoli i giudei, e perciò come fossero gentaglia spregevole. Queste Omelie contengono i capi d'accusa, alcuni dei quali erano già stati delineati da Tertulliano e da Ambrogio, che andranno a formare l'armamentario antigiudaico lungo parecchi secoli, ma con toni sempre più esasperati e violenti».
La veemente contrapposizione di Giovanni Crisostomo ai seguaci del Talmud (personalmente, invece non condividiamo i toni di quella diretta alla solare figura dell'Imperatore Giuliano, il quale ripristinò il culto degli Dèi, quindi la primordiale saggezza e tolleranza della civiltà classica, nuocendo così, a detta dei cristiani, all'espandersi della nuova religione) emerge in un periodo delle Omelie (1, 6, p. 48, 853), riportato dall'autrice. Afferma questo Padre della Tradizione cristiana: «(i giudei) come gli animali, anzi più feroci di loro: mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità. Non superano forse nel libertinaggio gli animali più lubrichi? Ad esempio, ciascuno nitrisce dietro la donna del suo vicino (...) Il profeta espresse la insania della loro libidine con una parola che si riferisce agli animali».
Un'altra figura centrale della Chiesa che si interessò alla questione giudaica fu Sant'Agostino; al problema dedicò parecchie opere, tra le quali l'"Adversus Judaeos" e il "De Civitate". Pur se in Agostino non figurano toni parecchio esacerbati e violenti, nella sua missione emerge la villosa presenza degli ebrei accusati di avversare la nuova fede, di osteggiarne il percorso; le disgrazie patite dagli ebrei attraverso la diaspora e le loro sciagure rappresentano, quindi, per Agostino, la testimonianza della «validità della religione cristiana e dunque la giustezza della nuova interpretazione delle Sacre Scritture». Agostino accusa i giudei di aver crocifisso ed ucciso Cristo, sottolineando la perfidia di questa gente oramai segnata per la vita d'un crimine funesto, così come toccò a Caino. Il Nazareno patì delle tremende sofferenze a causa della malafede dei giudei ed Agostino sottolinea i particolari di questo permanente peccato mortale, affermando: «... i giudei lo tengono prigioniero, i giudei lo insultano, i giudei lo legano, lo incoronano di spine, lo disonorano con gli sputi, lo flagellano, lo coprono di ingiurie, lo appendono alla croce, lo trapassano con una lancia, alla fine lo seppelliscono». L'opera teologica di Sant'Agostino traccia anche una netta divaricazione tra cristiani ed ebrei; una cesura dettata dalla esigenza dello Spirito, in riferimento alla comune discendenza da Abramo. Per gli ebrei una origine carnale e non originata dalla Fede, così come i cristiani, verso Dio. «È la stirpe dei giudei che trae origine dalla sua carne -scrive Agostino-, non la stirpe dei cristiani: noi discendiamo da altre genti e tuttavia imitando la sua virtù, siamo divenuti figli di Abramo. (...) Noi siamo dunque fatti discendenti di Abramo per grazia di Dio. Dio non fece suoi eredi i discendenti carnali di Abramo. Anzi questi li ha diseredati per adottare quegli altri». [3]
A seguire l'esperienza degli scritti dei Patri della chiesa, nella tarda latinità la contrapposizione ai giudei fu continuata nei versi di alcuni poeti; è il momento storico ove assumeranno una particolare importanza i Carmina Burana.
Giovenco, Commodiano e Prudenzio, Sedulìo Celio, nei loro poemi evidenziano tutta l'ingratitudine, la testardaggine, l'infamia, la crudeltà e la superbia del popolo giudaico. «Sparisca la Sinagoga coi suoi cupi colori / Cristo ha unito a sé la Chiesa nell'amore» in questa maniera si esprimeva Sedulio Celio nei versi del Paschale Carmen. «La serie di epiteti -scrive la Gardenal (cfr. p. 107)-: torvo, minaccioso, violento, crudele, terribile, popolo privo di lealtà, costantemente feroce, si trasforma in una designazione archetipica dei tratti perenni affidati ai figli dell'Alleanza dall'antigiudaismo».
La polemistica antigiudaica testimoniata da questi autori ebbe momenti di straordinaria attualità centinaia di anni dopo: nel Medioevo, nell'Umanesimo e persino nel Rinascimento. Intorno all'anno mille la letteratura antigiudaica fu arricchita da una miriade di opere scritte in tutta Europa da teologi e non. In questo momento prende corpo la nota "Pro Perfidis ludaeis", una preghiera che la chiesa dedicava nel giorno del venerdì santo agli ebrei ove «L'intercessione per gli infedeli che dapprima doveva caratterizzare il perdono del cristianesimo, assunse presto toni sempre più antiebraici. Le accuse e gli epiteti spregiativi erano solennizzati dalla preghiera e dal canto che li accompagnava ...». La perfidia giudaica viene sempre più sottolineata dalla chiesa cristiana man mano si allarga il prestito ad usura praticato dagli ebrei e trova il culmine col Concilio Laterano IV del 1215, attraverso il quale vengono poste delle sostanziali restrizioni agli ebrei: persino l'obbligo di portare un contrassegno che li distinguesse dal resto della popolazione, oltre al divieto di prender parte ai pubblici uffici.
Con le Crociate e nel mezzo di esse l'antigiudaismo cresce all'interno della Chiesa, del suo popolo e della sua letteratura. La massima avversione la si riscontra in Pietro il Venerabile, abate di Cluny («... Dio non volle che fossero uccisi ma che come Caino sopravvivessero in una condizione di vita peggiore della morte ...»); a suo giudizio il Talmud, il testo sacro del popolo giudaico, è la prova inconfutabile che essi sono un popolo di «bestie che nulla capiscono». Il contenuto del Talmud, per i cristiani, bestemmia e deride Gesù e Maria, comprende dei passi blasfemi su di essi ed in più bestemmia lo stesso Dio.
Con il XII e XIII secolo l'interesse della chiesa fu rivolto agli usurai, verso coloro i quali opprimevano il popolo attraverso il prestito ad usura; in quest'attività un ruolo centrale svolgevano gli ebrei, ma anche dei cristiani. L'Italia in quel periodo vide una moltitudine di ebrei che, cacciati da Francia, Spagna e Germania, iniziarono all'interno del suo territorio la loro attività versus la Legge di Dio. Le prediche di San Bernardino, di Giacomo della Marca, di Giovanni da Capestrano e di Bernardino da Feltre ebbero un ruolo significativo nella denuncia della abominevole attività.
Singolare e centrale, a nostro giudizio, è la figura di Bernardino Albizzeschi il quale coniugò la fede e la predicazione al problema della ricchezza, del commercio, dello scambio di merci e di denaro, oltre che all'usura. «Pur se fu un oratore popolarissimo -afferma la Gardenal- noto soprattutto per le prediche in volgare, dettate spesso da un grande senso della concretezza, animate da un linguaggio vivace in grado di sollecitare l'attenzione del pubblico, Bernardino fu un frate di notevole dottrina politico-economica e amministrativa. Lo confermano del resto ... i testi latini scritti di suo pugno. I più importanti sono il "De christiana religione" e i "Tractatus de contractibus et usuris", sermoni concernenti i problemi dell'etica economica. (...) Uno degli scopi principali che si prefigge Bernardino è quello di far risaltare da un lato la malvagità e la nefandezza di Giuda e dei giudei, in generale di tutti i giudei, dall'altro la mansuetudine, la dolcezza, ma anche la fermezza di Cristo».
San Bernardino «Da un lato afferma che l'usura è soltanto conseguenza della cupidigia e che dunque l'usuraio disprezza sia la legge di natura, sia quella delle Scritture, sia infine quella della Chiesa: tutte queste Leggi si oppongono all'usura; dall'altro lato ammette l'esercizio della mercatura, purché sia di pubblica utilità e si trasformi in una socialità della vita economica; così l'attività economica assume anche un connotato etico». [4]
Inoltre, Bernardino descrive minuziosamente la passione di Cristo, l'interrogatorio nel Sinedrio, il processo davanti a Pilato ove il governatore non trova indizi per condannarlo («lo, che sono gentile di nascita ... e cittadino romano, non trovo motivo di infliggere la pena di morte a costui che avete consegnato nelle mie mani»), sottolineando il ruolo pervicace dei giudei nel volerne la crocefissione e la morte. La malvagità degli ebrei nei confronti del Cristo trova per San Bernardino il suo centro, la sua valenza simbolica, nell'episodio dell'aceto; quando Cristo disse di aver sete gli fu offerto la prima volta vino mescolato a fiele e la seconda volta dell'aceto. Per Bernardino l'aver dato gli ebrei dell'aceto a Cristo non è una casualità, bensì il fondamento diabolico e un'astuta cattiveria per infliggere maggiori sofferenze al Crocifisso.
In millequattrocento anni si snoda, quindi, attraverso prediche, letteratura, prosa, un percorso teologico che vede la nascente chiesa cristiana contrapporsi agli ebrei, con una serie di accuse contornate dal sacro, dal mito, dalle fede e dalla interpretazione dei Vangeli. Un percorso che nei secoli viene man mano oscurato dalle crescenti infiltrazioni ebraiche nella teologia e nel rito cattolico e che trovano il suo apogeo, nel 1965 con il Concilio Vaticano II, ove Papa Paolo VI frantumerà i fondamenti teologici dell'identità antiebraica radicati nella Chiesa cattolica nel corso della sua storia. Alla fine degli anni Ottanta, Giovanni Paolo II condurrà definitivamente la Chiesa cattolica nell'alveo del giudaismo, affermando davanti al Gran Sinedrio ebraico della Sinagoga di Roma: «La religione ebraica non ci è estrinseca. Essa è intrinseca alla fede cristiana».

Abbiamo recensito questo volume, giudizi sul dogma dell'olocausto a parte, dato che l'autrice afferma che il presente libro è nato «dalla curiosità speculativa, accompagnata da un'assoluta non comprensione per lo sterminio di sei milioni di ebrei», poiché riteniamo il cattolicesimo tradizionalista ed anticonciliare, al pari delle altre forme religiose e nel rispetto delle peculiari identità, un qualificato apporto di pensiero confluente all'interno del Fronte culturale antimondialista.
Anche all'interno del progetto politico-culturale di alternativa rivoluzionaria al Sistema denominato "Eurasia-lslàm", delineato negli anni dal nostro mensile, esso costituisce e ha costituito un qualificato apporto di pensiero nel fronte comune contro la sovversione. Del resto, nell'estate del 1993, non raccogliemmo personalmente, per via di un lungo colloquio telefonico, l'entusiasta disposizione alla collaborazione ad "Avanguardia" da parte di Don Curzio Nitoglia, attraverso la pubblicazione di articoli tratti anche da "Sodalitium"? Disponibilità manifestata ancora durante un incontro nella capitale tra il prelato ed ex collaboratori di "Avanguardia". Collaborazione venuta meno in un secondo momento dato che Don Curzio ritenne di non poter collaborare con un periodico Nazionalsocialista e filo-islamico, come se al momento della sua «entusiastica accettazione» "Avanguardia" non lo fosse. O furono gli strattoni dati dagli ebrei alle cancellate dell'Istituto "Mater Boni Consilii" di Verrua Savoia, dopo una celebre puntata della rubrica televisiva "Sorgente di vita", a far retrocedere Don Curzio dal suo intento iniziale?
Non s'allarmi, Don Curzio! Del resto anche noi, dopo una puntata della rubrica sopradetta, andata in onda nello scorso novembre 2003, siamo stati oggetto (o soggetti...?), con Husseyn Ugo Lazzara, di più perquisizioni poliziesche (casa, ufficio ed autovettura) e di un avviso di garanzia con ben quattro ipotesi di reato. Ciò dopo che l'ebreo Enzo Campelli dell'Università La Sapienza di Roma, al termine del programma televisivo, aveva invocato e ordinato per via etere agli organi repressivo-polizieschi della colonia italiota provvedimenti penali per "Avanguardia". In realtà, ciò è avvenuto il 31 marzo 2003...
«E quando si vedono -scrive Julius Evola- i cattolici di oggi respingere i "residui medievalistici" della loro tradizione, quando col Concilio Vaticano II e nei prolungamenti di esso sono state apportate forme distruttive di "aggiornamento", quando si vedono papi indicare nell'ONU -in questa ridicola associazione ibrida e bastarda- quasi la prefigurazione di un futuro ecumene cristiano, circa la direzione nella quale la Chiesa oggi appare trascinata non possono esservi dubbi, e la sua capacità di fornire un qualsiasi sostegno ad un movimento rivoluzionario-tradizionalista va recisamente negata». [5]
Anche se, afferma sempre Evola «Storicamente il cristianesimo puro, come è noto, è stato in larga misura contemperato e rettificato nel cattolicesimo mediante l'aggregazione e l'assimilazione di princìpi di origine diversa, soprattutto romana e classica, il che appare nello stesso dominio teologico nel caso del tomismo, il quale sarebbe inconcepibile senza l'aristotelismo. Proprio a ciò si deve il fatto che nel passato, e soprattutto nel Medioevo, la Chiesa romana ha potuto esercitare una certa influenza tradizionalmente formatrice». [6]

Leonardo Fonte



Note:

1] Ambrogio. "Expositio Evangelii secundum Lucam", 4, 61, CChr14, 128; cit. cfr. p. 51;

2] San Giovanni Crisostomo, "Omelie contro i giudei", C.L. Sodalitium, Verrua Savoia (TO) 1997;

3] S. Agostino, Commento su Giovanni. Discorso XLII. 5; cit. in "Conclusione dell'introduzione al problema ebraico", di Don Curzio Nitoglia, su "Sodalitium", n. 50 del novembre 1999, p. 8;

4] vedi il testo recensito pp. 253, 281;

5] Julius Evola, "Gli uomini e le rovine", Edizioni Mediterranee, Roma 2001, p. 156;

6] ibidem, p. 157.