Non si potrà mai dirimere il cosiddetto divario Nord/SUD se non si metterà la parola fine ad una certa forma mentis venutasi a costituire successivamente all'Unità d'Italia. In primo luogo, occorre sbarazzarci di certe costruzioni ideologiche errate che, per troppo tempo, hanno finito per condizionare il nostro modo di agire e di pensare. Queste pseudo-teorie, imposteci sin dai tempi della scuola, hanno finito per corrompere il nostro metro di giudizio, inoculando in noi un senso di minorità e prevaricando ogni nostra scelta, che risulta essere così condizionata dalla nostra appartenenza territoriale. Mi riferisco, in particolare, ad una sorta di colonialismo culturale che abbiamo - obtorto collo - dovuto subire. A molti questa mia asserzione parrà bislacca, ma non lo è affatto.
Dall'unità d'Italia in avanti il Sud ha incominciato lentamente, ma inesorabilmente, a morire, vittima, dopo l'occupazione manu militari, non tanto dell'arroganza piemontese quanto della propria inedia culturale. Su questa conclamata verità, i rappresentati del Sud Italia "ELETTI" al neonato parlamento italiano, che ben conoscevano le storture commesse al sud dai Savoia e dei loro ascari alle martoriate terre meridionali, fondarono la loro FORTUNA PERSONALE. Fu così che, attraverso squallide operazioni di trasformismo, fecero di necessità virtù unicamente per accreditarsi nell'arena politica e accrescere il loro personale patrimonio.
Quella vergognosa strada fatta di squallidi compromessi al ribassso ha portato solo disgrazie alla nostra gente, alimentando negli anni un esodo pauroso che mai si era verificato prima dell'Unità.
I politici del tempo, incuranti del bene comune e interessati al loro esclusivo prestigio, hanno utilizzato i problemi reali che affliggevano il meridione d'Italia per porre in essere una sorta di ricatto permanente, rinnovatosi, di legislatura in legislatura, senza soluzione di continuità, fino ai giorni nostri. Ma, nonostante gli aiuti pelosi, fatti passare come assistenza gratuita, nulla di serio è stato fatto per le popolazioni meridionali che, viceversa, hanno pagato con l'esilio e la morte la tanto "agognata" unità.
Anche al nord, naturalmente, fra le fasce di popolazione attiva, è cresciuto il malcontento, ingenerato e alimentato da un odio viscerale verso i meridionali. Un odio alimentato ad arte dal Sistema in modo indiretto, nel senso che, da una parte lo Stato faceva propaganda di egualitarismo unitario e, dall'altro finiva, incontrovertibilmente, per elogiare il pragmatismo e la laboriosità delle popolazioni settentrionali a discapito di quelle meridionali. Ai poveri meridionali venivano attribuite le infamie peggiori, a loro venivano affidati i lavori gravosi ed usuranti. Chi non dovesse crederci dovrebbe ascoltare quelle trasmissioni di Rai Storia che, a tarda sera, mandano in onda, le interviste ai lavoratori meridionali impiantati al nord.
Questa contrapposizione ha finito per smantellare quanto fatto a fin di bene con l'unità dìItalia, finendo per avvalorare una secessione di fatto. Così, in questi ultimi anni, al nord Italia sono sorti movimenti separatisti che hanno visto aumentare il loro elettorato in modo esponenziale. Fra tutti questi è emerso un partito (Lega Nord) che ha letteralmente spopolato, mettendo in allarme tutti settori dello Stato, dalla Magistratura alle Forze dell'Ordine.
Costoro, però, in modo del tutto arbitrario, non hanno tenuto in debito conto un fattore fondamentale: la mutata situazione etnico-sociale venutasi a creare dopo il continuo esodo dei lavoratori meridionali nel nord italia. Infatti, in tutti questi anni, il tessuto politico sociale nel nord-italia era del tutto mutato. Al nord la teoria del Colonialismo interno è stata così rovesciata ed ha assunto contorni razzisti più o meno evidenti. Tali contorni si sono smorzati solo adesso, dopo gli immani scandali che hanno visto come protagonisti proprio chi stava criticando "Roma Ladrona". Oggi, vista l'impossibilità della Lega Nord a pretendere la secessione per sganciarsi dall'Italia, si cambia tattica. Non si potrebbe capire diversamente l'atteggiamento della Lega Nord se si prescinde da questa tattica. Per loro il Sud Italia è una palla al piede, una zavorra da cui bisogna liberarsi ad ogni costo, pena l'arretramento del Nord verso il Continente Africano. Ora tutto ciò è falso; è frutto di misera propaganda elettorale che vuol far leva sui bassi istinti, privilegiando la "pancia", invece che la testa. Il Nord, amputato della "scarpa vecchia", anche grazie alla diversa politica attuata sul territorio, meno assistenzialista e votata alla produzione, sicuramente potrebbe risollevarsi nel breve periodo, ma è difficile che prenda il volo e raggiunga paesi come la Germania o la Francia. Il nord, da solo, subirebbe un drastico declassamento in Europa, e le due Italie si vedrebbero costrette ad arretrare entrambe, vistosamente, in un modo che nessuno ha sperimentato prima.
Tutti noi, impressionati dall'iniziativa nordista (impostata sul piano sociale e politico dalla Lega), sentiamo il bisogno di riproporre i tratti e la fisionomia di una nuova questione meridionale, in risposta alla questione settentrionale agitata dalla Lega Nord. La forza della Lega di costruzione di un egemonia (per dirla con Gramsci) sta nell'aver saputo costruire un "Pensiero Lungo", basato su una chiara identità sociale, unita ad una spiccata capacità politica e ad un radicamento sul territorio. Tutte cose queste che sono mancate del tutto al Sud, a causa di una classe politica vecchia e incapace di creare una nuova classe dirigente. Gli intellettuali meridionali, inoltre, non hanno saputo elaborare un'egemonia culturale capace di imporsi al grosso pubblico, lasciando agli altri l'iniziativa e rimanendo succubi del pensiero altrui. L'ultimo pensiero lungo meridionale è quello di Antonio Gramsci. Dopo di lui, il nulla.
Tutte le classi dirigenti meridionali che si sono avvicendate hanno seguito la mefitica linea del "do ut des", senza proporre nulla di serio ed innnovativo. Quello che serve, a mio modesto avviso, è cambiare mentalità. Occorre sbarazzarsi dei luoghi comuni... ed occorre farlo alla svelta. Soprattutto al sud che rimane sempre alla finestra aspettando che la "burrasca passi e torni il bel tempo". Prendere le redini in mano del potere non serve a nulla se a capo delle nostre comunità ci saranno gli incapaci di sempre, magari in versione localista e provinciale. Occorre uno slancio che promuova la libera iniziativa, sganciata da logiche padronali e assistenzialistiche. Occorre, togliere il potere a chi lo detiene saldamente nelle proprie sudicie mani, cambiando radicalmente tutta la classe dirigente. E' un'utopia, lo so... ma è l'unica via d'uscita da questo cul de sac.