Pur minoritaria e priva di grossi centri decisionali, la sinistra nel movimento fascista ricoprì per tutto l'arco del regime mussoliniano al potere un ruolo ideale trainante, spingendo affinché, nell'impossibilità di realizzare subito i programmi dottrinari e rivoluzionari sansepolcristi, anti plutocratici e anticapitalistici, frenati dalle componenti reazionarie di destra annidiate all'interno delle strutture delle gerarchie fasciste, la purezza della causa della rivoluzione voluta da Benito Mussolini venisse attuata quanto prima, sradicando la pusillanime e antipopolare quotidianità dell'Italietta borghese, subordinata alla massoneria ed agli inglesi.Oltre alla labilità e all'obliquità dell'individuo italiota, c'è da aggiungere che anche l'evento bellico bloccò il corso della rivoluzione delle Camicie Nere.
La pulsione rivoluzionaria del fascismo repubblicano purtroppo venne messa in opera quando le probabilità concrete di una permanente attuazione della socializzazione era in gran parte vanificata dal corso della guerra.
Nel complesso, malgrado si combattesse nel territorio della nazione, il governo della Repubblica Sociale Italiana dette vita a un corpo legislativo imponente, creato nel giro di quindici anni, a testimonianza di uno sviluppo tutto sommato lineare e in coerente rispondenza a direttrici sostanzialmente univoche.
I codici mussoliniani sono permeati da un dinamismo e da un decisionismo raro, se non unico, da non porre neanche a confronto con l'abituale farragine immobilista che è caratteristica costante dei vari ordinamenti italiani di ogni epoca.
Il principio e la weltanschauung della Rivoluzione fascista, specialmente se considerata a livello di forze europee, dal punto di vista dell'influenza che sprigionò su tanti ambienti anche fuori dall'Italia, si può dire che avesse una valenza culturale e di civiltà prima ancora che politica. Il Fascismo volle creare un uomo nuovo, una nuova civiltà, oltre che una nuova società.
La risoluzione del problema sociale e del riscatto di tante aree depresse della nazione, eredità della povertà in cui la monarchia savoiarda teneva la nazione, e la riscoperta dei princìpi della Tradizione romana, dovevano costituire i bastioni su cui edificare il Nuovo Ordine guerriero e gerarchico e dare organicità alle aspettative rivoluzionarie del Fascismo.
L'integrazione delle masse nello Stato e la loro mobilitazione nelle strutture del partito rivoluzionario davano luogo alla concreta possibilità di scolpire una diversa filosofia del potere e una completa visione del mondo, nella quale il compito della nuova élite era quello di fondare un nuovo corso politico e una rigenerazione di tutto il corpo della nazione.
Se, infatti, è l'attivismo politico a contrassegnare l'ascesa della rivoluzione fascista, d'altro lato si evidenzia la sua instancabile determinazione a dare un basamento, un corpo ideale, una base culturale per una più concreta presa di coscienza del popolo.
La rivoluzione fascista rappresenta, primo esempio in Europa, un cuneo atto a scardinare l'egemonia del capitalismo e del marxismo.
Durante la Repubblica Sociale Italiana, finalmente, la rivoluzione si liberò di tutte quelle zavorre che durante il regime avevano arrestato la rivoluzione sociale e popolare voluta da Mussolini; la monarchia traditrice, le congreghe capitalistiche al servizio dei nemici dell'Asse, lo stesso Vaticano e la massoneria furono dichiarate nemiche dello Stato repubblicano in guerra contro le democrazie demoplutocratiche, tiranne delle nazioni che volevano marciare in ossequio alle loro radici e alle loro realizzazioni in ogni campo della società e non sotto il giogo dello sfruttamento economico-mercantile proprio di quei Paesi in balia del capitale della banca ebraica.
Il Fascismo divenne un ideale europeo dopo che si affermò in Germania, ma trasse la sua forza dall'esempio italiano; Mussolini fece la rivoluzione e la sua opera bastò a mettere in moto un meccanismo di vita che oltrepassò presto i confini italiani, proponendosi come modello di rivoluzione europea. Si trattava del prototipo di una nuova civiltà.
Lo Stato sociale che era programmato dal Fascismo delle origini poté avere un risvolto pratico solo dopo i tragici eventi dell'estate del 1943, in cui si ritornava al suo vero volto storico.
Tutte quelle strutture conservatrici e capitalistiche che per 20 anni avevano sabotato continuamente il Fascismo, ingabbiandolo nella conservazione, scelsero subito, secondo natura, la parte in cui schierarsi, cioè la parte dei nemici del fascismo.
Mussolini non appena liberato dai tedeschi a Campo Imperatore lanciò agli italiani un messaggio che agitava l'antica bandiera rivoluzionaria: «Annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro il soggetto dell'economia e la base infrangibile dello Stato». Annunciando, così, a squadristi, operai e studenti che la rivoluzione proletaria e fascista era ritornata.
Nella Repubblica Sociale Italiana la partecipazione delle masse alla vita pubblica dello Stato fu l'apoteosi rivoluzionaria e fu così che riemerse l'anima popolare del fascismo.
Il fascismo repubblicano espresse subito la volontà di superare la politica burocratica e di arrivare istantaneamente alla base dei problemi. La prima riunione del governo sancì l'elaborazione di una costituente eletta dal popolo, al fine di elaborare il progetto di «una repubblica unitaria nel campo politico e decentrata in quello amministrativo, con un pronunciatissimo contenuto sociale (...) tale cioè di stabilire il posto, la funzione e la responsabilità del lavoro». La riemersa concezione rivoluzionaria cui si doveva ispirare questa prima indicazione programmatica, comprendeva il superamento della subordinazione del lavoro al capitale, con un'accentuata preminenza del ruolo dell'operaio nella nuova struttura socio-economica. Da alcuni settori venne anche richiesta con determinazione l'abolizione della proprietà privata.
Accanto al Duce vennero affiancandosi i più fedeli all'Idea rivoluzionaria, con ex-socialisti ed ex-comunisti. L'uomo di punta del Fascismo repubblicano fu Alessandro Pavolini, segretario del PFR, già squadrista negli anni '20, intellettuale e ministro; ora incarnava l'ala degli intransigenti, di coloro i quali intendevano attuare i postulati della Rivoluzione per instaurare un «regime di popolo».
Pavolini intendeva edificare un partito nuovo, un «... ordine di combattenti e di credenti» a base elitaria e non quantitativa. Il nuovo partito rivoluzionario sarebbe stato un «partito di lavoratori, un partito proletario animatore di un nuovo ciclo senza remore plutocratiche (...)» e ispiratore di postulati «più propriamente che sociali, socialisti».
Esaltante era il grado di presa che il fascismo riusciva ad avere ancora sul popolo, il quale, pur fiaccato dalla guerra e dalle sconfitte sul piano militare, seppe dare al fascismo repubblicano all'incirca duecentocinquantamila nuovi iscritti. Ciò la dice lunga sulla presunta impopolarità sbandierata dai detrattori della Repubblica Sociale Italiana.
La mancata convocazione della Costituente, sempre rinviata in attesa di tempi migliori che purtroppo non vennero, si rivelò un errore politico poiché impedì di dare tutto il riconoscimento che spettava ai «18 punti di Verona».
In questo contesto si doveva attuare, come affermò Mussolini, lo «smantellamento del capitalismo e del latifondismo» attraverso la «... immissione del controllo e degli interessi dei lavoratori con la conseguente ripartizione degli utili in tutte le aziende, anche di quelle statali», e la «libera azione del sindacato». Questo progetto costituiva una indicazione fondamentale per l'attuazione della socializzazione, poi commutata in Legge il 12 febbraio 1944. AI secondo punto del progetto, si affermava: «la gestione dell'azienda, sia essa a capitale pubblico o privato, è socializzata; ad essa prende parte il lavoro. Le aziende a capitale pubblico sono amministrate da un Consiglio di Gestione, eletto da tutti i lavoratori dell'azienda, operai, impiegati e tecnici».
Tale struttura non rimase inapplicata, ma nonostante problemi di ogni genere, guerra e bombardamenti indiscriminati, sabotaggi degli industriali e azioni di guerriglia dei partigiani, trovò immediata applicazione in alcune industrie del Nord Italia.
Si cominciò con aziende editoriali, come "il Corriere della Sera", "Il Lavoro"; poi fu la volta dell'industria grafica, cartaria e meccanica. Furono socializzate: Mondadori, Garzanti, Vallardi, Ricordi, Alfa Romeo, Metalmeccanica e altre aziende minori. In tutti questi casi non valsero ad impedire la continuità di funzionamento le accanite opposizioni padronali e cielleniste. Un discorso a parte meriterebbe l'alleanza tra capitalisti ed emissari del CLN, ai quali era invisa la legislazione sociale della Repubblica Sociale fascista, per egoismo di classe o per mero calcolo politico. Si chiarirebbero così le idee su quali furono i reali motivi del sabotaggio alla socializzazione, che attraverso la propaganda e l'istigazione sovversiva tolse alla classe dei lavoratori una serie di importanti conquiste acquisite attraverso la legislazione rivoluzionaria del rinato partito rivoluzionario, perdute poi di fatto all'atto della restaurazione democratico-capitalistica del dopoguerra.
È bene ricordare come tra le prime misure del CLNAI dopo il 25 aprile 1945, e, poi, tra i primi atti legislativi della Repubblica post-bellica ci sia stata l'abrogazione delle Leggi sociali del 1944, un punto sul quale tutti i partiti del Comitato di Liberazione mostrarono una concordia degna della peggiore malafede. Ma non poteva essere altrimenti.
Alcuni degli obiettivi che i lavoratori raggiunsero con la socializzazione, costituiscono ancor oggi un lontano miraggio per ciò che rimane del movimento operaio, miracoli dell'ipocrisia ideologica che fa negare la validità anche a quanto di buono crea la parte politica avversaria.
Grazie alla subordinazione italiana a interessi extranazionali dettati dalla massoneria e dall'Alta Finanza fu raggiunto il grottesco risultato per cui le masse operaie del Nord furono spinte a rinnegare misure che le toglievano d'un colpo dalla secolare sudditanza nei confronti del padronato, e a simpatizzare per il Sud, alla testa del quale c'era il fior fiore della classe conservatrice e industriale, unitamente alla monarchia ed ai settori più retrivi del clericalismo, alla massoneria, retto come un burattino dalla amministrazione alleata, ispirata dal capo del conservatorismo europeo Winston Churchill.
I lavoratori italiani, fomentati a combattere per la classe padronale, anziché per i propri diritti, persero così un'occasione storica e scontarono presto l'inganno: l'alleanza tra Togliatti e la monarchia traditrice avrebbe dovuto aprire gli occhi e tutto passò, grazie ad una abile mistificazione, come frutto della propaganda fascista.
La Repubblica Sociale Italiana, in ogni caso, assunse la valenza di movimento rivoluzionario che, incontestabilmente, ruppe i ponti con l'usurocrazia capitalistica che fin dal sua comparsa aveva sempre ostacolato e sabotato il movimento fascista ogni qual volta questo faceva appello e si dirigeva verso la sua politica sociale e rivoluzionaria, anti plutocratica e popolare.
I vertici repubblicani non si fecero scrupoli, quando se ne presentò la necessità, a passare alle vie di fatto nei confronti degli industriali. Ad esempio, negli scioperi del 1944 a Milano ed a Torino (ispirati dagli anglo-alleati e mossi dai movimenti clandestini), gli industriali Donegoni e Marinotti (due dei più grossi industriali d'Italia), in base a sospetti di complicità, vennero subito arrestati. Misure del genere rivelano che un'aria diversa spirava sul fascismo repubblicano e una diversa determinazione ne ispirava le decisioni.
Tutto finì nell'aprile 1945 quando, approfittando dello scatenato odio antifascista, furono eseguite innumerevoli esecuzioni di innocenti. Le stragi del 1945 furono un olocausto che non colpì una minoranza forte, ma che si abbatté su gente del popolo, militi provenienti nella grande maggioranza dalle fila popolari e giovanissimi che avevano inteso battersi per un ideale rivoluzionario e per l'onore scalfito dalla viltà e dall'ipocrisia, dal tradimento e dalla codardia, d'una parte inetta che preferì la posizione personale, all'ombra degli inglesi, della mafia e della massoneria, alla grandezza della Patria in armi.
Roberto Vultaggio su "Avanguardia" mensile per la comunità militante
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