giovedì 8 aprile 2010

Autodifesa di Julius Evola ( premessa)


Nell’aprile del 1951 Julius Evola venne arrestato nella propria abitazione di Corso Vittorio Emanuele da uomini dell’Ufficio Politico della Questura di Roma. L’accusa: essere stato il «maestro», l’«ispiratore», con le sua nebulose teorie», di un gruppo di giovani, i quali, a loro volta, erano accusati d’aver dato via a degli organismi di lotta clandestina: il «F.A.R.» (Fasci d’Azione Rivoluzionaria» e la «Legione nera» di orientamento neofascista. Di qui l’imputazione, per tutti, di apologia di fascismo e di aver «tentato di ricostruire il disciolto partito fascista». Quale «padre spirituale di tutti gli imputati», come venne definito dagli inquirenti, rientrava nella logica, dell’intolleranza del sistema gettare in carcere uno studioso, uno scrittore, per di più grande invalido di guerra, al quale di null’altro poteva farsi carico se non dei suoi studi e dei suoi scritti! Ed è assai significativo che nel regime democratico post-bellico, Evola sia stato forse il primo in Italia ad essere incarcerato per «reato ideologico». Evola, per la verità, accettò la inattesa disavventura con estrema indifferenza. Ben altre erano state le esperienze di vita dell’uomo perché la pur dura detenzione nel carcere di Regina Coeli potesse intaccar il suo proprio olimpico distacco! Anzi, a leggerne l’ «autodifesa», si ha la sensazione di una sorta di sua «aria divertita», al cospetto di accusatori tanto faziosi ed in malafede quanto culturalmente sprovveduti. Si tratta comunque di un episodio della vita di Evola che va ricordato, perché contribuisce a darci la imponente figura dell’uomo, ed anche quella, davvero mediocre, dei suoi avversari, che imprigionando lui, hanno creduto di mettere in ceppi al suo pensiero. Il processo ebbe inizio ai primi di ottober del ’51, dinanzi alla Corte d’Assise di Roma. La difesa di Evola venne assunta dal prof. Francesco Carnelutti, avvocato insigne e uomo di grande carattere, anche se di formazione culturale ed ideologica assai distante da quella evoliana. Nel corso della lettura dell’ «autodifesa», quando Evola citò la casa editrice Laterza, Carnelutti esclamò: «Non si pubblica nulla da Laterza che non sia gradito a Croce». E quando Evola affermò che, stando ai termini dell’accusa, avrebbe avuto l’onore di vedere seduto al banco degli imputati persone come Aristotele, Platone, il Dante di «De Monarchia», fino ad un Metternich e ad un Bismark, Carnelutti interruppe a voce alta: «La polizia è andata in cerca anche di costoro…» (risate). «E’ doloroso che da sei mesi un grande invalido di guerra stia in prigione. In Italia la libertà personale è diventata uno straccio». A Carnelutti sfuggì all’atto dell’arringa, la precisazione di Evola, di non essere stato mai iscritto al Partito Nazionale Fascista. Questa precisazione, probabilmente, fece effetto sui giudici popolari, che dovevano giudicare quel particolare tipo di «reati». Nel corso dell’arringa Carnelutti fece omaggio al Presidente della Corte d’assise (dott.Sciandone) del volume «Rivolta contro il mondo moderno», ripubblicato in nuova edizione da «Bocca» ed apparso nelle librerie mentre l’autore era in carcere. Contrariamente a quanto scritto da taluno, il Pubblico Ministero dott. Sangiorgi chiese per Evola la condanna ad otto mesi di reclusione e non l’assoluzione per insufficienza di prove. Il processo si concluse il 20 novembre 1951: Evola fu assolto con formula piena. Riteniamo utile pubblicare in appendice un ampio stralcio della arringa pronunciata da Carnelutti il 6 novembre 1951 (pubblicata sulla rivista «L’Eloquenza» - n. 11-12 del novembre-dicembre 1951.

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