sabato 20 settembre 2003

Un contadino del mondo", ("Paysan du monde")

da "Avanguardia" n° 212 - Settembre 2003

José Bove

"Feltrinelli editore, Milano 2003, pagine 225, € 14,00

«Non si può condurre una battaglia vincente senza identità: l'identità radica la battaglia, le fornisce senso. (...) La lotta ha sempre un'origine: è l'elemento fondamentale per il suo esito vittorioso ...»

Rispetto al precedente "Questo mondo non è in vendita", che ha rappresentato una sorta di manifesto del pensiero "Larzac" (1), l'ultimo lavoro di Bove conduce il lettore attraverso le azioni politiche, i viaggi, le lotte, gli incontri che hanno caratterizzato gli ultimi anni di questo contadino no global -come lo definiscono i giornalisti-, mentre accosterei la sua visione più a quella dell'ancien regime che non alla moderna contro-globalizzazione.

Nonostante sia un libro abbastanza breve e ricco di argomenti, per me molto interessanti, devo ammettere che ho iniziato a sfogliarlo in maniera svogliata e infastidita: svogliata forse per questo clima estivo (tropicale) che intorpidisce corpo e mente, infastidita perché per una volta avrei voluto leggere le «gesta» di personaggi (viventi) antagonisti e vicini al nostro pensiero... il che appare un'impresa impossibile.

Mi aspettavo, dunque, la solita sequela odiosa di successi in azioni che noi non potremmo mai permetterci nemmeno di immaginare, di viaggi che non faremo mai, di consensi politici e sociali che non avremo mai, di plausi che non sentiremo mai, di eserciti che non sfideremo mai! ... ecc., ecc., ed in buona sostanza questo volumetto non si distanzia da tutto ciò.

Quello che un lettore come me proverà di fronte ad esso è pura, semplice, bieca, abietta invidia; lo ammetto. Scordatevi la possibilità che noi si riesca solo ad escogitare anche la più banale delle dimostrazioni che fanno Bove e i suoi compagni. Non possiamo calare i nostri stendardi su una barca in un atollo del Pacifico di fronte ad una qualsiasi marina militare e sperare di sopravvivere ad un'esperienza del genere senza all'attivo, nemmeno una notte in una squallida segreta di qualche Alcatraz di oltreoceano! Bove e la sua ciurma l'hanno fatto.

Ciononostante, José Bove, come tutti sanno, è ospite delle proprie patrie galere (e lo sarà ancora per molto) per aver distrutto diversi ettari di campi OGM e per aver devastato un McDonald's in Francia. A questo piccolo agricoltore va quindi tutto il mio rispetto, non solo per aver pagato un prezzo molto alto -la libertà- in virtù del giusto smontaggio (per dirla alla Bove) dei simboli del nuovo ordine mondiale, ma anche per la natura specifica e speciale della sua battaglia, sigillata da queste splendide parole: «La storia umana e le battaglie che l'attraversano hanno un denominatore comune: la rivendicazione si accompagna sempre a una dimensione spirituale, indipendentemente dalle culture. Questo aspetto mi sembra molto importante, tuttavia è sempre stato più o meno negato: le lotte sono state razionalizzate all'interno di una concezione materialista che in definitiva nega il ruolo dell'uomo nella storia a vantaggio di una tecnica o di un'analisi cosiddetta "scientifica". Infatti, ogni volta che la battaglia rinasce, ogni volta che aumenta la propria portata, la dimensione spirituale ritorna. (...) Sempre e ovunque è possibile riconoscere l'aspirazione a condurre una battaglia con un significato preciso, e non solo con aspirazioni materiali».

Tale è il sentimento che anima la battaglia di José Bove, una persona tenace e fiera che ha dedicato la vita ad un ideale di rivolta contadina; la stessa persona che fa proprie le parole di Victor Segalen (2), il quale, a proposito della passività della società polinesiana, affermava: «Camminano felici e incoscienti verso la fine della loro razza». Il che potrebbe essere applicabile a chiunque e non credo ci sia bisogno di aggiungere altro!

Certo, non sto dicendo che Bove sia un camerata (!), ma è notevole che abbia dato un così grande rilievo all'aspetto spirituale -negando in toto quello materiale- che anima la rivolta e che lega l'uomo -il contadino- alla propria terra, mentre non mi è mai capitato di leggere nel suo libro il minimo accenno che riconduca la miseria dei popoli moderni alla mera lotta di classe.

In Bove convivono, però, due aspetti di forza eguale, ma opposta: il primo, riscontrabile in un'innata ed indomita tradizionalità sviluppatasi, ritengo, in virtù del rapporto privilegiato con la terra, la natura, le stagioni, il lavoro sui campi e grazie alla lontananza dalla fiacca e laida vita urbana: il secondo aspetto è figlio di un'educazione libertaria, a sua volta scaturito dall'insidioso e idiota lavaggio del cervello che le generazione post-seconda guerra mondiale hanno dovuto subire.

Tali elementi sono imprescindibilmente amalgamati nell'azione e nell'opera di Bove, con tutte le contraddizioni e la confusione che ciò comporta; può capitare di esaltarsi dopo la lettura di un passo a contenuti fortemente tradizionalisti e conservatori e, subito dopo, nausearsi a tal punto da tornare pagine e pagine indietro per verificare se effettivamente questo stesso uomo è stato capace di affermare cose così lontane o se per errore abbiamo letto frasi inesistenti... Un esempio: come può Bove parlare di dimensione spirituale (vedi frase sopra citata) e, esponendo i fatti della conferenza ministeriale del WTO (3), descrivere in questo modo l'arrivo di gruppi antivivisezionisti: «Una leggera ombra. Loschi gruppi del tipo Partito della legge naturale (4) e altri gruppi antivivisezionisti con i loro abiti neri» e, invece, in questo modo l'arrivo di ben altri gruppi: «Un'altra dimostrazione di coraggio. Il gruppo delle lesbiche che circola a seno nudo per tutta la giornata, nonostante l'aria fresca e l'alternanza tra sole e pioggia».  Forse è semplicemente pazzo.

Ad ogni modo, volevo avvertire il lettore dell'esistenza di questa sindrome Dr Jeckill & Mr Hide di cui José Bove sembra soffrire, prima di giungere al cuore della sua breve trattazione.

Come anticipato, "Un contadino del mondo" è un viaggio attraverso le tappe più significative che Bove e la sua organizzazione contadina hanno compiuto nel corso degli ultimi venti anni.

Nella parte introduttiva è presente una sintesi dell'attività e del pensiero di "Via Campesina", di come è nata e si è sviluppata; Bove non lascia nulla al caso, non da mai niente per scontato. È manifesta nella sua intenzione la volontà di comunicare attraverso gli scritti così come attraverso la lotta; aggiungerei che, molto intelligentemente, Bove ha trasformato i propri libri in supporti ideologici alle azioni dirette.

Raccontare le esperienze in Nuova Caledonia, Messico, Canada, Cuba, ecc. è lo spunto per esprimere ideali di rivolta che poco hanno a che spartire con l'ambiente da cui provengono. Tutte le realtà (Brasile, India, Palestina ...) conosciute da Bove conservano un potente e primordiale attaccamento al territorio di provenienza. Egli stesso afferma apertamente che «Quando i movimenti si collocano nella cultura profonda di persone mobilitate per una battaglia, quando sono legate a un territorio, quando attingono dalle proprie radici e dalla propria cultura i mezzi e le forme di lotta, vincono. (...) Non si può condurre una battaglia vincente senza identità: l'identità radica la battaglia, le fornisce senso. (...) La lotta ha sempre un'origine: è l'elemento fondamentale per il suo esito vittorioso. Una simile riflessione non è mai stata presa in considerazione dagli intellettuali, desiderosi soprattutto di universalismo».

E a questo punto, prima di continuare -perché il periodo prosegue in modo troppo importante per essere omesso- vorrei aprire una parentesi. Bove parla di identità, ma non solo; parla di identità in opposizione all'universalismo! È un concetto distante dal casellario in cui siamo abituati a porre certi personaggi e movimenti. La maggior parte del movimento no global (o new global come giustamente alcuni lo hanno ribattezzato) non è assolutamente contrario alla globalizzazione. Anzi! È favorevole alla caduta dei confini, delle dogane, e ben disposto al mescolamento di etnie, popolazioni, razze e religioni proprio perché il principio ispiratore di queste masse pensanti (?) è libertario ed egualitario. È contrario all'imposizione di un commercio dominante, ma non c'è dubbio che, laddove debba esistere uno scambio commerciale, questo dovrà essere su scala globale.

Bove parla invece di identità, il frutto proibito, e si permette anche di lanciarsi in un'aspra critica alla Russia sovietica, a Lenin ed agli intoccabili intellettuali rivoluzionari Onestamente non sono queste le parole che mi aspettavo di leggere: «In realtà ciascuno è radicato in un luogo, in una cultura, sia essa locale o sociale come la cultura operaia. Quest'ultima si è creata nel XIX secolo a partire da una nuova situazione: si è costruita cioè sullo sradicamento delle persone dall'ambiente rurale, per poi strutturare una nuova identità data dall'accesso a una nuova cultura, a un nuovo modo di abitare e lavorare. L'errore di molti intellettuali rivoluzionari è stato quello di voler considerare questa nuova cultura operaia come un archetipo inglobante di tutta la realtà sociale, mentre in realtà rappresentava una dimensione specifica. La riflessione rivoluzionaria fondata sulla cultura operaia ha negato il resto facendo dell'operaismo una cultura generale. Inoltre ha introdotto l'assioma della superiorità di una classe operaia salvatrice. Questo concetto si ritrova fin dall'inizio della Russia sovietica, nel 1921, con la nuova politica economica, e poi l'anno successivo, con la creazione dell'URSS, quando Lenin omogeneizza tutti i paesi dell'Unione all'interno di un modello che nega la specificità dei territori e delle loro culture» (...).

Sostituisci la parola cultura con la parola tradizione e hai fatto di José Bove un nazionalsocialista! Estremizzazioni e battute a parte, questo breve testo è profondamente complesso ed articolato e, eliminate le follie di cui Bove è capace, rappresenta un quadro illuminante sulle origini, evoluzioni e motivazioni del cammino neoliberista, con una attenta analisi della capacità distruttiva e alienante di ciò che molti considerano dogma -indietro non si torna- e unica soluzione.

Bove ci svela la menzogna che muove il mercato, ci illustra i colpevoli passati, presenti e futuri e, nonostante io non sia affatto d'accordo con il suo approccio pacifista e non violento -e sempre tacendo le aberrazioni che talvolta riesce a scrivere-, devo ammettere che il suo è un buon modo per dare un senso alla propria esistenza. Peccato che -come al solito- il nome dei veri colpevoli non esca fuori, chissà come mai!

In conclusione: da leggere, assolutamente; perché se anche contiene delle pagine da strappare, ha il merito di far riflettere.

Veget Aryan

Note:

1) Larzac -villaggio ubicato all'interno del dipartimento del sud della Francia dell'Averyron- è la zona in cui si trova il collettivo "Via Campesina" di piccoli agricoltori rappresentati da José Bove;

2) Victor Segalen fu medico, viaggiatore, archeologo appassionato di antiche civiltà, avventuriere, scrittore e poeta (Brest 1878 - Huelgoat 1919). I suoi scritti -tutti postumi- vengono paragonati a quelli di Celine, Eliade, etc.;

3) La protesta che ha accompagnato il vertice di Seattle del World Trade Organization è da molti considerata come l'inizio del movimento no global;

4) In effetti il PLN è un po' inquietante... http://www.pln.it - vedere per credere!

«La maggioranza della popolazione mondiale vive grazie all'agricoltura. Dal 1995, quando è stato creato il WTO, le persone che soffrono la fame sono aumentate da 800 a 850 milioni. Non si possono obbligare Pesi poveri ad aprire le loro frontiere a importazioni agricole a prezzi inferiori a quelli interni. Se non viene rafforzata la capacità interna di produzione, se non vengono protetti i mercati locali, poi regionali e nazionali, non ci sarà sviluppo possibile. Il rischio, al contrario, è di provocare esodi massicci delle popolazioni rurali: si creerebbero delle città con 100 milioni di abitanti, sarebbe una catastrofe. È per questo che chiediamo il diritto alla sovranità alimentare. Noi vogliamo che fallisca il vertice del WTO a Cancun, perché bisogna bloccare la liberalizzazione dei mercati che ha portato finora solo conseguenze negative»

José Bove