giovedì 28 giugno 2001

La disintegrazione del Sistema

da "Avanguardia" n°185 - Giugno 2001

F. G. Freda
Edizioni di Ar, Padova 2000, pp. 192, lire 25.000

A distanza di trentadue anni dalla sua pubblicazione, è ancora attuale la valenza rivoluzionaria in chiave antisistemica de "La disintegrazione del sistema". Lo affermiamo, pur dovendo nutrire delle forti perplessità sui moventi della sua stesura, compiuta in un contesto socio politico influenzato dalle perverse logiche della strategia della tensione. Lo scritto di Freda apparve (è stato un caso?) negli anni in cui i servizi di sicurezza atlantici, dopo la riunione del “club di Berna”, organizzazione che raggruppava i servizi segreti occidentali - la presidenza onoraria fu affidata al defunto e non compianto Umberto Federico D’Amato, responsabile dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale ed intimo di James Jesus Angleton, numero uno dell’OSS -, pianificarono in funzione antisovietica la strategia di infiltrazione a sinistra creando dei gruppi «revisionisti» filocinesi definiti «nazi-maoisti», alimentando e creando ex-novo una sinistra extraparlamentare con l’obiettivo di indebolire il PCI. Tra gli «amici» di Freda, si prestarono a questo «gioco» Claudio Mutti e Claudio Orsi, in quel di Parma. Non ci spieghiamo nemmeno i perché della costituzione da parte di Freda di un movimento xenofobo quale il Fronte Nazionale, la cui prassi politica si delineava in netto contrasto con i postulati dottrinari esposti ne "La disintegrazione del sistema".

Ma, al di là di questo, noi riteniamo che il significato essenziale sovra-individuale di ogni opera travalichi il valore esistenziale individuale dell’autore. La disintegrazione, infatti, è la coerente proiezione politica rivoluzionaria «dedotta» dai princìpi tradizionali e dai «canoni» di comportamento individuale «pre-destinati» all’uomo differenziato ed esposti da Julius Evola in "Cavalcare la tigre". Lo scritto di Freda è l’agile e incisivo breviario di lotta rivoluzionaria per ogni soldato politico che intenda affrontare attivamente il nichilismo contemporaneo con l’intenzione di portarsi oltre il punto zero dei valori, oltrepassando il «valico» epocale che prelude alla futura restaurazione tradizionale. Freda traduce -per la prima volta- la radicale «alterità» delle categorie metafisiche del mondo della Tradizione, nel quadro di una prassi politica di lotta al Sistema per l’annientamento del Sistema. Egli proporrà una prospettiva politica volta a realizzare la totale mobilitazione del fronte antisistema entro unitarie linee di condotta operativa. Questo tentativo, benché formulato nel 1969, durante gli anni della «contestazione» giovanile, non risulta datato, anzi custodisce inalterato il suo oggettivo valore di lucida ed elastica proposta rivoluzionaria.

Secondo l’Autore, la razza interiore giudeo-borghese rappresenta la sintesi antropologica individuale «elaborata» alla dinamica interazione etico-sociale intervenuta fra la forma mentis giudaica e le illimitate potenzialità espansive dell’unità sociale borghese. Gli effetti «epidemici» dell’infezione mercantile, «scanditi» secondo i moduli dell’omologazione onnicomprensiva, hanno infatti inesorabilmente contaminato le masse dell’Occidente sionista, le quali hanno costituito, a loro volta, la base di «decantazione» da cui è «fermentato» il processo di «distillazione» sociale dell’oligarchia plutocratica, strutturalmente organizzata nei presidî istituzionali del partito unico della borghesia. Al di là delle istituzioni sistemiche (e non statuali ...), la forza aggregante dell’oligarchia plutocratica risiede nella incontrollata efficacia di condizionamento massificante che procede dalla mentalità mercantile e dai suoi modelli di comportamento, i quali, avendo ormai trasceso l’originario ambito razziale e sociale (ebraismo e borghesia) di provenienza, sono «straripati» sulla quasi totalità della società civile. La borghesia è prima di tutto una mentalità -e su questo siamo d’accordo; ma non è solo «questo», poiché essa si esprime simultaneamente anche nella detenzione del potere e del privilegio da parte di stratificate «concrezioni» sociali agevolmente individuali: «... noi oggi -scrive l’autore [1]- viviamo nel mondo degli altri, circondati dagli altri, da questi degni rappresentanti dell’epoca borghese, sotto il dominio della più squallida e avvilente delle dittature: quella borghese, quella dei mercanti. Tutto quel che ci circonda è borghese: società, politica, economia, cultura, famiglia, comportamenti sociali, manifestazioni religiose. Nelle democrazie occidentali lo spettacolo che ci si para dinanzi è vincolato da una rivoltante coerenza ai canoni più ortodossi della concezione di vita borghese. In queste democrazie, l’organizzazione del potere serve a mantenere immutato, attraverso i più vari strumenti oppressivi e repressivi, il rapporto egemonico di una classe -quella dei borghesi, e, particolarmente, di una parte di essa, quella costituitasi in oligarchia plutocratica- sul popolo».

Assistiamo ad una salutare cesura con l’immaginario socio-politico del cosiddetto interclassismo neofascista (antidemocrazia e anticapitalismo sì, ma la proprietà privata ... l’imprenditore «laborioso» ... il commerciante onesto ... e via rincretinendo ...), desunto da fasi politiche -per altro provvisorie e transeunti- «interne» alle esperienze storiche del Fascismo e del Nazionalsocialismo [2]. Freda pronuncia una radicale negazione politica della dittatura borghese, individuando nel Sistema -ovvero nell’insieme di interrelazioni politiche e socioeconomiche finalizzate al conseguimento di scopi di conservazione e di accrescimento del meccanismo produzione/consumo- il luogo egemonico sul quale l’oligarchia giudeo-plutocratica e mondialista «fissa» la sua prassi di sfruttamento dei popoli.

Con riferimento alla concezione mitico-politica dell’Europa dell’Ordine Nuovo, Freda rileva la «sovrapposizione» -effettuata dall’estrema destra- della valenza archetipa dell’idea europea alle «effettuale» situazione politica dell’euro-occidente sionista. Si verificherà così un classico esempio di eterofilia dei fini: infatti l’intenzione rivoluzionaria (al di là delle ipotesi di scoperta malafede ...), aderendo ad una realtà politicamente aliena, si «commuterà» in una attiva azione di sostegno reazionario in favore di istituzioni, ambienti e scelte politiche asserviti agli interessi plutocratici dell’Occidente giudeo-mondialista. «Vi è in ciò -scrive Eric Houllefort [3]- un ammonimento di fondamentale importanza per un ambiente che, vedendo l’Europa sul banco degli imputati, si crede obbligato, per una sorta di riflesso imbecille, ad esaltare sistematicamente tutto quel che è nato in Europa o, peggio ancora, tutto quanto ha la pelle bianca». E, ancora: «Noi abbiamo propugnato l’egemonia europea -scrive Freda [4]-, rivolgendoci ad una Europa che era stata ormai americanizzata o sovietizzata, senza considerare che questa Europa era diventata serva degli USA e dell’URSS. [...] Sono affiorate tali e tante componenti spurie, da respingere, da sotterrare; sono intervenuti tanti -oso dire: troppi- fattori che hanno adulterato e corrotto questo liquido europeo sino a renderlo liquame, perché esso possa ancora subire positivamente un processo di decantazione». Il crollo verticale dei regimi burocratico-marxisti dell’Est, nonché la «diluizione» dell’espressione geografica europea all’interno della koinè mondialista giudeo-americana, rafforza l’incisiva trasparenza dell’analisi di Freda, rendendo oggi ancor più impraticabile qualsivoglia proposta politica che, sia pure articolata sulla «centralità» dei valori tradizionali europei, non «attraversi», preliminarmente, la totale distruzione del sistema occidentale euro-americano e sionista.

L’autore tratteggia quindi la categoria intemporale dell’Idea di Stato, concepita quale spazio politico di manifestazione inerente a valori etico-spirituali assoluti che trascendono il singolo, e nei quali questi -«bruciando» ogni residuo interiore individualistico e aderendo ad un’etica di vita sovraindividuale - deve integrarsi per «scolpire» la propria forma etica e per «riconoscere» la propria essenza spirituale. «In altre parole -scrive Freda [5]-, noi vogliamo riconoscere l’essenza dello Stato, superando le mediazioni costituite dal fenomeno storico dell’esistenza degli stati ...». Si tratta di una fondamentale distinzione tra il referente dell’azione politica rivoluzionaria, identificato nell’Idea archetipa dello Stato tradizionale e la struttura amministrativa del Sistema borghese, adibita a coefficiente funzionale del progetto strategico finalizzato alla conservazione degli equilibri oligarchici nei quali «consiste» la dittatura egemonica del partito unico della borghesia. Poichè l’estrema destra italiana ha spesso «confuso» i due concetti, noi affermiamo che il soldato politico portatore dell’Idea di Stato non ha alcun obbligo di fedeltà, né di lealtà, né tantomeno, di collaborazione nei confronti dei servi prezzolati dell’Alta Finanza giudaico-mondialista, i quali bivaccano nelle istituzioni del governatorato coloniale italiota convenzionalmente denominato repubblica italiana.

«Lo Stato -scrive Freda [6]- nelle democrazie rappresentative ‘borghesi’, è il luogo politico solo del borghese: la sua unica reale destinazione e funzione è determinata dall’economia borghese, consiste nella difesa dell’economia borghese, nella sublimazione dell’economia borghese.»

Secondo Freda, nella fase organizzativa, cioè nella fase inerente alla regolamentazione dei rapporti tra i membri della comunità popolare, lo Stato si configura come Stato popolare, forma di comunismo aristocratico di tipo spartano presupponente l’abolizione della proprietà privata in ogni forma di manifestazione. All’interno di questa struttura economica comunistica, la totalità popolare, plasmata dallo «stilema» educativo della disciplina rivoluzionaria e «illuminata» da una visione del mondo eroico-aristocratica, proietterà -al di fuori di ogni orientamento economicistico- i migliori esponenti di essa ai vertici dell’ordine piramidale ierocratico, formando così un’aristocrazia politica capace di farsi portatrice e simbolo vivente dei valori inerenti alla sfera dello Stato. Fin dalla nascita (sette anni sono già troppo ...), il membro della comunità sarà affidato alle organizzazioni popolari dello Stato, nelle quali riceverà un'educazione politica ispirata a princìpi trascendenti, oggettivi e solidaristici, simmetricamente opposti ai criteri comportamentali immanenti, soggettivi ed egoistici, «suggeriti» dalla putrescente famiglia matriarcale borghese a fini di corruzione individualistica dell’infante: questi diventerà, «fatalmente», un adulto imbecille ... nel senso etimologico ...

Di fronte alle meccaniche sequenze della «scomposizione» sociale individualistica della società borghese, si palesa l’improponibilità relativa al mantenimento di un regime giuridico fondato sulla titolarità privata dei beni, delle attività di servizio e dei mezzi di produzione, sia pure nell’ambito di un ordinamento economico tradizionale. Solo l’avvenuto compimento dell’opera di «ri-generazione» razziale dei migliori uomini europei, sottratti al putrido flutto delle masse subumane occidentali, potrebbe legittimare l’attribuzione della titolarità privata dei beni economici, evitando la produzione di fenomeni frazionistico-oligarchici, i quali frenerebbero il processo rivoluzionario orientato verso la realizzazione storica dell’Idea di Stato. L’organizzazione comunistica dello Stato popolare non sarà destinata soltanto all’adempimento di scopi esclusivamente economici, ma sarà prevalentemente subordinata al conseguimento di obiettivi politici, rappresentati dalla radicale soppressione dei supporti strutturali che, oggettivamente, propiziano la tendenziale involuzione mercantile delle attività economiche individuali e di gruppo. Sul piano specificamente economico-sociale, l’ordinamento comunistico «coinciderà» con il punto zero successivo all’epilogo ciclico del nichilismo. Si «aprirà» uno spazio libero dai condizionamenti economicistici dell’era borghese, consentendo la riedificazione dell’Ordine tradizionale:

«... nessuna vera tensione - afferma Freda [7]- a tradurre nella realtà i princìpi del vero Stato potrà mai sorgere [...], sino a che permangano forti gli elementi anche residuali e intatta la sostanza costitutiva (ovvero il substrato economico della società borghese). Deve essere isterilito l’«ambiente» da cui il borghese trae vita: ecco il motivo di un ordinamento economico comunistico!»

Banche e industrie private, contratti e usura, libera iniziativa imprenditoriale e proprietà privata, compongono l’habitat istituzionale preposto alla «contagiosa» propagazione della forma mentis borghese/capitalistica. L’annientamento delle articolazioni giuridico-economiche del neocapitalismo, concretizzerà il «disarmo» materiale del giudeo-borghese, privandolo dell’«intreccio» strutturale idoneo a sollecitarne le scomposte «es-agitazioni» mercantili: è, insomma, la «sterilizzazione» dell’ambiente di cui parla Freda. Ad essa, evidentemente, si accompagnerà un’opera di ri-fondazione razziale culminante nell’«approdo» antropologico definito dalla figura archetipica dell’uomo nuovo arioeuropeo.

Freda delinea quindi i profili di una realistica metodologia operativa mirante -previa mobilitazione di ogni potenziale forza antisistema- alla radicale eversione del Sistema plutocratico: «... dobbiamo affermare -scrive Freda [8]- che la condizione -non sufficiente ma, comunque, necessaria- per porre gli elementi di fondazione del vero Stato, è la eversione di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico. Occorre, infatti, propiziare e accelerare i tempi di questa distruzione, esasperare l’opera di rottura del presente equilibrio e dell’attuale fase di assestamento politico. Vigilare affinchè gli eventuali veicoli, le potenziali forze che debbono determinare il collasso dei centri nervosi del sistema borghese, non vengano assorbite e integrate in una delle tante possibilità di cristallizzazione che il mondo borghese offre».

Ogni forza di opposizione interna al Sistema, propone correttivi alle linee di politica istituzionale, sociale o economica elaborate dall’oligarchia, al fine di innescare controtendenze politiche che si oppongano alla operatività dei processi disgregativi alimentati dai meccanismi del Sistema.

Ogni movimento rivoluzionario, al contrario, favorisce o, quanto meno, non inibisce la patologica dilatazione dei fermenti dissolutivi, riservandosi invece di intervenire sul piano della mobilitazione politica riguardante gli effetti sociali prodotti dalle perverse dinamiche del Sistema. Il movimento, dunque, raccoglierà le scorie sociali respinte ai margini della società borghese, per organizzare la rappresaglia vendicativa contro i presidî oligarchici del partito unico della borghesia. Negli strati sociali subalterni si radicherà il contropotere antagonistico di massa che modificherà in favore del movimento rivoluzionario i complessivi rapporti di forza oggi favorevoli al Sistema. Essi «confliggeranno» anche contro la borghesia di massa urbana, per seminare lo scompiglio tra le vischiose fila di un oggetto sociale che -non si dimentichi- rappresenta il primario «collante» sociologico del Sistema plutocratico. Freda dimostra di privilegiare questa seconda opzione: «... il male rappresentato dalla società borghese è inguaribile: [...] nessuna terapia è possibile, [...] nemmeno un’operazione chirurgica riesce ormai efficace; [...] occorre accelerare l’emorragia e sotterrare il cadavere ...». [9]

I diseredati, «confinati» nelle periferie metropolitane della società dei mercanti, rappresentano la negazione dell’oligarchia plutocratica e della borghesia di massa urbana, dunque: la negazione della negazione (la Via della Mano sinistra che Freda ha «traslato» dalla teoria di Cavalcare la tigre alla prassi de La disintegrazione del Sistema), veleno distillato dai fatiscenti alambicchi del Sistema e suscettibile di trasformarsi in «farmaco» antisistema. Si tratta di un potenziale di lotta popolare di massa, laddove con il termine popolare definiamo un insieme sociale che, mediante la disciplina politica, nel corso della lotta al Sistema si «tramuti» in comunità organica di popolo, mentre con il termine massa ci riferiamo al rovinoso «impatto» quantitativo che l’avanguardia rivoluzionaria di un movimento nazionalpopolare dovrà guidare contro le istituzioni culturali, politiche e socioeconomiche del Sistema per frantumarne i presidî oligarchici e scardinarne le fondamenta strutturali fino al crollo verticale, definitivo e irreversibile ...

Sul piano macro-politico, occorre procedere alla «saldatura» politica fra i desperados delle periferie urbane dell’Occidente e i diseredati della periferia planetaria, i quali, vittime designate della strategia di sfruttamento neocolonialistico della giudeo-plutocrazia mondialista, alimentano i massicci flussi sociali che concorrono alla formazione del fenomeno immigratorio extraeuropeo. [10] È necessario ricomporre nell’unico fronte antisistema le spinte eversive generate dai vettori sociali antagonistici costituiti dai marginali delle periferie metropolitane dell’Occidente e dai marginali delle periferie continentali del pianeta: entrambe queste componenti rappresentano «potenziali forze» destabilizzanti, ossia la «risultante» che affiora alla superficie delle devastazioni sociali prodotte dai virulenti riflessi operativi ispirati dalla logica politica plutocratica e neocolonialista, mondialista e sionista.

Bisogna dunque procedere alla «revisione» valutativa del giudizio politico maturato nei confronti del fenomeno immigratorio extraeuropeo, nel cui ambito distingueremo fra gli «sradicati» che agognano all’integrazione con l’Occidente e i gruppi islamici «radicati» nelle rispettive identità razziali, religiose e culturali. Quanto ai primi, essi rappresentano comunque una forza d’urto quantitativa naturalmente destinata a scuotere la «statica» oligarchica del Sistema borghese; costoro, inoltre, non sarebbero pregiudizialmente refrattari -proprio a causa della condizione di sradicamento in cui versano- ad una mirata azione di coinvolgimento politico conflittuale nel «segno» dell’antisistema. Quanto ai secondi, essi rappresentano una qualificata forza di opposizione dal punto di vista tradizionale; occorre quindi stabilire organici raccordi politici con gli immigrati autenticamente musulmani - combattenti del Jihâd algerini, tunisini, senegalesi ...-, a noi accomunati dalla omologa razza dello spirito che funge da discriminante spirituale, etica e politica al di sopra e contro il rimasuglio biologico europoide, la cui integrazione razziale (quale?) non costituisce più oggetto degno di alcuna azione politica di difesa condotta in nome della defunta razza arioeuropea.

Lo «scontro» metafisico fra Islâm e Occidente -«drammatizzato» dalla superba ed eroica resistenza del popolo Palestinese all’invasore sionista, «scolpito» nella storica cacciata dei sionisti dal Sud del Libano ad opera degli Hezbollah filoiraniani- ha introdotto la categoria schmittiana dell’opposizione Amico/Nemico, imponendo, obbligatoriamente, una radicale scelta di campo: o si sta con l’Islâm o con l’Occidente. Tertium non datur ... I migliori uomini della razza arioeuropea hanno quindi il dovere di conferire una minimale, unitaria ed autonoma connotazione organizzativa all’identità politica dell’area nazionalrivoluzionaria, al fine di consentire una concreta confluenza operativa nell’unico plausibile fronte antimondialista: l’Islâm tradizionale e rivoluzionario.

Sul piano micro-politico, invece, una «potenziale forza» suscitata dal sistema e suscettibile di essere «rovesciata» contro le sue strutture, è quella dei ribelli della domenica (e gli altri giorni?), ossia dei sostenitori oltranzisti delle squadre di calcio. Il Sistema, infatti, ha adibito gli stadi di calcio a riserve, cioè a «contenitori» dell’alienazione giovanile metropolitana, la quale, benchè in essi «imprigionata», è spesso costretta a subìre, in sovrappiù, la violenza legalista degli apparati repressivi del Sistema. É una gioventù aggressiva e violenta, simboleggiata dalle periodiche e frequenti immagini televisive del tifoso che, insofferente nei confronti delle vili percosse subite, si è «fermato», manifestando legittime intenzioni reattive che hanno messo in fuga l’individuo in divisa che lo seguiva...

Lo stadio di calcio è uno spazio politico eversivo, un «catalizzatore» di sintesi intorno al quale convergono -ancora episodicamente- tensioni sociali che, ove integrate nel quadro di un progetto politico rivoluzionario, assumerebbero la forma di un contropotere conflittuale di massa antisistema. Gli skinheads potrebbero quindi rappresentare (senza escludere nemmeno i cosiddetti «casinisti da stadio» ... anzi ...) l’anello di congiunzione e il vettore militante di penetrazione propagandistica all’interno delle associazioni e dei gruppi di tifosi oltranzisti, al fine di «convertire» la rabbia delle gradinate in coscienza politica antisistema, operando un permanente collegamento politico con i quartieri periferici metropolitani che costituiscono le aree urbane di provenienza dei cosiddetti «ultras».

Queste considerazioni provocheranno certamente obiezioni e critiche ma, tant’è, malgrado la presenza di ipertrofici «cerebri» traboccanti sapienza politica e accortezza tattica, siamo arrivati agli «spiccioli» ... Quanto a noi, ci limitiamo ad affermare che la validità del tipo umano incarnato dal soldato politico della Tradizione, deve conformarsi all’archetipo tradizionale -mentre il progetto politico (sarebbe ora di «scorgerne» qualcuno ...) deve individuare, mobilitare e orientare, ottemperando a criteri di valutazione che corrispondano ad un funzionale parametro di efficacia, le potenzialità antisistema presenti in concreti «veicoli» sociali ravvisabili anche nel multicolore fronte dei ribelli della domenica ...

In conclusione, noi riconduciamo la causa efficiente della crisi che ha ormai «minato», forse irreversibilmente, le scomposte e disorientate fazioni dell’estrema destra italiana, proprio all’incomprensione politica che ha circondato testi come La disintegrazione e Cavalcare la tigre. Lo scritto di Freda, infatti, non ha sollecitato la necessaria attenzione critica da parte dei suoi «naturali» destinatari: per l’inattualità del testo o per l’inettitudine antropologica dei lettori?

Note:

1] F. G. Freda, "La disintegrazione del Sistema", Ed. di Ar, Padova 1980;

2] vedi Maurizio Lattanzio, "Nazionalsocialismo ed economia", in René Dubail "L’ordinamento economico Nazionalsocialista", Ed. di Ar, Parma 1991;

3] Eric Houllefort, pref. a “La disintegrazione del Sistema”;

4] F. G. Freda, op. cit.;

5] ibidem;

6] ibidem;

7] ibidem;

8] ibidem;

9] ibidem;

10] In occasione del Forum di Davos (30 gennaio - 7 febbario 1991), convegno tenutosi in Svizzera e organizzato da ambienti vicini alla Commissione Trilaterale - Lester Turow, decano del MIT, ha caldeggiato l’adozione di una linea politica restrittiva nei confronti del fenomeno immigratorio ... ("Lectures Françaises", aprile 1991);