giovedì 12 agosto 2010

L’esperimento socialista di San Leucio

Un luogo del casertano che dapprima fu residenza di caccia di Ferdinando di Borbone
di: F.M.


L’utopia della “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella, vittima dell’Inquisizione e della dominazione spagnola a Napoli e in Sicilia, sarebbe stata realizzata proprio nel “retrogrado” regno dei Borbone, dove, a dispetto delle calunnie e delle menzogne diffuse dalla centrale londinese della massoneria, per iniziativa dei Borbone era fiorito l’Illuminismo di Vico, Galiani, Genovesi, Pagano, Filangieri, il più ragguardevole nell’ambito dell’Illuminismo italiano.
San Leucio è il primo esempio di repubblica socialista della storia contemporanea. E’ curioso che esso risalga a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del Portogallo Giuseppe I, asservito all’Inghilterra, aveva stroncato nelle colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti.
San Leucio era in origine una residenza di caccia di Ferdinando IV di Borbone. Dopo la morte prematura del figlio principe ereditario Carlo Tito, avvenuta alla fine del 1778, non volendo più recarsi nell’amena località legata alla memoria del caro estinto, il re decise di destinarla ad altro più utile uso. Lasciamo a lui la parola: “Essendo giunti gli abitanti del luogo, con le famiglie aggregatesi, al numero di 134 (…), temendo che tanti fanciulli e fanciulle, che andavano sempre aumentando, per mancanza di educazione divenissero un giorno e formassero una piccola comunità di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una Casa di educazione per i figli dell’uno e dell’altro sesso, servendomi, per collocarveli, del mio casino (…). Col tempo, poi, rivolsi altrove le mie mira, e pensai di rendere quella Popolazione utile allo Stato, alle famiglie e a ogni individuo, introducendo una manifattura di sete grezze e lavorate di diverse specie fin qui poco e malamente conosciute, procurando di ridurla alla miglior perfezione possibile”.
La colonia si chiamerà poi Ferdinandopoli e si trovava nei pressi di Caserta, dove oggi spadroneggiano i camorristi di Casal di Principe. Il suo Statuto, basato sul principio dell’eguaglianza dei cittadini, fu stilato personalmente dal re. Esso anticipava, sia pure nell’ottica del dispotismo illuminato, gli stessi concetti della Comune di Parigi del 1870, che notoriamente fu stroncata, non a caso nel sangue, dal massone Thiers e dal suo boia generale Gallifet.
La fabbrica tessile possedeva 82 ettari di terreno per i bisogni alimentari degli operai, che abitavano in case a schiera progettate dall’architetto Collecini. La vita che vi si conduceva era dura ma libera da vincoli padronali.
L’abbigliamento era semplice, pratico e uguale per tutti. La sveglia suonava prestissimo, si assisteva alla messa e subito dopo ci si recava sul posto di lavoro. Vi era un’interruzione a mezzogiorno per il pranzo. Si riprendeva a lavorare alle 13,30 e si smontava al tramonto.
L’istruzione era obbligatoria e l’educazione orientata a formare la coscienza civile. Il matrimonio era disciplinato al fine di preservare la comunità da pericolose influenze esterne. Se una ragazza voleva sposare un forestiero, riceveva una dote di cinquanta ducati e se ne doveva andare. Se accadeva il contrario, la sposa forestiera doveva seguire un corso di tessitura e poi entrava a pieno titolo nella comunità. I testamenti erano aboliti e l’eredità del defunto era divisa fra i figli e il coniuge superstite. Ove questi non vi fossero, l’eredità era incamerata dal Monte degli Orfani.
Esisteva una Cassa di Carità che prestava denaro senza interesse a chi ne avesse bisogno e che provvedeva a erogare le pensioni. Era alimentata dai cittadini mediante un prelievo mensile sulla busta paga corrispondente a 85 centesimi di lira aurea.
Erano proibite le liti fra cittadini e i contrasti di poco conto venivano risolti dagli anziani e dal parroco.
Esisteva un carcere con un sovrintendente. Si racconta che una volta vi finì un leuciano. Il sovrintendente gli fece portare in cella il telaio perché “non oziasse” e continuasse a provvedere al sostentamento della famiglia. Doveva produrre tre paia di calze alla settimana. Tratto da:
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=3663


Era il 1789, trentesimo anno di regno di Ferdinando IV (III di Sicilia). Il re, nonostante quello che si continua a raccontare, era un sognatore. La vita e il baccano della Reggia di Caserta lo angustiavano e aveva scelto come suo luogo di ritiro una collina lì vicino, dalla vista stupenda: dove c'era, appunto, l'antica chiesetta di San Leucio, vescovo di Brindisi. Sul Belvedere aveva fatto costruire un casino di caccia, e vi aveva fatto insediare alcune famiglie affinché vi provvedessero. Poi i coloni crebbero di numero e diventarono una piccola comunità. Il re si lasciò probabilmente influenzare dalle mode utopistiche dell'epoca e decise di fondare una colonia modello. Cercò di darle l'autonomia economica, creando una seteria e una fabbrica di tessuti. La regolò con un codice scritto di suo pugno, pieno di straordinarie intenzioni e intuizioni. Volle darle una struttura urbanistica organica e simmetrica. Le affibbiò un nome che era uno specchio: Ferdinandopoli. Una sua creatura, insomma, anche se il nome restò artificiale e nessuno lo usò mai: rimase sempre San Leucio.
La fabbrica, che s'ingrandì e produsse una gamma ricchissima di tessuti, non riuscì mai a prosperare dal punto di vista economico, in quanto il lucro non era il suo fine. Un'industria di Stato, ma al sevizio della collettività, e quindi molto diversa da quelle dei nostri tempi, che sono al servizio dei partiti politici.
Il codice venne applicato alla lettera: un misto di socialismo reale e utopico, che possiede ancora oggi una sua forte suggestione: "Io vi do queste leggi, rispettatele e sarete felici". Era il 1789: a Parigi ribolliva la rivoluzione. A San Leucio si istituiva la perfezione. I cognati di Ferdinando IV finivano sotto la lama della ghigliottina: perché il re di Napoli aveva sposato Maria Carolina d'Austria, sorella di Maria Antonietta di Francia.
I pilastri della Costituzione di San Leucio-Ferdinandopoli erano tre: l'educazione veniva considerata l'origine della pubblica tranquillità; la buona fede era la prima delle virtù sociali; e il merito la sola distinzione tra gli individui. Tre principi sui quali varrebbe la pena di riflettere tutt'oggi, a più di due secoli e una decina di generazioni di distanza.
Era vietato il lusso. Gli abitanti dovevano ispirarsi all'assoluta eguaglianza, senza distinzioni di condizioni e di grado, e vestirsi tutti allo stesso modo. La scuola era obbligatoria, a partire dai sei anni di età: i ragazzi erano poi messi ad apprendere un mestiere secondo le loro attitudini e i loro desideri. Obbligatoria anche la vaccinazione contro il vaiolo. I giovani potevano sposarsi per libera scelta, senza dover chiedere il permesso ai genitori. Le mogli non erano tenute a portare la dote: a tutto provvedeva lo Stato, che s'impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi.
Venivano aboliti i testamenti: i figli ereditavano dai genitori, i genitori dai figli, quindi i collaterali di primo grado e basta. Alle vedove andava l'usufrutto. Se non c'erano eredi, andava tutto al Monte degli Orfani. Nella successione maschi e femmine avevano pari diritti. I funerali si celebravano senza distinzioni di classe, anzi erano sbrigativi perché non dovevano affliggere. Ferdinando abolì anche il lutto, che trovava sinistro: al massimo una fascia nera al braccio. I capifamiglia eleggevano gli anziani, i magistrati (che restavano in carica un anno), e i giudici civili. Ogni manifatturiere, ovvero ogni dipendente delle manifatture della seta, era tenuto a versare una parte dei guadagni alla Cassa della Carità, istituita per gli invalidi, i vecchi e i malati.
Insomma: uguaglianza, solidarietà, assistenza, previdenza sociale, diritti umani. Ferdinando IV aveva fatto centro prima che la stessa Rivoluzione francese portasse a casa le sue conquiste. Al momento della promulgazione delle leggi, gli abitanti erano centotrentuno.
Tutto ruotava intorno alla fabbrica. Una seteria meccanica, sostenuta dal re "con mezzi potentissimi", che sfruttava la materia prima generata dai bachi allevati nelle case del Casertano e oltre. Dai primi filatoi e dai telai fino alla costruzione di una grande filanda. Si producevano stoffe per abbigliamento e per parati, in una ricca gamma di rasi, broccati, velluti. Nei primi decenni dell'Ottocento, con l'introduzione della tessitura Jacquard, la produzione si arricchì di stoffe broccate di seta, d'oro e d'argento, scialli, fazzoletti, corpetti, merletti. Si svilupparono anche dei prodotti locali, i gros de Naples e un tessuto per abbigliamento chiamato Leuceide.
Era molto ricca la gamma dei colori, tutti naturali, i cui nomi cercavano di distinguere le sfumature più sottili: verde salice, noce peruviana, orso, orecchio d'orso, palombina, tortorella, pappagallo, canario, Siviglia, acqua del Nilo, fumo di Londra, verde di Prussia.
L'ideale di San Leucio resse perfettamente per molti anni, poi fu man mano eroso dalle invasioni napoleoniche e dalla forte crescita della popolazione. L’utopia di San Leucio non finì, come vorrebbe la leggenda maliziosamente raccontata dai liberali, per colpa delle “scappatelle” del sovrano con le operaie. Finì quando nel 1861, a seguito della invasione sabauda, il Regno fu annesso al Piemonte: il setificio fu dato ai privati, e lo statuto divenne carta straccia.
I tessuti di San Leucio avevano rifornito i sovrani della casa borbonica e le famiglie della nobiltà e borghesia napoletana, sia per gli abiti sia per le tappezzerie. Fatto sta che la manifattura è sopravvissuta al Regno delle Due Sicilie e alla dominazione sabauda e, pur con caratteristiche molto diverse, continua oggi a mantenere in vita una tradizione lontana e preziosa, che si è, anzi, sparsa per il mondo.
Con l’avvento della Repubblica Italiana, l'antico borgo industriale, con le abitazioni per i lavoratori, è stato oggetto di restauri. Le bellezze architettoniche firmate da Ferdinando Collecini, allievo del Vanvitelli, e quelle naturali continuano a emanare le loro suggestioni.
Vale la pena dedicarci una visita: chissà che non incappiate nello spirito del vecchio re, che continua a vagare per queste strade, dove aveva voluto la rigida divisione del traffico dei pedoni da quello dei veicoli! Forse ancora corrucciato per essere stato vinto da un vecchio vescovo, Leucio, di cui non era riuscito a estirpare il nome per sostituirlo con il proprio!
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Creazione della «colonia socialista» di San Leucio, nata pochi mesi prima della rivoluzione francese. Ecco come si aggingevano i Borboni di Napoli ad affrontare la nuova epoca della rivoluzione industriale. Cose incredibili per quei tempi ed anche per oggi.


L'utopia di Ferdinando IV


La fondazione del sito reale di Caserta (1752) si deve a Carlo III, re di Napoli dal 1734, che acquista il contado dal conte Caetani e affida a Luigi Vanvitelli il progetto e la realizzazione del vasto complesso: dimora reale e sue adia¬cenze. Chiamato a reggere il trono di Spagna nel 1759, lascia al figlio ferdinando IV, che gli succede, il compito di portare a termine l'opera, ancora in fase di costruzione. Nei reali domini è compresa l'area in cui sorge il casino del Belvedere, un tempo dei principi di Caserta, e così denomi¬nato per la sua amena posizione: a mezzogiorno, alle falde della collina di San Leucio, con vista dall'alto del palazzo reale. Al nuovo sovrano, che completa 'diligentemente' la reggia voluta dal padre, si deve interamente l'ideazione e la creazione della Colonia di San Leucio. Qui dispone, a cominciare dal 1776, della manifattura delle sete, delle strutture destinate a accogliere l'industria e i residenti; nel 1789 detta le leggi che regolano la vita e il lavoro degli operai e dei loro nuclei familiari. Il re progetta, in aggiun¬ta, di costruire a sud del casino del Belvedere, fuori dal recinto di San Leucio, una nuova città, Ferdinandopoli, ma le vicende della Rivoluzione napoletana del 1799 faranno del tutto svanire il progetto.
«Un luogo ameno e separato dal rumore della Corte» «Le delizie di Caserta e la magnifica abitazione» creata dal padre - sostiene Ferdinando - non consentono la meditazione e il riposo e costringono, ancorché in mezzo alla campagna, agli stessi rituali cittadini di lusso e magnificenza. Nasce da un'esigenza di solitudine e di svago - la caccia - la scelta del rifugio nel bosco di San Leucio, con una prima aggregazione di abitanti, al servizio del re, che costruisce il casino, dove risiede d'inverno e abbellisce e ristruttura la tenuta. Quando, morto il figlio primogenito, il re decide di non abitare più in quel sito, i 'leuciani' sono ormai 134 e, ove abbandonati, soprattutto ipiù giovani, sono destinati alla disoccupazione e a diventare, privi di educazione, «scostumati e malviventi». Ver l'utile dello stato e delle famiglie, l'illuminato sovrano 'escogita' la manifattura delle sete, e detta le regole della comunità, che provvede di case, scuole, parrocchia e sacerdoti: diritti e doveri, modalità di assunzione per gli abitanti e «per gli artisti esteri», pene contro itrasgressori, orario.
Non essendo certamente l'ultimo de' miei desiderj quello di ritrovare un luogo ameno, e separato dal rumore della Corte, in cui avessi potuto impiegare con profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono da volta in volta le cure più serie del mio Stato; le delizie di Caserta, e la magnifica abitazione incominciata dal mio augusto Padre, e proseguita da Me, non traevano seco coli'allon¬tanamento dalla Città anch'il silenzio, e la solitudine, atta alla meditazione ed al riposo dello spirito; ma formavano un'altra Città in mezzo alla Campagna, colle istesse idee del lusso, e della magnificenza della Capitale. Pensai dun¬que nella Villa medesima di scegliere un luogo più sepa¬rato, che fosse quasi un romitorio, e trovai il più oppor¬tuno essere il sito di S. Leucio. Avendo pertanto nell'anno 1773 fatto murare il Bosco, nel recinto del quale eravi la vigna, e l'antico Casino de' Principi di Caserta, chiamato di Belvedere; in un'eminen¬za feci fabbricare un piccolissimo Casino per mio como¬do nel Tandarvi a caccia. Feci anche accomodare un'anti¬ca, e mezzo diruta Casetta, ed altra nuova costruire. Vi posi cinque, o sei Individui per la custodia del Bosco, e per aver cura del sopradetto Casinetto, delle vigne, piantagioni, e territorj in esso recinto incorporati. Tutti questi tali colle loro famiglie furon da Me situati nelle sopradet¬te due Casette, e nell'antico Casino di Belvedere, che fec'indi riattare. Nell'anno 1776 il Salone di detto antico Casino fu ridotto a Chiesa, eretta in Parrocchia per que¬gli Abitanti accresciuti al numero di altre famiglie dic-ciassette, per cui mi convenne ampliare le abitazioni, come feci anche della mia.
Ampliato che fu il Casino, incominciai ad andarci ad abi¬tare, e passarci l'Inverno: ma avendo avuto la disgrazia di perdere il mio Primogenito, e per questa cagione più non andandoci ad abitare, stimai di quell'abitazione farne altro più utile uso. Gli Abitanti sopracitati, con altre quattordici famiglie aggregateci, giunti essendo al nume¬ro di 134, attesa la favorevole prolificazione prodotta dalla bontà dell'aria, e dalla tranquillità e pace domestica, in cui viveano; e temendo, che tanti fanciulli e fanciulle, che aumentavansi alla giornata, per mancanza di educa¬zione non divenissero un giorno, e formassero una peri-colosa società di scostumati, e malviventi, pensai di stabi¬lire una Casa di educazione pe' figliuoli dell'uno, e del¬l'altro sesso, servendomi, per collocarveli, del mio Casino; ed incominciai a formarne le regole, ed a ricercar de' soggetti abili ed idonei per tutti gl'impieghi a tal'uo¬po necessarj.
Dopo di aver messo quasi tutto all'ordine, riflettei, che tutte le pene, che mi sarei dato, e tutte le spese, che vi avrei erogato, sarebbero state inutili; poiché tutta questa gioventù benché ben educata, giunt'ad un'età tale d'aver terminati tutti quegli studj alla di lor condizione adattati, sarebbe rimasta senza far nulla; o almeno applicar volen¬dosi a qualche mestiere, avrebbe dovut'altrove portarsi, per ricercarsi sostentamento; non essendomi possibile di situarne, che pochi al mio servizio nel luogo. Ed in quel caso, come sommamente sensibile sarebbe stato alle rispettive famiglie il separarsene; così anch'Io provato avrei una gran pena di vedermi privato di tanta bella gio¬ventù, che come miei propri figli avea riguardato sempre, ed aveva con tanta pena cresciuti. Rivolsi dunque altrove le mie mire, e pensai di ridurre quella Popolazione, che sempre più aumenta, utile allo Stato, utile alle famiglie, ed utile finalmente ad ogn'individuo di esse in particolare: e rendendo in tal maniera felici e contenti tanti poveretti, che per altro fin' al giorno di oggi essendo vivuti nel santo timore di Dio, ed in ottima armonia e quiete fra di essi, non mi hanno dato menomo motivo di lagnamene, gode¬re Io di questa soddisfazione in mezzo di essi, e delle loro benedizioni, in que' momenti, che le altre mie cure più interessanti mi permettono di prendere qualche sollievo. Utile allo Stato, introducendo una manifatturia di sete grezze, e lavorate di diverse specie fin ora qui poco, o malamente conosciute, procurando di ridurl'alla miglior perfezione possibile, e tale da poter col tempo servir di modello ad altre più grandi.

Utile alle famiglie, alleviandole da' pesi, che ora soffrono, e portandole ad uno stato da potersi mantener con agio, e senza pianger miserie, come fin ora è accaduto in molte delle più numerose ed oziose, togliendosi loro ogni moti¬vo di lusso coli'uguaglianza, e semplicità di vestire; e dan¬dosi a' loro figli fin dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi, e per tutta la famiglia, del pane, da potersi mantenere con comodo, e polizia.
Utile finalmente ad ogn'individuo in particolare, perché dalla nascita ben educati da' loro Genitori; istruiti in appres¬so nelle Scuole normali, già da qualche tempo con profitto introdotte; ed in ultimo animati al travaglio dall'esempio de' loro compagni e fratelli, e dal lecco del lucro, che quelli ne percepiscono, si ci avvezzeranno, e talmente si ci affezione-ranno, che fuggiranno l'ozio padre di tutti i vizj, da' quali infallibilmente ne sarebbero nati mille sconcerti, lasciando inoperosa tanta gioventù, che ora siam sicuri di evitare, per¬ché giunti di mano in mano questi bravi, e belli giovinetti, e fanciulle all'età adulta e propria, venendosi ad accoppiare, aumenterà sempre più questa sana, e robusta Popolazione, composta al giorno di oggi di 214 individui. Oltre i Padri, e le Madri di famiglia, che travagliano, sono già impiegati nelle manifatture molti figliuoli dell'u¬no, e dell'altro sesso, ed in una famiglia, che ne ha alcuni grandi, bastantemente buoni artefici, il loro lucro giorna¬le va da 10 a 12 carlini.
Ora si è ingrandita la Casa di Belvedere per riunirvi tutto il lavorio, e le manifatture, ch'erano disperse nelle diverse abitazioni, e per fare, che tutta quella Gioventù sia riunita
sotto gli occhi di quel degnissimo Parroco, e degli altri non men degni Sacerdoti, che c'invigilano. Si stanno anch'edificando delle nuove Case per comodo di que' giovani, che vadano giungendo all'età di potersi unire in matrimonio, e per quegli Artefici forestieri, che si fissino nel luogo. Di questi ve ne sono alcuni fissati, ed altri, che fanno il noviziato, non essendo che poco tempo, che son venuti.
Lo stato presente delle cose giunto essendo ad un tal ter¬mine, ed avendosi riguardo all'avvenire, sembrami richie¬dere, che questa nascente Popolazione, che in pochi anni può divenire ben numerosa, riceva una norma, per sape¬re i retti sentieri, su de' quali possa diriggere i suoi passi con sicurezza; e nel tempo stesso sia in istato di conosce¬re la sua felice situazione; e questa da qual fonte derivi. Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli Abitanti j di S. Leucio, che da ora innanzi considerar si debbono, come una medesima famiglia, son quelle, che Io qui pro¬pongo, e distendo, più in forma d'istruzione di un Padre a' auoi Figli, che come comandi di un Legislatore a' suoi Sudditi. Procurerò, che siano ristrette, ed adattate, per quanto più si può, allo stato presente, ed alle attuali cir-costanze di questa piccola nascente Popolazione, per cui son fatte. Se questa, crescendo, avrà bisogno di nuovi regolamenti, o se l'esperienza ne indicherà degli altri non preveduti, e necessari, mi riserbo di darli; cercando per altro di non allontanarmi da' principi fondamentali della presente istruzione.
Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna Città, nessun Regno può sussistere, e prosperare senza il timor santo di Dio. Dunque la principal cosa, ch'Io impongo a Voi, è l'esatta osservanza della sua santissima Legge. Due sono i principali precetti della medesima. I. Amar Dio sopra ogni cosa. IL Amar il Prossimo suo, come se medesimo.
Amar Dio sopra ogni cosa è amarlo con tutt'il cuore, con tutta la mente, con tutta l'anima, con tutte le forze: è anteporlo a tutte le Creature; ed amarlo più di tutte le cose a noi più care. Nasce in Noi quest'obbligo dal gran bene, che ci ha fatto, e che ci fa in ogni istante. Egli ci ha creati dal nulla. Egli ci ha redenti col suo preziosissimo Sangue. Egli ci mantiene. Egli ci da quanto ci occorre. L'aria, il cibo, la luce, la salute, i figli, tutto ci vien da Lui. Obbligo dunque di tutti è adorarlo, e venerarlo, com'Ente supremo, ed autor di tutte le cose: di ubbidirlo, come Sovrano Signore, e Padrone: di temerlo come Giudice giusto, a cui nulla è nascosto: di ricorrere a lui ne' bisogni, e di esercitar verso di Lui gli atti di vero culto, e vera devozione. Tutte le mattine perciò al far del giorno corra ciascuno al Tempio ad odorarlo: Si reciti in coro la preghiera; ed ogn'uno in particolare gli offra in olocausto nel S. Sacrifizio della Messa, che ivi si celebrerà, tutti gli atti del suo cuore e della sua mente. Pass'indi alla fabbrica, od in casa; ed attenda nel suo Santo Nome al proprio dovere. Le sere, al tramontar del sole, quando tutti saranno sciolti dal lavoro, si tomi nuovamente in Chiesa alla visita del SS. Sacramento, ed a Lui si rendan tributi di onore, e di gloria pe' benefizi ricevuti, recitandosi anche in coro l'altra pre¬ghiera. Osservi ciascuno i precetti della Chiesa: e frequenti i Santissimi Sacramenti; ed a quest'effetto il Parroco, e gli altri Sacerdoti assistano con assiduita in Chiesa per como¬do di tutti, particolarmente ne' dì festivi. Amar il Prossimo suo, come se medesimo, è non far agli altri quello, che non vorremmo, che fosse a Noi fatto: ed è fare agli altri, quello che vorremmo, che a Noi si facesse. Da questo dettato della Divina Sapienza nascon varj doveri, de' quali alcuni diconsi negativi, altri positivi.

Capitolo I

Doveri negativi

  1.  Doveri negativi son quelli, che impongono l'obbligo di astenersi dall'offender alcuno in qualunque maniera. Or in tre maniere si può offendere alcuno. Si può offendere nella persona, nella roba, e nell'onore.Non si può offendere alcuno nella persona. Si offende alcuno nella Persona o coll'ammazzarlo, o col ferirlo, o col batterlo, o col fargli scherni, dispetti, insolenze, ovvero col molestarlo ed inquietarlo in qualunque modo. Nessuno di questi atti ardirà mai alcun di voi di commettere contra il suo simile; siccome non ardirà mai neppur l'offeso di prender da sé la privata vendetta: ma ricorrerà a' suoi Superiori per la dovuta giustizia; e credendo non averla da quelli ottenuta, potrà anche di poi venire da Me. Vegliano contri tutti questi delitti attentamente le Leggi: ma tanto più veglieranno esse contra quelli, che mai si commettessero in questa Società, che ha per suo principale fine l'amore, e la carità, e che l'esempio dev'essere della pubblica educazione.
  2. Non si può offendere alcuno nella roba. Si offende alcuno nella roba, ogni qualvolta o con violenze, o con inganno si usurpa, o si ritiene ingiustamente quello, ch'è d'altrui. Il titol di ladro è il titol più infame e vergognoso che poss'aver l'uomo. Ciascuno dunque si guardi bene di meritarlo per alcun modo. In ogni Società i ladri son condannati ad atrocissime pene. In questa, dove l'onore, e la virtù sono i principali cardini della medesima, se mai ve ne fossero (che non è neppur da dubitarsi) saranno più rigorosamente puniti. Nelle compre perciò, nelle vendite, nelle permutazioni, ed in ogni altra specie di contratti ognuno si guardi di usar soperchieria, ed inganno. Nessun venditore abusi dell'imperizia del compratore col chiedere un prezzo maggiore del dovere: e nessun compratore si valga mai dell'ignoranza, o della necessità, in cui è tal volta il venditore, per levargli quel giusto prezzo, che gli spetta. Vadan bandite la mensogna, le frodi, e le fallacie nelle misure, ne pesi, nella qualità delle robe, che si venderanno, o compreranno, nella qualità del danaro, ed in tutt'altro, in cui la versuzia, e l'inganno possa usarsi; e si proceda in tutto con candore, onestà, e buona fede. Sia la parola il vincolo più sacro della Società; e tutti sian fedelissimi, e sinceri ne' detti, e ne' fatti. Chi ha fedelmente servito, sia prontamente pagato; né alcuno gli neghi o ritardi la mercede dovuta a ciò non sia causa della sua mina. In somma erigga ognuno nel suo cuore l'altare della giustizia; e tratti col suo simile, come vorrebbe, che questi trattasse con sé.
  3. Non si può offendere alcuno nella riputazione.La riputazione è la cosa più importante e più preziosa, che possa aver l'uomo d'onore; e talvolta togliere altrui la ripu¬tazione è peggior delitto, che offenderlo nella roba, e nella persona. Nessun quindi dirà mai cose false contra di alcu¬no; e chi caderà in questo delitto, vada immediatamente bandito da questa Società. Nessuno dirà ingiurie, e villanie ad altri. Nessuno metterà in ridicolo, ed in beffa il suo fra¬tello; essendo tutte queste cose contrarie a quello spirito di carità, e di amore che Dio comanda, e che Io voglio, per ben della pace, del buon ordine, e della tranquillità delle vostre famiglie, da voi esattamente praticato.

Capitolo II Doveri positivi

I Doveri positivi impongono di fare a tutt'il maggior bene che si possa. Questi sono o generali, o particolari. I generali riflettono sopra tutt'i nostri simili. I particolari riguardano un Ceto particolare di persone, come sarebbe il Sovrano, i suoi Ministri, i Superiori, gli Ecclesiastici, gli Sposi, i Genitori, i Figli, i Fratelli, i Benefattori, i Maggiori di età, i Giovini e la Patria.
Doveri generali 

  1. Ogn'uno deve far bene al suo simile, ancorché sia suo nemico.A ciascun de' i nostri simili Noi dobbiam far sempre il maggior bene, che si possa. Dio comanda, che si faccia per amor suo finanche a' nimici. La più bella vendetta è quella di far bene a colui, che ci offese; ed il più bel piacere è quello di imperare per mezzo delle beneficenze sopra colui, che ci disprezzò. Soccorrerlo nelle avversità, ed aiutarlo ne' bisogni è mostrare a tutti gli uomini la più subli¬me grandezza di cuore e di generosità. Ogni uomo in tutti gli stati può far del bene al suo simile. Il Savio, il Ricco, l'Agricoltore, l'Artista, quando impiegano i loro talenti, le loro ricchezze, le loro fatiche a prò' de' Cittadini, possono ben vantarsi di essere i Benefattori dell'Umanità. Ogni volta dunque, che si presenti a voi l'occasion di giovare ad altri, ciascuno l'abbracci; né mai si spaventi di qualche incomodo che seco porti questa generosa azione; poiché sarà sempre ben compensato da quel dolce e puro piacere, che l'accompagna. Questo sovrano precetto di Dio è fondato sopra quella perfetta uguaglianza, che gli piacque stabilire fra gli uomini. Egli li costituì in natura tutti fratelli, e dispose, che nessuno imperasse sopra di loro, fuor di Lui, o di Coloro, a' quali egli affidasse il governo 'de' Popoli. Per sua mercé Egli ha dato a Me il grave peso di governare questi Regni: ed Io nel dar a voi questa legge non intendo far altro, che seguire i suoi eterni consigli. Sin da prima, che Io concepii il bel disegno di unirvi in società in questo luogo, pensai ancora, di crearvi tutti Artieri, e darvi la maniera di divenirne famosi. La felicità di questi Reami mi fece concepir questa idea. Vedendo, che i tre Regni della Natura, cioè il vegetabile, l'animale, ed il minerale qui per singoiar dono della Provvidenza tengono la propria lor sede, e che solo manca in essi, chi a' naturali prodotti de' luoghi dia le nuove forme, mi risolsi nell'animo di pone ad effetto l'intrapresa. Già son pronte in buona parte le macchine, e gli ordigni corrispondenti al disegno. Solo resta, che per voi ci sia una fissa legislazione, che suggerisca la norma della condotta della vita, e che prescriva gli stabilimenti necessari all'arti introdotte e da introdursi.
  2. II solo merito forma distinzione tra gl'Individui di San Leucio. Perfetta uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso.Essendo voi tutti Artisti, la legge che Io vi impongo, è quella di una perfetta uguaglianza. So, che ogni uomo è portato a distinguersi dagli altri; e che questa uguaglianza sembra non potersi sperare in tempi così contrari alla semplicità ed alla natura. Ma so pure, che vana e dannevolè quella distinzione, che procede dal lusso, e dal fasto; e che la vera distinzione sia quella, che deriva dal merito. La virtù, e l'eccellenza nell'arte, che si esercita, debbon essere la caratteristica dell'onore, e della singolarità; e questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrasegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest'oggetto per evitar la gara nel lusso, e '1 dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando, che '1 vestire sia uguale in tutti: che estrema sia la nettezza, e la polizia sopra le vostre persone, acciò possa aversi quella decenza, che si richiede per rispetto, e venerazione dovuta a Chi si degna portarsi a vedere i vostri lavori: che questa polizia sia anche esatta¬mente osservata nelle vostre case, acciò possa godersi quella perfetta sanità, ch'è tanto necessaria nelle persone, che vivono con l'industria delle braccia. Di voi nessuno ancora ardirà mai chiamarsi col Don, essendo questo un distintivo dovuto soltanto a' Ministri del Santuario in segno di rispetto, e di venerazione.

Doveri particolari 

I. Doveri verso il Sovrano

Dopo Dio devesi a' Sovrani, come dati agli uomini da Dio, la riverenza, la fedeltà, l'ossequio. Le funzioni sublimi, ch'essi esercitano, gli fan dividere colla Divinità questa venerazione. La loro persona dee rispettarsi, come sacra; e tutti gli ordini, che vengon da loro, debbon ciecamente eseguirsi e prontamente osservarsi.

II Doveri verso i Ministri.

Sono i Ministri tutt'imagini de' Sovrani. Ogni posto, che da essi si occupa, si occupa per loro. Per Loro essi comandano; per Loro vegliano alla custodia, ed all'osser¬vanza delle leggi. Per amor di Loro voi dunque dovete ad essi tutti quegli atti di rispetto, e di ubbidienza, che l'au¬torità pubblica esige.

III. De' Matrimoni.

La donna fu concessa da Dio all'uomo per sua ragionevol compagna. Dall'unione di entrambi nacque la propaga¬zione, e conservazione dell'uman genere; e dalla moltiplicazione de' matrimoni ebbero origine, e tuttavia fioriscono le Società, e gl'Imperi. Perché dunque anche questa Popolazione prosperi, ed aumenti sotto la benedizione dell'Altissimo, vi voglion de' matrimoni, la celebrazione de' quali per voi Io sottopongo alle seguenti leggi.
  I. L'età del giovane non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16.  Ed in queste circostanze né anche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino che dal Direttore de' Mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la fanciulla, non vengano con attestato dichiarati provetti nell'arte, a segno di potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della lor buona riuscita si concederà da Me ad esse una delle nuove case, che ho espressamente fatto costruire con tutto ciò, che è necessario pe' comodi della vita, e i due mestieri, co quali lucrar si possano il cotidiano mantenimento. Quando un giovine giunto all'età stabilita, avrà inclinazione per una giovane, che sia anche dell'età prescritta ed abbiamo ambedue appreso le rispettive arti, dovrà subito dame parte a' suoi genitori, i quali n'avvertiranno quelli dell'altra parte per loro intelligenza, e perché di comun consenso badino sulla condotta de' figliuoli, a ciò tutto vada con decenza, ed acciocché non accada inconveniente alcuno; potendo ben darsi il caso, che su di una medesima persone più di uno pretenda.

 III. Nella scelta non si mischino punto i Genitori, ma sia libera de' giovini, da confermarsi nella seguente maniera, Nel giorno di Pentecoste nella Messa solenne, in cui interverranno tutti gli abitanti del Luogo, e le fanciulle, edì giovini esteri, che travagliano nelle manifatture, da due fanciullini dell'uno, e dell'altro sesso si porteranno all'Altare per benedirsi da chi celebra, due canestri pieni di mazzetti di rose, bianche, per gli uomini, e di colo; naturale per le donne; e nel terminar questa funzione à ciascun individuo se ne prenderà uno, come le palme Nell’uscir poi dalla Chiesa, i Pretendenti nell'atrio di essi dov'è il Battisterio, presenteranno il loro mazzetto é ragazza pretesa; e questa accettandolo, lo contracambiei' col suo; ma escludendolo, con polizia, e buona maniera lido restituirà; e né all'uno, né all'altra sarà permesso contestazione alcuna; e perciò i primi ad uscir di Chiesa, e situarsi nel sopradetto atrio saranno i Seniori del Popolo per imporre loro la dovuta soggezione. Coloro, che contra-cambiato si saranno il mazzetto, lo porteranno.in petto sino alla sera; quando dopo della S. Benedizione accompagnati da' rispettivi Genitori si porteranno dal Parroco, che registrerà i nomi, e la parola. Dopo questa funzione sarà permesso farsi quant'altro incumbe a norma del Concilio di Trento, e di ogni altro requisito della legge, in Chiesa, in cui interverranno i Seniori del Popolo, e i Direttori, e le Direttrici dell'arti, non solo per solennizzare con quella pompa, che si richiede, questo gran Sacramento, ma per contestare agli Abitanti, che gli Sposi meritano la stima di tutti per la bontà del loro costume, e per essersi coU'arte, che già hann'appresa, resi utili a loro, alle famiglie, allo Stato, e che per tutt'il tempo deUa loro vita non vivranno mai a peso di alcuno.

IV. Essendo lo scopo di questa Società che tutti rimangon nel luogo; quindi per impegnarli a restare, alle figliuole, ch'abbian imparata l'arte, e voglion maritarsi fuori, non sarà dato altro, che soli docati 50 per una volta tantum e dal momento saran considerate com'estere, senza speran¬za di mai più potervi tornare.
V. Quando un giovine abitante, o artefice vorrà prender in moglie una estera, non potrà farlo, se prima tal giovane che egli vuoi sposare, non abbia appreso il mestiere in questa, o in altra manifatturia.
VI. E se assolutamente voglia prender in moglie una este¬ra, che non abbia arte in mano, dal momento uscir debba dal luogo, di dove non sarà più considerato come Individuo, e senza speranza di potervi più ritornare.
VII. Que' giovini dell'uno, e dell'altro sesso, che giunti sieno all'età di 16 anni senza essers'impiegati nelle manifatture per mancanza di volontà, saranno mandati in Casa di correzio¬ne, col divieto di non poter mai più tornare nel luogo.
E coloro, che impiegaticisi non abbian nulla appreso per mancanza di applicazione, saranno mandati in Casa di educazione, col divieto di non poter tornare nelle lot
case, se non istrutti.
VIII. Essendo lo spirito, e l'anima di questa Società l'eguaglianza tra gl'Individui, che la compongono, aboli¬sco tra' medesimi le Doti, e dichiaro, che ciocché da Me sarà per beneficenza somministrato, come di sopra si è detto, in occasione di matrimoni, sarà solo per premio della buona riuscita, che gli sposi avranno fatta nell'arte, e nel buon costume: beneficenza, che a loro accorderò col divino aiuto sino alla quarta generazione, dopo di che la donna porterà il solo necessario corredo; dovendo aver dopo la morte de' Genitori, la parte eguale co' maschi, com'in appresso sarà prescritto.
IV. Degli Sposi.
Capo di questa Società coniugale è l'uomo. Natura gli deferì questo dritto: ma gli proibì nel tempo stesso di opprimere e di maltrattare la sua moglie. Con tuono di maestà in ogni occasione gl'intima l'obbligo di amarla, di difenderla, e di garantirla da' pericoli, a' quali la sua debolezza la porterebbe. Il marito deve alla moglie la protezione, la vigilanza, la previdenza, gli alimenti, e le fatiche più penose della vita. La moglie deve al marito la giusta preferenza, la tenera amicizia e la cura sollecita per cimentare da più in più la cara unione. Impone ad essi natura questi sacri precetti non solo per ispirare sul di loro esempio ad ogni altro Individuo i sentimenti della Società, ma perché divenendo Genitori, non sien i figli infelici, e negletti tra le dissenzioni, e le discordie dome-stiche; ed in luogo di presentare Cittadini buoni, ed utili alla Patra, gli dian discoli, e perversi. Or per seguire que¬sto gran disegno della natura, sempre savia nelle sue ope¬razioni. Io prescrivo, e comando ad ogni marito di questa Società di non tiranneggiar mai la sua moglie, né di esser-e ln8iusto, togliendole quella ricompensa che sia dovuta alla di lei virtù: ad ogni moglie, che rendasi cara al suo marito; che nelle cure, e ne' travagli sia la sua fedele com. pagna; e che l'onore richiami sul comun letto maritale le celesti benedizioni.
V. De' Padri di Famiglia.
È il principal fine del matrimonio la procreazione della Prole. Divenuti gli sposi Genitori de' figli, eccoli sottoposti ad altri più pesanti doveri, ed a più precise obbligazioni. Il Padre è nelTobbligo di sovvenire, di assistere, di soste¬nere insiem colla madre i propri figli. Entrambi son tenuti di educarli, e di procurar loro uno stato di felicità in que¬sto Mondo. Per le loro o della loro compiacenza e conten¬tezza, o del loro continuo rammarico. Per le loro o solleci¬te o trascurate cure diverrann'essi l'oggetto o della loro compiacenza e contentezza, o del loro continuo rammari¬co. Per loro saranno membri utili, o disutili della Società; buoni, o viziosi; onorati, o infami; comodi, o bisognosi. A voi dunque, che già Padri siete, o a cui toccherà in sorte di esserlo, a voi comando di educar bene i vostri figliuoli. Se voi ispirerete a tempo l'amor della fatica, essi saranno utili a se, a voi, alla Patria. Se la modestia, e la sobrietà, non avrann'occasione di vergognarsi. Se la gratitudine e la carità, otterranno benefìzi, e si guadagneranno l'amore di tutti Se la temperanza, e la prudenza, saranno sani, e for¬tunati. Se la giustizia e la sincerità, sarann'onorati, e non sentiranno rimorsi nel cuore. Se finalmente la religione, essi vivranno, e moriranno contenti. Questo è di tutt'i doveri l'articolo più importante; e perché scorgo che da esso deriva non solo la pace, e 1 ben essere delle famiglie, ma benanche la prosperità, e la felicità dello Stato, Io sono entrato a prendervi la principal parte.
VI. Leggi per la buona educazione de' Figli. Già è situata in Belvedere la Scuola normale, in cui s'in¬segna a' fanciulli, ed alle fanciulle sin dall'età di anni 6 il leggere, lo scrivere, l'abbaco; il catechismo della Religione; i doveri verso Dio, verso sé, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato; le regole della civiltà, della decenza, e della polizia; i catechismi di tutte le arti; 1 economia domestica; il buon uso del tempo, e quant'al-tro si "chiede per divenir uom dabbene, ed ottimo Cittadino. Obbligo vostro sarà che tutt'i vostri figli del¬l'età prescritta vadan nelle date ore del giorno alla scuola Per renderli ancora utili a voi, allo Stato, e ad esso loro e per non farli andare altrove a cercar la maniera d'impie¬garsi, ho provveduto questo luogo di macchine, d'istru-menti, e di artisti abili ad insegnar loro le più perfette manifatture e vi s'introdurranno ancora tutte quelle altre arti, che hann'immediato rapporto coll'introdotte, ad oggetto di aversi quell'insieme, che indispensabilmente vi si richiede per l'economia e per la perfezione. Vi saranno stabilimenti particolari pel buon ordine, e sistema delle manifatture, ne' quali sarà fissato l'orario del lavoro secondo i dati mesi dell'anno. I prezzi del lavoro d'ogni manifattura saranno fissi; ma il giovine, o la fanciulla apprendente salirà per gradi, e come anderà perfezionandosi nell'arte, sino al prezzo, che godesi da' migliori artisti, nazionali e forestieri. Pervenuti a que¬sto stato, se avran talento da portare la di loro opera ad un altro grado di maggior bellezza, e perfezione, si terran de concorsi; e quello, o quella, di cui il lavoro sarà più bello, più esatto, e più perfetto, avrà per premio il distintivo o una medaglia d'argento, ed in qualche caso anche d'oro, che potrà portare in petto; ed in Chiesa avrà la privativa di sedere per ordine di anzianità nel Banco, che sarà chiama¬to «del merito», che sarà situato unicamente per i giovani di tal fatta alla parte sinistra dell'Altare. Le cognizioni perfette della Divinità, la scienza di tutte le sociali virtù, l'amore e la continua applicazione al lavoro, il desiderio di distinguersi per via di merito, il giusto com¬penso che troveranno nella fatica, mi fanno sperare, che un giorno possan divenire gli oggetti della mia compia¬cenza, come della vostra tenerezza; e possan giustamente ereditare da voi tutto quello, che voi colli vostri sudori vi avete onoratamente procacciato. Ed in questo ancora voglio, che siate distinti da tutto il resto de' miei popoli.
VII. Leggi di successione.
Voglio, e comando, che tra voi non vi sian testamenti, né veruna di quelle legali conseguenze, che da essi proven¬gono. La sola giustizia naturale, e la natural'equità sia la face, e la guida di tutte le vostre operazioni. I figli succedano a' Genitori, e i Genitori a' Figli. Abbian luogo i collaterali, ma nel solo primo grado. In mancanza di questi succede la moglie, ma nel solo usufrutto, e fino a che manterrà la vedovanza. Dopo la di lei morte, e sempre nel caso di mancanza di tutti li sopradetti eredi, sian i beni del defunto del Monte degli orfani, delle cui rendite si forma una Cassa, che chiamerassi degli Orfani da amministrarsi per ora dal Parroco, che sarà obbligato di dame a Me conto.
Se poi mancan degli orfani di padre, e di madre, i quali non sien ancora in istato di lucrarsi colle proprie fatiche il cotidiano alimento, mia sarà la cura di mantenerli e farli educare col prodotto della sopradetta Cassa, e col di più, che vi necessiti.
Abbian i figli porzion eguale nella successione degli ascendenti; né mai resti escluso la femina dalla paterna eredità, ancorché vi sian de' maschi.
VIII. De' figli di famiglia.
Impressi dall'Altissimo fin da' primi momenti della crea¬zione ne' cuori de' Genitori i sentimenti di sì sviscerato amore verso de' figli, era senz'altro della sua Divina giustizia prescriverne a' medesimi il gran precetto di onorarli Tante pene, tanti sudori, tanti affanni meritavano certamente un onorato compenso. Io che le veci di Dio sopra di voi sostengo, sull'esempio del suo tremendo comando, l'istesso precetto a voi rinnovo. Rispettate, o figli, i vostri genitori: ricevete con umiltà i loro avvisi, e le loro correzioni soffrite volentieri anche i castighi: ed emendazione de' vostri vizj, e de' vostri difetti: serviteli: soccorreteli: compiaceteli in ogni cosa: siate loro grati, e non dimenticate neppur un momento i benefizj ricevuti: e soprattutto astenetevi da ogni atto, che possa offen¬derli.
Questo il gran Dio vi precetta, e questo anch'Io coman¬do. E se Dio maledice que' figli, che sono irrispettosi a' padri, Io li bandisco per sempre da questa Società, come mostri indegni di più stare nella medesima. Anzi perché in essa non alligni razza di gente così inumana, condan¬no ali istessa pena colui, che essendo stato presente lngiuria, non sia corso immediatamente a darne parte a’ Seniori del Popolo, per passarne a Me prontamente l’avviso.
IX. De' Fratelli.
L'amore è l'anima di questa Società. Dunque, voi, o fra¬telli, figli di un istesso padre, e che il latte succhiaste di una madre istessa, amatevi con vero amore; aiutatevi scambievolmente con vera premura: vivete fra di voi in perfetta concordia; nessuno abbia invidia dell'altro, e soffochi all'istante nel suo cuore que' sentimenti di odio, e di vendetta, che mai concepito abbia per qualche torto dall'altro ricevuto. L'offeso reclami l'autorità del padre, se vive, ed alle determinazioni di questi placidamente si sottometta, e si accheti. In mancanza poi del padre corra a' Seniori del Popolo, e la pace da loro implori. L'odio tra' fratelli è la più brutta, la più perfida, la più idegna, e scandalosa cosa, che possa vedersi sulla Terra.
X. De' discepoli.
1 Maestri equivalgono a' Genitori. Se i Genitori danno la vita, i Maestri danno la maniera di sostenerla. Quegli obblighi dunque, che i figli hanno a' Genitori, quelli stessi i discepoli hanno a' Maestri. Ad essi debbono l'amore, e a gratitudine: ad essi l'ubbidienza, ed il rispetto. La pratica per tanto di tutti questi doveri alla grata riconoscenza di tutte le loro cure Io anche a voi costantementmpongo.
XI. De' Benefattori.
Se v'ha sulla Terra creatura, che possa in un ito modo gareggiare colla Divinità, egli è senz'altro il hefattore. Deve a questo il beneficato il prezzo del keficio in tutta la sua estensione.
Se, per esempio, un infelice vicino a perder li-ita per la fame, trova un'anima benefica, che lo ristorigli deve al Benefattore la vita: se lo soccorre ad uscire le miserie, a lui deve tutto quel comodo, che acquista: si> porta ad esserre felice, a lui deve tutta la felicità. Gli dlighi dun¬que de' beneficati sono sempre assoluti: a nio di essi è lecito sconoscerlo senza la taccia d'ingrato.! ingratitu¬dine è un vizio così odioso, e detestabile, cheivolta tutta l'umanità. Ogni uomo ha interesse ad odii l'ingrato, perché riconosce in lui uno, che tende a scoiggiar l'ani¬me benefiche, a bandir dal commercio delirila la com¬passione, la bontà, la liberalità, e quel santtlesiderio di giovare, che forma il modo più sacro della Sietà. Voi dunque, quanti siete in questa Società, rispettate chi vi benefica: contestategli in ogni occasione i sentimenti della più sincera riconoscenza: soddisfate a tutt'i suoi desiderj: non l'inducete mai a pentirsi di tutto quello, che vi fa: ma dategli continui motivi di spandere sempre più sopra di voi le sue beneficenze, e di estenderle sul vostro esempio sopra degli altri.
XII. De' Giovani.
I vecchi, e tutt'i maggiori di età avendo meritato da Dio il dono di essere di questo Mondo prima dei giovani, è quindi un dovere di questi venerarli, ed ubbidirl'in tutte le cose lecite, ed oneste. Nessuno per conseguenza può oltraggiarli: che anzi debbon tutti rispettare la loro venerando età, ed ascoltare, e seguire i loro prudenti consigli. E se mai alcuno vi sarà tra voi, che abbia il temerario ardire di usare loro poco rispetto, e poca venerazione, il padre, o se questi manca, i Seniori del Popolo per la prima volta l'ammoniranno seriamente: per la seconda volta faranno dal figlio chiede¬re perdono in pubblica Chiesa al Vecchio offeso; e per la terza volta se ne passerà a Me l'avviso per espellerlo dalla Società.
XIII. De' Vecchi.
Dovere però de' vecchi, e de' padri di famiglia sarà sempre dar a' giovani, ed a' figli il buon esempio non solo nell'e¬semplarità della vita, ma anche nell'amor della fatica; poi¬ché se essi saranno sobrj, religiosi, prudenti, laboriosi, modesti, tali saranno i giovani, ed i figli; e così si avrà nella Società quel fondo di virtù, che ardentemente desidero.
XIV. De' Seniori del Popolo. Tempo di eligerli, e loro doveri. Tra questi, comando, che in ogni anno nel giorno di San Leucio se ne scelgan cinque de' più savj, giusti, intesi, e prudenti, i quali senza strepito giudiziario col dolce nome di Pacieri, e di Seniori del Popolo, di unita col Parroco, decidano tutte le controversie civili, e d'arti senza appello: provvedano, e procurino, che nella società non manchi nessuna delle cose di prima necessità; mentre liberamente si permette a chiunque voglia di aprir Forni, Macelli, Cantine, ed ogni altra bottega di comestibili, ma coll'obbligo di tener le provviste per comodo della Società, dal principio fino alla fine dell'anno, e di vendere a giusto prezzo i generi, e non maggiore dell'assisa di Caserta, senza frode, e senz'inganno; e coll'obbligo speciale a' ven¬ditori di vino di non far mai nelle loro botteghe, o cantine giuocare a veruna sorta di giuoco, ancorché lecito, o per ischerzo, sotto pena di essere immediatamente sfrattati dalla Società. Si assicureranno di tutti questi articoli i Seniori suddetti con le debite sicurtà; ed invigileranno sulla bontà de' generi, e su tutt'altro, che convenga col massimo rigore, e colla più religiosa esattezza. Sarà cura de' sopradetti Seniori ancora di invigilare rigi¬damente sul costume degli individui della Società, sull'as¬sidua applicazione al lavoro, e sull'esatto adempimento del proprio dovere di ciascuno. E trovando, che in ess'al-ligni qualche scostumato, qualche ozioso, o sfaticato, dopo averlo due volte seriamente ammonito, ne posseran-no a me l'avviso, acciò possa mandarsi o in casa di corre¬zione, o espellersi dalla Società, secondo le circostanze. Della proprietà, e nettezza delle abitazioni sarà anche loro la cura, perché da tutti si osservi; prendendone specialmente occasione nella visita degli infermi, che dovranno giornalmente fare, per darmi distinto raggua¬glio del numero di essi in unione del Medico, della qua¬lità delle malattie, e de' soccorsi straordinari, di cui necessitassero.
Loro cura parimente sarà di dar'esatto conto de' Forestieri che capitassero nel luogo, e dovessero pernot¬tarci; colla distinzione del motivo perché siano venuti: in casa di chi rimangono, e per quanto tempo.
XV. Dell'inoculazione del Vaiuolo, e degli Infermi. Vi sarà perciò una Casa separata totalmente dall'altre in luogo di aria buona, e ventilata, chiamata dagl'Infermi. In questa ne' debiti tempi di autunno, e di primavera d'ogni anno si farà a tutt'i fanciulli e le fanciulle della Società, l'inoculazione del Vaiuolo. In ess'ancora si tra¬sporteranno tutti coloro, che saranno attaccati da morbi contagiosi, tanto acuti, che cronici. Per questa Casa vi saranno i suoi regolamenti particolari, riguardant'il buon governo non solo degl'infermi, ma benanche l'economica amministrazione. Un Prete tra gli altri assisterà sempre in
essa per comodo degl'infermi, ed ora l'uno, ora l'altro de' Seniori del Popolo tutte le mattine, e tutt'i giorni ne faranno la visita, per vedere, se tutt'è in buon ordine, se vi è la massima polizia possibile, e se gl'infermi sono assi¬stiti tanto nello spirituale, che nel temporale colla massi¬ma esattezza, e scrupolosità. I Medici, i medicamenti, le biancherie e quant'altro occorre pel mantenimento del luogo, e degl'individui, tutto sarà sempre da Me sommi¬nistrato.
XVI. Maniera di eligere li Seniori del Popolo. L'elezione de' sopradetti Seniori si farà, congregandosi tutti i Capi di famiglia dopo della Messa solenne con tutto il rispetto, e con tutta la decenza nel salone del Belvedere, per bussola segreta, ed a maggioranz de' voti, sempre presidente il Parroco.
Dell'elezione se ne farà subito a Me rapporto per ottene¬re la confirma, ed in virtù di essa potran godere dell'ono¬rifica distinzione di sedere in Chiesa nell'altro banco del merito, situato a fronte di quello de' giovani dalla parte destra dell'Altare.
XVII. Degli Artisti poveri. Della Cassa di carità, e suoi regolamenti.
Per effetto di quell'amore, ch'è l'anima di questa Società, e per quello spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa Popolazione, come una sola famiglia, giusto è ancora che se tra voi si trovi in Artista, privo di moglie e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane per loro, e pel povero padre caduto in miseria o per vecchiaia, o per infermità, o per altra fatai disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero infingardaggine; sia da tutti comu¬nemente soccorso, acciò non si riducano nello stato di andar mendicando, ch'è lo stato più infame, e detestabile, che sia sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità, dalla qual sian codest'infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrare il pane. Avrà questa Cassa per fondo un rilascio di un tari al mese, che ogni manifattu¬riere, che sia in istato di guadagnare più di due carlini al giorno, farà in beneficio della medesima; e di quindeci grana al mese, per quelli che guadagnino meno di due carlini al giorno. Sarà ess'amministrata dal Parroco, da' Seniori, e da' Direttori dell'arti, i quali rilasceranno in beneficio della sopradetta Cassa quello, che più la pietà lor detti. Tutti daranno il voto nel caso di doversi soccorrere qualche infeli¬ce. L'esazione si farà nel seguente modo. Tutti gli Artisti di qualunque condizione siano, saran descrit¬ti in uno Stato. Questo si affiggerà nell'atrio della Chiesa, dove ogni prima Domenica di mese, la mattina, dopo un dato segno di campana, che si chiamerà la Carità, si troverà il Parroco, sempre che possa (o chi egli destinerà degli altri Sacerdoti) a ricevere da' medesimi la somma prescritta, che farà notare da ciascuno di proprio carattere in un libro, che appositamente si terrà. Raccolta la Carità, si farà la numera¬zione degli Artisti con la nota, o sia Stato alla mano, e della moneta pagata in presenza de' Seniori, e de' Direttori; e si vedrà, se tutti hanno adempito al loro dovere. Chi non abbia adempito, si noterà in un foglio, che si affiggerà in una tabel¬la chiamata de' Contumaci, che si sospenderà appresso allo Stato degli Artisti, acciò ogn'uno sappia il contumace. Chi manca per tre volte, e non purgherà la contumacia pagando nell'ultima volta tutto l'attrasso, sia cassato dallo Stato sopradetto, e non goda più né questo privilegio personale in caso di disgrazia, né l'esequie, e gli altri suffragi, come in appresso si dirà, a spese della Cassa suddetta; su di che invigileranno rigorosamente i Seniori. Questa Cassa sarà chiusa a tre chiavi, delle quali una ne terrà il Parroco, un'altra li Seniori, e la terza finalmente li Direttori. A nessuno sarà mai lecito di disporre di un grano di essa per altro uso, in fuori di quello detto di sopra, o di quant'altro in appresso si dirà. Ogni anno fatta l'elezione de' nuovi Seniori del popolo, si farà la numerazione del denaro in essa esistente, e se ne farà la consegna a' nuovi Eletti insiem colle chiavi. Il Parroco, e li Direttori riter¬ranno sempre le chiavi presso di loro, e solo si renderan¬no indegni di questa prerogativa coloro, che si mostre¬ranno infedeli verso di essa. Appena entrati in governo i nuovi Eletti prenderanno i conti dell'introito, ed esito da tutte le soprammentovate persone, e subito si rimetteran¬no a Me per poterli far esaminare, e discutere.
XVIII. Dell'esequie, e de' lutti.
L'esequie sian semplici, divote, e senza distinzione. Il Parroco, e li soli Preti del luogo associeranno il cadavere senza esiger'emolumento alcuno. Quando il cadavere sarà in Chiesa (ciocché non si farà se non venti quattro ore dopo morto) si farann'ardere d'intorno al medesimo solo quattro candele. Ciascun Prete celebrerà per l'anima del defonto una Messa letta, ed il Parroco la cantata. Il cadavere di un Seniore del Popolo, che muoia in ufficio, sarà associato dal Clero, come sopra, e da tutti i Capi di famiglia, portanti avanti del medesimo le candele accese in riconoscenza de' buoni servizj prestati alla Società. Nella morte finalmente di un Direttore, o di una Direttrice di arti, oltre il Clero suddetto vi anderanno ad associarli li giovani, e le giovani discepoli con le candele come sopra. Tanto la spesa per le Messe, che per le can¬dele sarà fatta dalla Cassa, alla quale tornaranno li residui di queste. Non vi sian lutti, e solo nelle morti de' genitori, e degli sposi, per gli ultimi uffizj dovuti a' medesimi sia permesso alla tenerezza de' figli, delle mogli, e de' mariti un segno di duolo di un velo al braccio per l'uomo, e di un fazzolet¬to nero al collo per la donna per due mesi solo al più.
XIX. Della Patria.
La Patria è la cosa più cara, che siavi sulla terra. Essa ha in custodia la roba, le spose, i padri, i figli, le madri, la libertà, la vita de' Cittadini. Ognuno trova in essa come in un centro, tutte le sue delizie. Tutti dunque debbono ad essa tutti quegli obblighi, che di sopra si sono a parte a parte descritti. Ogn'uno deve teneramente amarla. Ogn'uno deve procurarle tutt'i beni, e allontanarle tutt'i mali. Ogn'uno deve difenderla a costo della roba, del sangue, e della vita dagl'insulti, e dagli attacchi de' nemi¬ci. Dalla salute di tutti dipende la salvezza di ogn'uno. Più di tutti però essa esige da voi nelle occasioni la sua difesa. L'Agricoltore, che deve co' suoi sudori cacciar dalle viscere della terra il mantenimento per sé, e per voi, non può la terra abbandonare. Se per darle soccorso corre all'armi, e gitti il pesante aratro, egli senza pane priva se e gli altri di quella vita, che cerca salvarsi. Voi, voi, che per loro vivete, voi avete più stretti, e più precisi obblighi a difenderla. Se voi dall'arti passate all'armi, l'Agricoltore co' suoi sudori sosterrà voi sul campo, e farà vivere i vostri padri, i vostri figli, e le vostre spose tra i loro teneri amplessi. In vece dunque di menar vita ozio¬sa ne' dì festivi, ed esporvi a' pericoli, dove l'ozio trasci¬na, correte, dopo aver santificata la festa coll'adempi-mento del proprio dovere, e dopo di aver nelle ore deter-minate presentat'i lavori, per riscuoterne la dovuta mer¬cede, correte, dico, ad esercitarvi nel maneggio dell'armi, che vi sarà insegnato dalle persone a tal oggetto più adat¬te, e vi saranno anche de' premj, proporzionati per colo¬ro, che in esso si distingueranno. A voi ancora spetta onorarla in tempo di pace. Come i fiori fanno colla loro varietà ricco ricamo al verdeggiante prato; così voi colle vostre produzioni restituir le dovete quel lustro, e quello splendore, che un dì fece invidiarla a tutta Europa.
Capitolo III Degl'impieghi
Io intanto intento sempre a premiarvi, assicuro tutti gli abi¬tanti di San Leucio, che ad esclusione degl'esteri, essi saran sempre impiegat'in tutti gli impieghi, che vacheranno nel luogo: preferendosi però sempre fra i pretendenti il più abile, capace, e di buona condotta. Al nuovo impiegato non si darà, che la metà del soldo del defonto, quando quello lasci la vedova (con figli che non siano ancora in grado di lucrarsi il proprio sostenimento) alla quale si darà l'altra metà. Rimanendo poi la vedova sola, o con due figli almeno, che guadagnino già due carlini al giorno per ciascheduno, resterà alla vedova il solo terzo, ed il rimanente si darà al nuovo impiegato, per averlo tutto alla morte della vedova.
Capitolo IV Degli artisti esteri
Presentandosi Artefici esteri per essere ammessi al lavo¬ro, dopo di aver esibit'i loro requisiti, o dato le notizie convenienti per farli venire; e dopo essere stati provati; e trovati abili, volendosi fissare nel luogo, e godere di tutte le prerogative, e privilegi degli altri abitanti, dovranno per un'intero anno dar non equivoche ripruove di ottimi costumi, ed assidua applicazione al lavoro per esservi ascritti; nel qual caso avranno l'abitazione, e gli utensilj di sopra detti. Non trovandosi poi tali, saranno immediata¬mente rimandati via.
Capitolo V
Delle pene generali contra i trasgressori Tutte le leggiere mancanze, che si commetteranno dagli abitanti sopradetti, verranno economicamente punite a proporzione del fallo.
Ogni minimo accidente contra il buon costume sarà punito con espellers'immediatamente dal luogo il colpe¬vole, o colpevoli, e privars'immediatamente il Genitore, o i Genitori per un anno di tutt'i proventi, e regalie. A chiunque, sia uomo, o sia donna, ardisce mutare in menoma parte il metodo e la moda prescritta di vestire, sarà immediatamente proibito vestir più l'abito del luogo; per tre anni sarà considerato com'estraneo; e sarà privo, come di sopra si è detto, di tutt'i proventi, e regalie, che dagli altri si godono.
Qualunque altro fallo, che sia suscettibile di pena di corpo afflittiva, ovvero infamante verrà punito collo spogliars'im-mediatamente, e con il massimo segreto, il colpevole degli abiti del luogo, e sarà consegnato alla giustizia ordinaria. Quest'è la legge, ch'Io vi dò per la buona condotta di vostra vita. Osservatela, e sarete felici. {Ferdinando IV1789)
«Che allato gli sedete Sposa e Regina» Libretto stampato nello stesso anno della promulgazione del codice di San Leucio e pubblicato, come quello, dalla Stamperia Reale, a cura di Domenico Cosmi, ufficiale della Reale Segreteria di Stato e Casa Reale. All'introduzione indirizzata alla regina Maria Carolina d'Austria, segue la raccolta di poesie, in italiano, latino, greco, napoletano e francese, 'osannanti' Ferdinando e la sua opera. Molti ài questi poeti improvvisati, in seguito, saranno colpiti dall'i¬ra del sovrano, perché accusati di giacobinismo. Un esem¬pio per tutti la illustre gentildonna Eleonora Pimentel Fonseca (condannata dieci anni dopo a morte dallo stesso re), che in quest'occasione manifesta, in versi, tutto il suo entusiasmo per la nobile iniziativa.
Alla sacra Real Maestà di Maria Carolina d'Austria Regina delle due Sicilie
Signora
Gli elogj di un Re non ad altri, che ad una Persona Reale meritano d'esser consecrati; ma quelli di Ferdinando IV Re delle Sicilie, scritti in molte parti d'Italia per le Leggi date alla nascente Popolazione di San Leucio, non ad altri più degnamente, che alla M.V., che allato gli sedete Sposa e Regina, e che secolui dividete magnanima le cure, gl'interessi, e la pace dello Stato. I talenti dello spi¬rito, e '1 carattere deciso del cuore, di cui la Provvidenza vi ha dotata, vi costituiscono superiormente a tutti nel dritto di ben intendere l'alta e riposta sapienza, che in quelle poche pagine, sott'un'aria semplice, contiensi. Formata V.M. sin da' più teneri anni a regnare; resa spet¬tatrice dell'eroiche gesta di una Madre, che col valorosa-mente difenderlo, seppe fondar di nuovo un Impero, ben comprendete tutti gli arcani di quell'arte divina, che versa sulla felicità delle Nazioni. No, non è ignoto a V.M., che il dover di ubbidire al suo Sovrano è sempre prece¬duto dal dover di ubbidire all'Esser supremo: che i prin¬cipi immutabili di ciocché è giusto ed equo in tutt'i casi, è la voce universale della ragione; e che distinguer quello, ch'è più utile ad un Regno, che ad un altro, forma il più difficile dell'arte di governare. Non è ignoto a V.M., che '1 governo Patriarcale è l'immagin vera del Monarchico:
Che per aver questo su basi sicure ed immancabili, egli è necessario stabilir quello de' Padri su' principi certi, ed indubitati: Che l'educazione pubblica è la primaria origi¬ne della pubblica sicurezza, e della pubblica tranquillità: Che la buona fede è la prima di tutte le sociali virtù: Che l'uguaglianza è l'anima generativa di quell'amore, che lega, e stringe i cuori de' mortali: Che la sola distinzione nascente dal merito è lo spirito sollevatore delle arti, del¬l'industria, e delle scienze: Che le ricchezze inesauste d'un Popolo son quelle, che vengono dall'agricoltura; e che i germi riproduttivi di questa crescon sempre a misu¬ra, che s'agiti il soffio vivificante di quelle. Sa molto bene la M.V. ancora, che un comodo vivere facilita i matri-monj, e questi la Popolazione; e che i Popoli ricchi, e non i poveri, quantunque numerosi, sono i più forti sulla terra: Che pieno un Regno territoriale di coltivatori, e poste le terre in tutto il massimo lor valore, allora nasco¬no gli artieri, e gli opera], e quindi sorge, e germoglia quel commercio, il quale ferma e stabilisce la felicità, e la potenza di uno Stato: Che '1 superfluo è la vera ricchezza di una Nazione; e che quanto questo è maggiore, tanto più quella divien potente, e felice: Ch'una libertà indefi¬nita interna di commercio promuove l'industria, ed anima i Popoli; ma che una malintesa libertà esterna, la quale seco trasporti parte del necessario, rovina le Società, e gl'Imperj. Sa, che le manifatture sono l'arte di dar nuove forme a' prodotti naturali de' luoghi; e che quel Regno è sempre più ricco e più potente degli altri, che ha più prodotti a manifatturare: Che il lusso ben regolato forma lo splendore de' Regni; ma che lo sregola¬to ne prepara, ed accelera la rovina: Che la virtù più sublime del Trono è la cura del Popolo, e la tutela degli orfani, e de' miserabili; Finalmente, che tutti son per natura obbligati a difendere il proprio Principe, e la pro¬pria Patria; ma che ne' Regni territoriali l'artiere dev'es¬serlo più dell'agricoltore, affinchè per le rinascenti ric¬chezze restin sempre insuperabili e forti. Tutti questi sono, S.M., i principi, da cui il gran Re ha tratte le leggi, che ha scritte con quella semplicità, che incanta. Ma non tutto questo è però ciò, che forma il capo d'opera di quella quanto breve, altrettanto savia legislazione. È il più gran problema quello: Se gli uomini saran sempre fra di loro nemici; e se vi è mezzo da ren¬derli fra loro amici, e quindi beati? Senza invilupparsi questo grande Speculator della natura in lunghe discetta¬zioni, col mettersi solo a' fianchi la giustizia naturale, e la naturale beneficenza, risolve, e stabilisce colla più profonda sapienza, che il governo, che possa condurre l'intera umanità alla beatitudine di quaggiù, è la sola Monarchia, in cui il Monarca governi da Padre, e non da Despota. Per dimostrarlo fonda non per azzardo, o per capriccio, ma con studio, e con riflessione una Colonia, e da alii di lei Individui una serie di precetti, atti a regolare tutta l'umanità. Scorra chiunque i secoli più remoti del¬l'antichità: legga i codici delle leggi d'ogni Popolo; vegga se v'è stato Legislatore, che abbia al par di Lui sì ben consultato la natura, e che questa sia egli prestata a det¬targli con tanta compiacenza tutt'i suoi oracoli. Vegga, se v'è stato altro Legislator sulla terra, che abbia cercato non di moltiplicar gli uomini, perch'essi sien felici; ma di render gli uomini felici, perch'essi moltiplichino. Se dun¬que v'ha, chi ammiri col silenzio, e chi col canto celebri sì degna operazione, egli è questa una giusta riconoscenza, che la verità consacra alla giustizia. Io, che testimone sono de' sensi rispettosi degli uni, ho creduto mio dovere raccogliere gli encomi degli altri, ed alla M.V., ch'è la più Gran Regina del secolo, ed a pie del di cui Trono tutta è riposta la nostra beatitudine, e la nostra felicità, presen¬tarli in segno di rispettoso tributo, e di dovuto omaggio.
Napoli, 20 Novembre 1789
Di V.R.M. Umilis. e Devosiss. Suddito Domenico Cosmi
Sonetto
Cinto Alessandro la superba fronte
Di cento allori sanguinosi e cento,
Mentre dietro traeva alto lamento
Del Nilo debellato, e dell'Orante.
Formar ampia Città d'eccelso monte
Uom gli propose alle bell'opre intento;
Sbigottì l'ardua impresa il fier talento,
Benché di cose vago ardite, e conte.
Ma Fernando il Tisate apre e disgiunge,
E nobil terra in su l'alpestre vetta
Fonda, e l'arti vi chiama, e onor le aggiunge.
E d'innocenza, e di virtù perfetta,
Mentre Egeria più saggia a se congiunge,
Novello Numa, nuove leggi ei detta.

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