domenica 18 novembre 2012

Denaro e democrazia

Intanto ringrazio Pier Luigi per avermi fornito l'occasione di rispondere al suo post, sebbene non ne condivida l'assunto. Più condivisibile mi sembra invece il post di Pierre che invece ne mette in risalto i limiti ed anche le storture... Ed anzi forzando un pò il suo elaborato discorso si può addivenire sinteticamente a quanto segue..

mercoledì 31 ottobre 2012

Demonio-crazia

Premessa 

Chi studia la politica in modo serio e scrupoloso non può esimersi dal considerare il peso gravoso esercitato da quello che i filosofi tedeschi chiamano "Zeitgeist" (spirito del tempo) e i cui effetti empirici sono sotto gli occhi di tutti. Lo Zeitgeist, tuttavia, non è un fattore precisamente quantificabile ed è forse per questo motivo che non tutti i politologi lo inseriscono adeguatamente nei loro scritti o anche nei  dibattiti  accademici.

lunedì 1 ottobre 2012

Dipartita – “Grazie Savino Frigiola per la tua battaglia e per la tua perseveranza…” di Giuseppe Turrisi

 

Lettere inviate e ricevute Paolo D'Arpini 2 ottobre 2012

savino-frigiola-1Ci ha lasciato un uomo e per quanto mi riguarda un maestro. Ricordo con affetto le lunghe telefonate a parlare di economia immaginando una Italia libera dagli usurai. Una di quelle persone che non ti fanno giri di parole per imbambolarti ma chiamano le cose con il loro nome e ti dicono le cose cosi come stanno. Una delle poche persone che si incontrano sempre di meno. Aveva conosciuto Giacinto Auriti e fu prima suo discepolo e poi suo collaboratore in quella che fu (ed è) la battaglia contro la più grande truffa dell’umanità derivante dalla emissione monetaria a debito da parte di banchieri privati. Certamente una figura di spicco tra i vari collaboratori più stretti del professor Giacinto Auriti e certamente uno dei più determinati nel portare avanti la battaglia incominciata all’epoca del corso Post Lauream di “Perfezionamento in studi Giuridici e Monetari”, un corso unico al mondo istituito dall’università d’Abruzzo. Lo ha caratterizzato una passione per l’economia ma soprattutto per quella economia fatta da uno “Stato sociale”, prima che cadesse nelle mani dei neoliberisti e degli usurai dove si costruivano ponti, città, ferrovie, case popolari, imprese di stato, ecc. senza indebitare i cittadini di un solo centesimo; ciò si poteva fare perché c’era più etica, più onore, ma soprattutto c’era la sovranità monetaria e uomini di stato capaci di comprendere cosa significasse “avere la sovranità monetaria”. Ha scritto libri di economia come: “La Fabbrica del debito, dell’usura e della disoccupazione” Pragamteia Rimini 1997, “Alta finanza e miseria: l’usurocrazia mondiale sulla pelle dei popoli” di Savino FRIGIOLA, ed. Controcorrente 2008, questo libro è molto particolare, oltre che per la chiarezza, per i suoi innumerevoli allegati tra cui la storia dell’”Isola dei naufraghi”, la visura camerale della Banca d’Italia nel registro della CCIAA di Verona al n. 9554 del 1931 e molti altri. Sulla rete si trovano facilmente i suoi articoli ed i video delle sue conferenze. Chiudo riportando due stralci di articoli dove con estrema chiarezza sintetizza la situazione attuale.

“L’attuale violenta crisi economica ha scosso l’intera Nazione. Pesa una grande responsabilità di tutto l’apparato politico verso la totalità dei cittadini inasprita dalla sensazione diffusa che né la maggioranza né l’opposizione dispongano delle necessarie risorse culturali e della reale volontà per traghettare la Nazione fuori dalle secche economiche. Tutti ormai riconoscono che la crisi è stata generata dagli apparati bancari e monetari guidati dai privati che agiscono nella più assoluta autonomia, svincolati da qualsiasi controllo politico. Il signoraggio primario e secondario indebitamente incamerato dai banchieri all’atto dell’emissione monetaria, aggravato dagli interessi passivi stabiliti autonomamente da costoro sul debito pubblico e privato, che proprio l’attuale attività monetaria ha generato, determina la più impressionante e macroscopica speculazione mai concepita da esseri umani. Di fronte a questa situazione, l’impaccio della politica è di tutta evidenza: l’esecutivo non dispone di sufficienti risorse per far fronte alle esigenze sociali e di mercato, l’opposizione reclama a gran voce maggiori impegni di spesa, ma non indica come e dove reperire le necessarie coperture finanziarie. Occorre rapidamente ripristinare il corretto rapporto di fiducia tra l’elettorato e la classe politica, pesantemente compromesso dalla constatazione che mentre si è costretti a lesinare risorse per il sostegno dell’economia, dell’occupazione, della scuola, della ricerca e del sociale, si continua a corrispondere ai banchieri somme ingentissime reperite con l’alta tassazione e con l’incremento del debito pubblico. Poiché non s’intravede la soluzione a questo stato di cose, perdurando le cause, è assolutamente indispensabile interrompere questo perverso meccanismo e ritornare all’emissione monetaria diretta da parte dello Stato, come da centennale esperienza già felicemente compiuta.”

“Lo Stato italiano ha battuto moneta in prima persona e monetizzato il proprio territorio dal 1874 al 1975. Ciò ha consentito, subito dopo l’unità d’Italia di realizzare tutte le infrastrutture necessarie ad un nuovo stato, compreso i famosi palazzi e quartieri “umbertini”, ancora esistenti, senza imporre tasse e senza indebitarsi. Successivamente utilizzando sempre la moneta emessa da parte dello Stato si sono costruite le opere dell’Italia moderna: strade, autostrade, ponti, ferrovie, porti, aeroporti, centrali elettriche, ospedali, sanatori, colonie, le grandi bonifiche, intere città, i grandi complessi industriali, gli Istituti Assistenziali, le scuole, le università, tutte contraddistinte dalle inconfondibili linee architettoniche ispirate dal Piacentini. Anche tutte queste opere furono realizzate senza aumentare le tasse ai cittadini e senza aumentare il debito pubblico che anzi, sino al 1940 era rimasto stabile al 20 % (tra i più bassi della storia d’Italia) per passare al 25% nel 1945 a guerre finita. Successivamente si continuò a battere moneta da parte dello Stato, gli introiti così incamerati hanno contribuito in maniera significativa alla ricostruzione del territorio nazionale devastato dall’invasione nemica (all’inizio degli anni 70 il debito pubblico era sceso al 20 %).”

Grazie Savino.

Giuseppe Turrisi

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Commento ricevuto: “Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo.
Una persona semplice, col suo simpatico accento romagnolo, combattiva, umile, mai prepotente anche quando ci sgridava paternamente per le nostre ingenuità, riconoscente per la nostra passione, sinceramente dispiaciuto per le nostre sconfitte, con lieve sorriso compiaciuto per le nostre piccole vittorie.
Quando è stato il caso è venuto da noi, a Roma, a Napoli ovunque fosse necessario, a dare il suo contributo, il consiglio, l’approvazione o meno, sempre con l’obiettivo di aiutarci vicendevolmente.
Ci mancherai, molto, piccolo grande uomo, gigante tra i nani che spadroneggiano nel mondo”
(AlexFocus)

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Articoli di e su Savino Frigiola: https://www.google.com/search?client=gmail&rls=gm&q=savino%20frigiola%20paolo%20d’arpini

lunedì 21 maggio 2012

La FINANZA della R.S.I.

Premessa

Nel  perdurante clima di disinformazione - relativamente all'assetto economico-finanziario e alla crisi in atto - nessuno parla di sistemi alternativi per arginare ed abbattere la stretta creditizia e, soprattutto, cosa assai più importante, tutti si guardano bene dall' annoverare persone e fatti pregressi che invece risulterebbero assai utili per risolvere una volta per tutte il problema alla radice. Nessuno ricorda, per esempio, cosa accadde durante la repubblica di Weimar e, soprattutto, come e da chi fu risolta... Nessuno ricorda, altresì, come Benito Mussolini, appena nominato Presidente del Consiglio ad appena 39 anni, abbia assunto - ad interim - anche le cariche di Ministro degli Esteri e degli Interni, con una speciale delega all'economia; e come riuscì nei primi tre anni a dipanare ogni disavanzo primario e a raggiungere l'agognata parità di Bilancio, tanto che persino Luigi Einaudi lodò quanto fece l’allora presidente del Consiglio. Si ricordano viceversa gli incarichi recenti del Presidente Monti come commissario UE dimenticando, però, che egli fu già consulente durante il governo De Mita dell’ex ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino che l’aveva nominato in tre commissioni, incaricate di ridurre la spesa e il debito. Purtroppo – sia detto per inciso – il debito pubblico aumentò del 44,5% in quei tre anni e la spesa pubblica del 45,9 % tant’è che nel ‘92 il nostro “eroe” se ne tornò con la coda fra le gambe all’università (forse per riprendere gli studi)  lasciando  l’Italia in balia di se stessa. L’elenco dei “guastatori economici” potrebbe continuare per ore, ma ritengo inutile andare avanti. In tempi bui, di mestissima crisi finanziaria, nessuno parla della vera origine del debito pubblico che non è dovuta esclusivamente a sprechi e ruberie . ma soprattutto al fatto che né lo stato nè tantomeno il popolo sono proprietari della moneta.
Pochi parlano dei casi attuali della Grecia e dell'Argentina... che non sono retti da regimi dittatoriali o autoritari che dir si voglia,  ma che rappresentano - soprattutto nel caso islandese - una prova lampante e inimitata di democrazia reale e sostanziale.
Le uniche parole che ci sentiamo ripetere sono quelle assimilabili alla strategia del ricatto, alla tattica dell'usuraio mascherato che con la bocca fa finta di concedere e poi arraffa tutto con ambedue le mani. Si afferma infatti: Se non seguirete la nostra "ricetta" faremo la fine della Grecia, i suicidi anziché diminuire aumenteranno in modo esponenziale ecc. 
E' chiaro che quando la situazione si fa critica ecco arrivare puntuale il ricatto: sia esso fiscale, oppure relativo alla politica economica da adottare.
Si tratta in effetti di una vera e propria strategia terroristica, per chiudere la bocca a chi non si allinea al mainstream, e vuole arginare l'ondata pervasiva di tasse e rincari che colpiscono tutti, in specie i ceti meno abbienti.

mercoledì 25 aprile 2012

L’unica liberazione possibile

LiberazioneSe coloro che oggi festeggiano la giornata della “liberazione” sapessero a quali disavventure e disagi sono andato incontro durante tutti questi anni per difendere l’indipendenza di giudizio e un’idea “politicamente scorretta”, con tutta probabilità avrebbero una qualche difficoltà nel definire cosa veramente significa essere liberi;  e dovrebbero rivedere il giudizio politico non solo sul 25 aprile ma anche quello sul 17 marzo 1861 e la cosiddetta “unità d’Italia”.
Ora senza fare inopportune digressioni dirò, semplicemente, che la sinistra non si è mai confrontata seriamente con la sua storia, lasciando spesso molti cadaveri nell’armadio del “politicamente corretto”.  Si dice che quelli furono eroi, o morti inevitabili e che, comunque, perirono per una “giusta causa”. Il caso di Pol Pot, però, non viene ascritto a queste categorie e perciò, viene sconfessato e non riconosciuto come di “sinistra”, evidentemente perché troppo sanguinario e poco marxista. 
L’enfasi retorica spinta sino alla millanteria appartiene purtroppo a certo nefasto repertorio nazional-patriottardo che ci rimanda alle sonore corbellerie scritte in occasione dell’unità d’Italia.  Chi ha studiato la Storia d’Italia solo sui manuali scolastici ha ricevuto un’istruzione distorta e assai settaria, non attenta a quelle che furono le vere ragioni dell’unità italiana.  La storia è una scienza che va continuamente aggiornata. E chi non lo fa è, appunto, settario. E se oggi si denunciano  le ruberie e il malaffare occorre – per quanto sia possibile -  andare all’origine e vedere dove si è cominciato a barare, perché le ruberie di allora rappresentano lo specchio autentico di quelle odierne.
Il primo finanziamento illecito ai partiti viene fatto proprio da Giuseppe Mazzini. Il nostro “eroe nazionale”, una settimana prima della proclamazione del Regno d’Italia, manda un banchiere (Adriano Lemmi), che oggi si chiamerebbe brasseur d'Affairs, con un a lettera di credito indirizzata a Francesco Crispi (altro padre di questa patria matrigna) e lo invita ad aiutarlo per la costruzione delle ferrovie. E qui bisognerebbe ricordare agli immemori pennivendoli del Sistema che l'Inghilterra del tempo era massimamente interessata all’affare ferrovie.  Mi fermo qui.
Ma veniamo all’oggi. Tutti ricordano gli articoli intrisi di odio dell’ormai scomparso Antonio Tabucchi che denunciava le contro manifestazioni di FN, rei di voler forse reinterpretare un’anacronistica marcia su Roma. Dimenticano, costoro, che persino i carri sovietici si sono sempre mossi con il  pretesto di voler aiutare popoli e governi minacciati…. Dico questo, en passant, solo per significare che esistono sempre molte verità e quella ritenuta corretta è quasi sempre ascrivibile al potere costituito; e proprio per questo, come minimo, assai discutibile e perciò degna di essere studiata e rivista con occhio spassionato e scevro da pregiudizi.
Si dice che il fascismo fu un regime illiberale e liberticida e per questo il 25 aprile serve a ricordarlo. E’ vero: il fascismo fu profondamente illiberale. Ma questo spirito illiberale esisteva ben prima dell’avvento fascista e, soggiungo, continuerà ad esistere. Gli italiani che oltraggiarono il corpo del Duce furono – in massima parte – gli stessi che lo applaudirono durante le oceaniche adunate. Per questo - ora come allora – occorre elogiare coloro che non fecero parte della massa belante, al servizio del potente di turno.
Per questo e tantissimi altri motivo dico semplicemente che il 25 aprile non è stata mai la mia festa: innumerevoli bandiere insanguinate la popolavano,  immenso odio civile  l’ha animata in tutti questi anni, supportato da una olografia  a dir poco manichea.  Il mito della resistenza  è stato usato come una clava dalla sinistra per colpire gli avversari politici e, soprattutto,  come surrogato della lotta al capitalismo. Ogni qual volta  occorreva giustificare i compromessi messi a punto dal PCI con la borghesia e il capitalismo si riesumava lo spauracchio antifascista in funzione dello Status quo.
Il comunismo ha tradito perciò la sua natura ideale e sociale, venendo meno ai suoi principi fondamentali. Il comunismo è diventato un alibi, un mezzo attraverso il quale fosse possibile far politica in nome di “giusti” e “nobili” ideali ma che, nei fatti, ha rappresentato la punta di lancia del compromesso storico.
Il rito battesimale della Liberazione ha dato al comunismo una patente di libertà negata nei fatti dalla Storia. E questo è ancor più vero “oggi” di “ieri”. Per far parte della comunità nazionale agli ex-neofascisti è stata necessaria l’abiura del fascismo tout court, senza nemmeno considerare quelli che furono i vantaggi e le scelte politiche sociali giuste per la comunità nazionale.  Si disputa da anni di riforme costituzionali senza che nessuno (nemmeno gli ex sedicenti fascisti) abbia messo seriamente sul tappeto il problema della “libertà” come assunto principale del nostro vivere civile.
Inoltre la pretesa unificante del 25 aprile come Liberazione Nazionale è un falso storico smentito dai fatti. Oggi si celebra l’avvento di una democrazia dimezzata, dalla quale non solo solo sono stati esclusi i "vinti"  ma pure chi non accetta i paradigmi di questo regime mascherato.  Si celebra una “vittoria” rubata da una minoranza ad un’altra minoranza, con larga parte della popolazione rimasta inerte e che, in massima parte, durante il fascismo, fu organica al sistema.  Oggi che i partigiani, per ragioni anagrafiche, sono quasi tutti deceduti, l’antifascismo in Italia si risveglia con un altro significato che esce fuori dai confini del politicamente corretto. Esso ha indossato i panni o dell’anti -berlusconismo viscerale, oppure dell’anti-politica, gettando un ponte fra due uomini, del tutto differenti. Il suo significato originario si è diluito, diventando altro da quello che era in origine. 
Per questo ed altro ancora non festeggio. L’unica liberazione possibile risiede nel conseguimento della verità storica attraverso la libertà di ricerca, senza che partiti e poteri possano mettervi bocca.
© Petrus Aloisius

martedì 17 aprile 2012

Milena: pennivendola del Sistema!


Milena Gabanelli, nell'ultima puntata di "Report", forse consigliata da qualche velina trasmessa dall'alta finanza, ha riproposto l'abolizione del contante come soluzione alla crisi imperante nell'eurozona. Secondo quanto mostrato dalla "solerte" giornalista di RAI3, attraverso questa misura "miracolosa" sarebbe possibile lastricare strade, costruire ponti e palazzi; in più secondo la furba giornalista, si eliminerebbe il malaffare e l'evasione fiscale.  La Gabanelli ha quantificato pure la cifra: 150 miliardi di €. Questi sono i soldi che servono, infatti, esclusivamente, per stampare carta moneta (il cosiddetto costo tipografico).

Dimentica - la solerte giornalista- che larga parte della popolazione è assai restia ad attuare la smaterializzazione del contante... un processo - quest'ultimo - incominciato inconsapevolmente con la Rivoluzione Francese e che adesso è stato possibile  mettere in pratica, proprio attraverso l'ausilio dell'informatica (altro elemento utilissimo in ambito finanziario) che permette il trasferimento di ingenti somme, tramite la semplice pressione del tasto invio. 

In realtà dietro questa "sparata giornalistica" si cela il più grande imbroglio che le Banche stanno lentamente mettendo in atto: il controllo di tutto e di tutti, attraverso l'emissione monetaria e il controllo del credito.  Senza contare che nell'attuale sistema capitalistico, il gettito di molte attività si ridurrebbe a zero, costringendo alla chiusura le aziende; poichè il problema principe non è affatto il debito pubblico che è fortemente ingenerato dal Signoraggio Bancario, poichè se è vero (come è vero) che per stampare carta-moneta (senza alcun corrispettivo in valuta pregiata oro o argento) occorrono miliardi, quanti ne vengono sottratti dal Signoraggio Bancario?  A questa ultima domanda dubito che la Gabanelli dia una risposta.
Quindi, senza che la massa belante se ne accorga, le febbrili iniziative portate a compimento dagli agenti incaricati alla difesa dell'attuale apparato economico finanziario, continuano senza soluzione di continuità, in totale spregio della democrazia  (buona solo quando si tratta di criticare il "vituperato" ventennio fascista) e, soprattutto, del popolo sovrano.
© Douglas

lunedì 16 aprile 2012

Fuori dall'euro: torniamo alla Lira!


Le vagonate di "carta-straccia" fatte cadere a pioggia sugli istituti di Credito dalla Banca Centrale Europea non sono serviti a finanziare famiglie e imprese. Mille miliardi di euro sono infatti serviti esclusivamente alle Banche che li hanno ricevuti.  Tutti pensavano (o quasi) che questi cumuli di carta (perchè di carta si tratta) fossero la panacea  a tutti i mali che affliggono l'euro-zona. La nomina di Mario Draghi ha infatti permesso l'erogazione a bassi tassi di interesse (1%) agli istituti di credito europei. Peccato però che queste Banche non pratichino il medesimo tasso di sconto alle imprese e, soprattutto, alle famiglie. Un'indagine promossa da Bankitalia  (fonte dunque non sospettabile di remare contro le banche) dimostra - dati alla mano - come nel nostro Paese i prestiti alle famiglie e alle imprese siano notevolmente diminuiti, a fronte, per converso, di un aumento consistente dei tassi di interesse. Il tasso TAEG per il credito al consumo è giunto alla stratosferica percentuale del 10,1% (febbraio 2012) quando nel febbraio dell'anno precedente era del 8,88%. Intanto, i colossi bancari acquistano BOT e BTP, influenzando lo spread. E il circolo vizioso si chiude.
Allora, ancora una volta, vale la pena di ribadire il concetto. Gli Italiani devono ripudiare il debito sovrano che lo Stato ha contratto - senza  o contro il volere dei cittadini - con la banca centrale europea. Una volta ripudiato il debito e usciti definitivamente da questa lurida congrega denominata eurozona,  è necessario processare tutti coloro che si sono resi responsabili di questa triste sciagura. In altre parole, chi ha contratto il debito (siccome non è in grado materialmenente di onorarlo) deve pagare personalmente e in proporzione alla carica indebitamente ricoperta. Chiunque abbia tramato, lucrato, o si sia semplicemente reso complice deve essere messo alla sbarra. Una volta accertate responsabilità e colpe si proceda celermente allo sconto della pena, possibilmente senza sconti e, per i casi meno gravi all'interdizione permanente dai pubblici uffici.
Dopo di chè, lo Stato deve necessariamente tornare a battere moneta in nome e per conto del popolo italiano, sottraendo alle banche centrali il monopolio della emissione e togliendo ai mercati e alle agenzie di rating l'indebito privilegio di dettare i punti dell'agenda  politica del nostro paese. La nuova classe politica, per converso, in virtù dell'enorme responsabilità di cui dovrebbe farsi carico, dovrebbe essere penalmente responsabile (anche con la massima pena)  in caso di una scellerata politica di emissione monetaria, evitando sprechi e facili guadagni.
© Black Water

lunedì 2 aprile 2012

Il “Sistema Law”

Vittorio Mathieu scrive che il moto perpetuo economico, come ogni moto perpetuo, è un'illusione, un autoinganno, una follia. E porta l'esempio, famoso fra gli economisti, di Law.
John Law
John Law, vissuto a cavallo del 1700 (1671-1729), fu una bizzarra figura di finanziere e di avventuriero. Convinto che i metalli preziosi fossero una forma troppo rozza e inefficiente di moneta ideò un sistema in cui l'oro e l'argento erano sostituiti da biglietti di carta garantiti in un primo tempo dal valore della terra e, successivamente, da azioni di compagnie commerciali operanti nelle Colonie. Propose il suo sistema a vari governi europei che lo respinsero. Fu accettato invece dalla Francia che attraversava una grave crisi finanziaria dovuta alle enormi spese belliche di Luigi xiv. Il cosiddetto sistema-Law si struttura, in estrema sintesi, nel seguente modo. Nel 1716 Law creò una Banca privata (Banca generale) cui venne concesso dallo Stato francese di emettere biglietti di carta pagabili al portatore e che, da un certo momento in poi, furono accettati anche dalle casse pubbliche per saldare le imposte. Le azioni della Banca (capitale sei milioni di livres) erano acquistabili pagando per un quarto in moneta metallica (oro e argento) e per il resto in titoli del debito pubblico (titoli di Stato). Insieme alla modesta quota in moneta tali titoli costituivano quindi la garanzia dei biglietti. I quali ottennero la fiducia del pubblico tanto che Law ne emise prima per 20, poi per 100, infine per 800 milioni nel gennaio del 1720 ce n'erano in circolazione per più di un miliardo). Nel frattempo Law aveva fondato, o, più precisamente, riesumato, la Compagnia d'occidente per lo sviluppo dei possedimenti francesi nel bacino del Mississippi (Compagnia del Mississippi). Tale Compagnia aveva un capitale di cento milioni in azioni acquistabili in origine solo con titoli del debito pubblico e in seguito anche con i biglietti emessi dalla Banca di Law. Queste azioni andarono a ruba e il loro prezzo salì in breve tempo da 500 a 20.000 livres". Nel 1719 Law si fece dare l'appalto della riscossione delle imposte dirette e indirette e unì Banca e Compagnia in un unico organismo. A questo punto il cerchio era chiuso. Con i biglietti della Banca, garantiti per la maggior parte dai titoli di Stato, si potevano comprare azioni della stessa Banca-Compagnia costituite dai titoli di Stato. Cioè, come scrive Mathieu, «il denaro poteva acquistare la propria garanzia». I biglietti di Law erano garantiti da ciò che acquistavano. Quando alcuni intuirono in qualche modo il marchingegno e, volendo disimpegnarsi prima che fosse troppo tardi, si presentarono alla Banca chiedendo in cambio dei biglietti non titoli di Stato ma moneta sonante, l'ingegnoso castello di Law crollò miseramente, la banca-rotta fu quasi immediata e di tali dimensioni che in Francia una Banca centrale, autorizzata a emettere banconote, fu fondata solo nel 1801, sotto Napoleone, più di un secolo dopo la Banca d'Inghilterra. Osserva Mathieu: «In verità, la circolarità del processo è essenziale al delirio di onnipotenza di tutti i moti perpetui»40. Ma l'errore di Law non fu affatto di credere al moto perpetuo del denaro, anzi con ciò il finanziere scozzese centrava perfettamente quel processo ad infinito cui tende necessariamente il denaro", tanto che in seguito il sistema creditizio e della circolazione fiduciaria di banconote si modellerà sostanzialmente, sia pur con alcuni accorgimenti, su quello di Law, espandendo-si ovunque. Né il suo torto fu di chiudere il denaro in un moto circolare, di autogaranzia, perché, in definitiva, il denaro è sempre garantito da nient'altro che da se stesso, dalla fiducia che si ripone in lui. Lo svarione, o piuttosto l'imprudenza, di Law fu di far cortocircuitare il processo del denaro, di chiudere cioè la sua circolarità troppo presto, in un unico passaggio fra Banca e Compagnia, svelandone così il meccanismo e il carattere illusionista, poiché l'illusione in luogo di allargarsi ed essere trasferita in mani sempre diverse, rimbalzava fra gli stessi individui e gli stessi organismi, in tempi ristretti e in un campo limitato. Invece il processo ad infinitum del denaro ha bisogno, proprio come una catena di Sant'Antonio, di apparire aperto in tutte le direzioni e di raggiungere il maggior numero di persone, possibilmente lontane fra loro, in modo che la sua sostanziale circolarità, il suo carattere illusorio, la sua intima inconsistenza, la sua follia automoltiplicatoria, non siano percepibili. Naturalmente questo moto, il passare dell'illusione di mano in mano, non può resistere all'infinito; prima o poi, per quanto la prenda alla larga, il denaro finisce per ricadersi addosso, per rivelare, proprio come nel sistema di Law, che è garantito solo da se stesso, cioè dal nulla. Quando questo avviene, e nessuno è più disposto a credere al denaro o a quel denaro, la frittata è fatta, ma se la catena di Sant'Antonio è stata sufficientemente lunga e articolata, i suoi inventori e anche molti di coloro che sono stati più rapidi nel seguirli, hanno avuto tutto l'agio, a differenza di Law che finì in miseria, di intascare il grisbi lasciando il cerino acceso in mano agli altri.

Testo liberamente estrapolato dal testo: il denaro «Sterco del Demonio». Storia di un’affascinante scommessa sul nulla. di Massimo Fini

sabato 24 marzo 2012

La «sinistra» nella Repubblica Sociale Italiana

Roberto Vultaggio
Pur minoritaria e priva di grossi centri decisionali, la sinistra nel movimento fascista ricoprì per tutto l'arco del regime mussoliniano al potere un ruolo ideale trainante, spingendo affinché, nell'impossibilità di realizzare subito i programmi dottrinari e rivoluzionari sansepolcristi, anti plutocratici e anticapitalistici, frenati dalle componenti reazionarie di destra annidiate all'interno delle strutture delle gerarchie fasciste, la purezza della causa della rivoluzione voluta da Benito Mussolini venisse attuata quanto prima, sradicando la pusillanime e antipopolare quotidianità dell'Italietta borghese, subordinata alla massoneria ed agli inglesi.Oltre alla labilità e all'obliquità dell'individuo italiota, c'è da aggiungere che anche l'evento bellico bloccò il corso della rivoluzione delle Camicie Nere.
La pulsione rivoluzionaria del fascismo repubblicano purtroppo venne messa in opera quando le probabilità concrete di una permanente attuazione della socializzazione era in gran parte vanificata dal corso della guerra.
Nel complesso, malgrado si combattesse nel territorio della nazione, il governo della Repubblica Sociale Italiana dette vita a un corpo legislativo imponente, creato nel giro di quindici anni, a testimonianza di uno sviluppo tutto sommato lineare e in coerente rispondenza a direttrici sostanzialmente univoche.
I codici mussoliniani sono permeati da un dinamismo e da un decisionismo raro, se non unico, da non porre neanche a confronto con l'abituale farragine immobilista che è caratteristica costante dei vari ordinamenti italiani di ogni epoca.
Il principio e la weltanschauung della Rivoluzione fascista, specialmente se considerata a livello di forze europee, dal punto di vista dell'influenza che sprigionò su tanti ambienti anche fuori dall'Italia, si può dire che avesse una valenza culturale e di civiltà prima ancora che politica. Il Fascismo volle creare un uomo nuovo, una nuova civiltà, oltre che una nuova società.
La risoluzione del problema sociale e del riscatto di tante aree depresse della nazione, eredità della povertà in cui la monarchia savoiarda teneva la nazione, e la riscoperta dei princìpi della Tradizione romana, dovevano costituire i bastioni su cui edificare il Nuovo Ordine guerriero e gerarchico e dare organicità alle aspettative rivoluzionarie del Fascismo.
L'integrazione delle masse nello Stato e la loro mobilitazione nelle strutture del partito rivoluzionario davano luogo alla concreta possibilità di scolpire una diversa filosofia del potere e una completa visione del mondo, nella quale il compito della nuova élite era quello di fondare un nuovo corso politico e una rigenerazione di tutto il corpo della nazione.
Se, infatti, è l'attivismo politico a contrassegnare l'ascesa della rivoluzione fascista, d'altro lato si evidenzia la sua instancabile determinazione a dare un basamento, un corpo ideale, una base culturale per una più concreta presa di coscienza del popolo.
La rivoluzione fascista rappresenta, primo esempio in Europa, un cuneo atto a scardinare l'egemonia del capitalismo e del marxismo.
Durante la Repubblica Sociale Italiana, finalmente, la rivoluzione si liberò di tutte quelle zavorre che durante il regime avevano arrestato la rivoluzione sociale e popolare voluta da Mussolini; la monarchia traditrice, le congreghe capitalistiche al servizio dei nemici dell'Asse, lo stesso Vaticano e la massoneria furono dichiarate nemiche dello Stato repubblicano in guerra contro le democrazie demoplutocratiche, tiranne delle nazioni che volevano marciare in ossequio alle loro radici e alle loro realizzazioni in ogni campo della società e non sotto il giogo dello sfruttamento economico-mercantile proprio di quei Paesi in balia del capitale della banca ebraica.
Il Fascismo divenne un ideale europeo dopo che si affermò in Germania, ma trasse la sua forza dall'esempio italiano; Mussolini fece la rivoluzione e la sua opera bastò a mettere in moto un meccanismo di vita che oltrepassò presto i confini italiani, proponendosi come modello di rivoluzione europea. Si trattava del prototipo di una nuova civiltà.
Lo Stato sociale che era programmato dal Fascismo delle origini poté avere un risvolto pratico solo dopo i tragici eventi dell'estate del 1943, in cui si ritornava al suo vero volto storico.
Tutte quelle strutture conservatrici e capitalistiche che per 20 anni avevano sabotato continuamente il Fascismo, ingabbiandolo nella conservazione, scelsero subito, secondo natura, la parte in cui schierarsi, cioè la parte dei nemici del fascismo.
Mussolini non appena liberato dai tedeschi a Campo Imperatore lanciò agli italiani un messaggio che agitava l'antica bandiera rivoluzionaria: «Annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro il soggetto dell'economia e la base infrangibile dello Stato». Annunciando, così, a squadristi, operai e studenti che la rivoluzione proletaria e fascista era ritornata.
Nella Repubblica Sociale Italiana la partecipazione delle masse alla vita pubblica dello Stato fu l'apoteosi rivoluzionaria e fu così che riemerse l'anima popolare del fascismo.
Il fascismo repubblicano espresse subito la volontà di superare la politica burocratica e di arrivare istantaneamente alla base dei problemi. La prima riunione del governo sancì l'elaborazione di una costituente eletta dal popolo, al fine di elaborare il progetto di «una repubblica unitaria nel campo politico e decentrata in quello amministrativo, con un pronunciatissimo contenuto sociale (...) tale cioè di stabilire il posto, la funzione e la responsabilità del lavoro». La riemersa concezione rivoluzionaria cui si doveva ispirare questa prima indicazione programmatica, comprendeva il superamento della subordinazione del lavoro al capitale, con un'accentuata preminenza del ruolo dell'operaio nella nuova struttura socio-economica. Da alcuni settori venne anche richiesta con determinazione l'abolizione della proprietà privata.
Accanto al Duce vennero affiancandosi i più fedeli all'Idea rivoluzionaria, con ex-socialisti ed ex-comunisti. L'uomo di punta del Fascismo repubblicano fu Alessandro Pavolini, segretario del PFR, già squadrista negli anni '20, intellettuale e ministro; ora incarnava l'ala degli intransigenti, di coloro i quali intendevano attuare i postulati della Rivoluzione per instaurare un «regime di popolo».
Pavolini intendeva edificare un partito nuovo, un «... ordine di combattenti e di credenti» a base elitaria e non quantitativa. Il nuovo partito rivoluzionario sarebbe stato un «partito di lavoratori, un partito proletario animatore di un nuovo ciclo senza remore plutocratiche (...)» e ispiratore di postulati «più propriamente che sociali, socialisti».
Esaltante era il grado di presa che il fascismo riusciva ad avere ancora sul popolo, il quale, pur fiaccato dalla guerra e dalle sconfitte sul piano militare, seppe dare al fascismo repubblicano all'incirca duecentocinquantamila nuovi iscritti. Ciò la dice lunga sulla presunta impopolarità sbandierata dai detrattori della Repubblica Sociale Italiana.
La mancata convocazione della Costituente, sempre rinviata in attesa di tempi migliori che purtroppo non vennero, si rivelò un errore politico poiché impedì di dare tutto il riconoscimento che spettava ai «18 punti di Verona».
In questo contesto si doveva attuare, come affermò Mussolini, lo «smantellamento del capitalismo e del latifondismo» attraverso la «... immissione del controllo e degli interessi dei lavoratori con la conseguente ripartizione degli utili in tutte le aziende, anche di quelle statali», e la «libera azione del sindacato». Questo progetto costituiva una indicazione fondamentale per l'attuazione della socializzazione, poi commutata in Legge il 12 febbraio 1944. AI secondo punto del progetto, si affermava: «la gestione dell'azienda, sia essa a capitale pubblico o privato, è socializzata; ad essa prende parte il lavoro. Le aziende a capitale pubblico sono amministrate da un Consiglio di Gestione, eletto da tutti i lavoratori dell'azienda, operai, impiegati e tecnici».
Tale struttura non rimase inapplicata, ma nonostante problemi di ogni genere, guerra e bombardamenti indiscriminati, sabotaggi degli industriali e azioni di guerriglia dei partigiani, trovò immediata applicazione in alcune industrie del Nord Italia.
Si cominciò con aziende editoriali, come "il Corriere della Sera", "Il Lavoro"; poi fu la volta dell'industria grafica, cartaria e meccanica. Furono socializzate: Mondadori, Garzanti, Vallardi, Ricordi, Alfa Romeo, Metalmeccanica e altre aziende minori. In tutti questi casi non valsero ad impedire la continuità di funzionamento le accanite opposizioni padronali e cielleniste. Un discorso a parte meriterebbe l'alleanza tra capitalisti ed emissari del CLN, ai quali era invisa la legislazione sociale della Repubblica Sociale fascista, per egoismo di classe o per mero calcolo politico. Si chiarirebbero così le idee su quali furono i reali motivi del sabotaggio alla socializzazione, che attraverso la propaganda e l'istigazione sovversiva tolse alla classe dei lavoratori una serie di importanti conquiste acquisite attraverso la legislazione rivoluzionaria del rinato partito rivoluzionario, perdute poi di fatto all'atto della restaurazione democratico-capitalistica del dopoguerra.
È bene ricordare come tra le prime misure del CLNAI dopo il 25 aprile 1945, e, poi, tra i primi atti legislativi della Repubblica post-bellica ci sia stata l'abrogazione delle Leggi sociali del 1944, un punto sul quale tutti i partiti del Comitato di Liberazione mostrarono una concordia degna della peggiore malafede. Ma non poteva essere altrimenti.
Alcuni degli obiettivi che i lavoratori raggiunsero con la socializzazione, costituiscono ancor oggi un lontano miraggio per ciò che rimane del movimento operaio, miracoli dell'ipocrisia ideologica che fa negare la validità anche a quanto di buono crea la parte politica avversaria.
Grazie alla subordinazione italiana a interessi extranazionali dettati dalla massoneria e dall'Alta Finanza fu raggiunto il grottesco risultato per cui le masse operaie del Nord furono spinte a rinnegare misure che le toglievano d'un colpo dalla secolare sudditanza nei confronti del padronato, e a simpatizzare per il Sud, alla testa del quale c'era il fior fiore della classe conservatrice e industriale, unitamente alla monarchia ed ai settori più retrivi del clericalismo, alla massoneria, retto come un burattino dalla amministrazione alleata, ispirata dal capo del conservatorismo europeo Winston Churchill.
I lavoratori italiani, fomentati a combattere per la classe padronale, anziché per i propri diritti, persero così un'occasione storica e scontarono presto l'inganno: l'alleanza tra Togliatti e la monarchia traditrice avrebbe dovuto aprire gli occhi e tutto passò, grazie ad una abile mistificazione, come frutto della propaganda fascista.
La Repubblica Sociale Italiana, in ogni caso, assunse la valenza di movimento rivoluzionario che, incontestabilmente, ruppe i ponti con l'usurocrazia capitalistica che fin dal sua comparsa aveva sempre ostacolato e sabotato il movimento fascista ogni qual volta questo faceva appello e si dirigeva verso la sua politica sociale e rivoluzionaria, anti plutocratica e popolare.
I vertici repubblicani non si fecero scrupoli, quando se ne presentò la necessità, a passare alle vie di fatto nei confronti degli industriali. Ad esempio, negli scioperi del 1944 a Milano ed a Torino (ispirati dagli anglo-alleati e mossi dai movimenti clandestini), gli industriali Donegoni e Marinotti (due dei più grossi industriali d'Italia), in base a sospetti di complicità, vennero subito arrestati. Misure del genere rivelano che un'aria diversa spirava sul fascismo repubblicano e una diversa determinazione ne ispirava le decisioni.
Tutto finì nell'aprile 1945 quando, approfittando dello scatenato odio antifascista, furono eseguite innumerevoli esecuzioni di innocenti. Le stragi del 1945 furono un olocausto che non colpì una minoranza forte, ma che si abbatté su gente del popolo, militi provenienti nella grande maggioranza dalle fila popolari e giovanissimi che avevano inteso battersi per un ideale rivoluzionario e per l'onore scalfito dalla viltà e dall'ipocrisia, dal tradimento e dalla codardia, d'una parte inetta che preferì la posizione personale, all'ombra degli inglesi, della mafia e della massoneria, alla grandezza della Patria in armi.
Roberto Vultaggio su "Avanguardia" mensile per la comunità militante

sabato 18 febbraio 2012

O la Borsa o la vita!

L'economista Sergio Ricossa in un sua opera, "Come si manda in rovina un Paese. Cinquant'anni di mala economia, Rizzoli, Milano 1995", cita il caso di una grande giocatrice in Borsa, la signora Anna Bonomi Bolchini. Costei, figlia di una portinaia e senza alcuna cognizione economico-finanziaria, accumulò una grossa fortuna speculando in Borsa. Ricossa annota questo prezioso particolare. Questa signora, prima di decidere sui grandi investimenti, si premurava di consultare la sua cartomante di fiducia. Questa apparente boutade, in realtà non è poi un modo come un altro per passare il tempo e, soprattutto, non è un modo scorretto di orientarsi sul mercato finanziario, visto che persino un esimio premio Nobel per l'economia, Paul Samuelson per orientare i suoi studenti negli investimenti borsistici, suggeriva loro il famoso "teorema delle freccette".
In poche parole l'illustre economista indicava ai suoi prediletti tre semplici mosse:
  1. si prenda il Wall Street Journal,
  2. lo si apra alle pagine delle quotazioni in borsa, e dopo averlo posto ad una certa distanza,
  3. lo si prenda di mira tirandoci sopra diverse freccette. Preferibilmente molte freccette perchè queste ripartiscono il rischio e riducono le perdite.
Questo, secondo il noto economista, è il modo più sicuro per non perdere in Borsa.
D'altra parte, già nel secolo scorso, il primo direttore dell'Economist, Sir Walter Bagehot, nel suo famoso libro, "Lombard Street", descriveva il mercato di Borsa come una grande bisca internazionale. Di qui il celeberrimo modo di dire: Quell'uomo "gioca" in Borsa.
Oggi, grazie alla deregulation e alla velocità con cui è possibile spostare enormi quantità di denaro, il mondo della Borsa si è spostato magicamente nel mercato valutario e ha perso il carattere di gioco per diventare un vero e proprio modo di governare gli uomini e le cose. Ciò si è reso possibile grazie ad un inganno: il mito della libera circolazione degli uomini, delle merci e dei capitali. Oggi infatti per muovere migliaia di miliardi basta pigiare le dita su di un pc. su queste decine di miliardi dollari solo un quinto sono destinati a saldare onesti utili scambi di beni e servizi, mentre tutti il resto ricerca di investimenti speculativi. Ebbene questo fenomeno e stato favorito dalla deregulation e dalla libera circolazione dai capitali.
Strumentalizzando molto certe coincidenze tra l'ascesa dello spread e la mancata approvazione di riforme e manovre finanziarie di un governo, si è arrivati ad istituzionalizzare una figura estranea alle democrazie, pur facendone, di fatto, parte integrante: il mercato.
Ci sono precise responsabilità. Anzitutto dei politici che hanno permesso tutto ciò.
In secondo luogo della Banca d'Italia prima e della BCE adesso. Prima perché non ha governato o perché non ha saputo governare. La vita di un economia si regge su alcune istituzioni, e se queste istituzioni non sono capaci di governare bene e, soprattutto, nell'interesse della collettività, è quasi scontato che certe cose accadano, prima o poi. Se questo tipo di "democrazia" ci ha portato allo sfascio o non è una vera democrazia, oppure non è un sistema adatto per governare. Quello che serve è un'unità di indirizzo tra economia e politica, poiché, all'origine dello sfascio, vi è il fatto inconfutabile che l'economia non è più al servizio della politica. In parole povere se tutti i ministeri più alti: Bilancio, Economia, Tesoro, devono (o no) essere composti da persone come quelle che vediamo oggi; oppure se al loro posto vi debbano essere persone del tutto sganciate dai poteri forti e perciò stesso veramente autonome. Ora, un altro punto: autonomia non equivale a completa libertà di fare i propri comodi. L'autonomia esige un controllo, altrimenti diventa un arbitrio. Purtroppo oggi le banche centrali e commerciali sono l'unica fonte di emissione monetaria. E, siccome manca assolutamente ogni sorta di controllo, la quantità di denaro emessa viene espansa o ristretta ad unico vantaggio dei potentati finanziari. L'inflazione e la deflazione sono - a tutti gli effetti - degli strumenti in mano alle banche centrali. Le Banche centrali attraverso l'elargizione di credito e la cosiddetta "stretta creditizia" sono riuscite a soggiogare intere nazioni. E lo fanno ancora oggi, di fronte ai nostri occhi. E' il cosiddetto andamento ciclico degli affari, un vero e proprio artifizio atto a condizionare e dirigere l'economia di un paese, a tutto vantaggio dei banchieri centrali.
Inoltre è da segnalare anche un assurdo giuridico. Attraverso il commissariamento della politica, non solo viene delegittimata la "democrazia", ormai completamente svuotata dalla sovranità popolare, ma viene lesa anche la "certezza del diritto" che è un principio imprescindibile per ogni stato che ama definirsi tale. La politica è debole ed il parlamento è stato di fatto esautorato da forze estranee al mandato popolare. Il parlamento - occorre ricordarlo anche adesso e non solo quando conviene a "lor signori" - è l'organo centrale del nostro sistema costituzionale. Non per nulla la frettolosa nomina di Mario Monti a senatore a vita rappresenta la classica foglia di fico per coprire un assurdo giuridico e costituzionale.

Per spiegare questo fenomeno occorre andare all'origine; e cioè, alla fondazione della Banca d'Inghilterra.
“Il banco trae beneficio dall'interesse su tutta la moneta che crea dal nulla”. William Patterson, fondatore della Banca d’Inghilterra.



Nel 1694 nasce la Banca d'Inghilterra prestando denaro (che allora aveva un valore intrinseco) ma ottenendo dal re il permesso di diffondere altrettanta cartamoneta sulla base di quello che aveva prestato al sovrano. In questo modo si riuscì a raddoppiare la base monetaria. Questo è il tragico inizio di un fenomeno di espropriazione strisciante della sovranità monetaria.
Dal VI sec. A.C., quando nell'Asia minore (nella stessa città e nello stesso periodo in cui era vissuto Talete) nasce la prima moneta coniata, fino alla fine del 1600, la proprietà dell'emissione monetaria era assicurata al Re o alla Repubblica. Era una prerogativa dello Stato, insomma. Con l'avvento della Banca d'Inghilterra questa tradizione venne tragicamente interrotta. Chiaramente non è che prima, nel corso dei secoli, tutto sia andato nel verso giusto: ci sono state alterazioni dei valori monetari, iperinflazioni ecc. Questo ultimo punto ha giustificato il passaggio a questa privatizzazione della emissione monetaria.
Successivamente (1800), sul modello della Bank of England, viene creata la Banca di Francia. Nel 1894 arriva anche la "Banca d'Italia" e poi, alla fine, dopo aver combattuto per molto tempo contro la costituzione di una Banca Centrale, anche gli Stati Uniti d'America, si doteranno di questo mefitico istituto: la Federal Reserve.
Nel dopoguerra, in Germania, la Bundesbank sarà la prima Banca centrale dotata di "autonomia". Perché? Perché occorre aspettare la fine della Seconda guerra mondiale affinché la Germania si doti di una Banca Centrale autonoma?

La cosiddetta autonomia delle Banche Centrali è stata caratterizzata per la creazione di moneta scritturale (bancaria), che ha ridotto il circolante a una parte minima occorrente a regolare le transazioni. Infatti, se vi ricordate le famose cinquecento lire con sopra stampigliata la dicitura "repubblica italiana", ricorderete pure che non servivano pressoché a nulla (a parte le elemosine o le mance al bar). Un po' come avviene oggi per gli euro e i centesimi metallici. In pratica, appena la moneta di carta serve a comprare qualcosa di cospicuo la proprietà diventava ed è della banca centrale. Ma anche questa è limitata, poiché tutto viene effettuato digitando la cifra su un Computer. Nel momento in cui le banche Centrali, collegate in qualche modo coi poteri pubblici, assumono l'autonomia, automaticamente la perdono, perché la massa dei segni monetari, quelli che servono a regolare la maggior parte delle transazioni, ormai passa al di fuori del circolante. Paradossalmente, la massa di cartamoneta emessa dalle Banche Centrali si sta degradando alla stessa maniera degli spiccioli metallici emessi dagli Stati. Quindi, in definitiva, oggi anche le Banche Centrali sono state messe in crisi dal la proliferazione del mercato. Negli Stati Uniti d'America, già prima della creazione dell'Euro, chi pagava con il contante veniva guardato con sospetto (o perché accattone o perché malavitoso). Per questo motivo si è fatto un passo in avanti nell'indirizzo sbagliato, istituzionalizzando la carta di credito, assottigliando ulteriormente il circolante aumentando il potere di chi crea moneta. Adesso con la tracciabilità nei pagamenti sono stabilite per legge multe fino al 40% dell'importo per chi compie transazioni in contanti oltre i 1.000 euro! Il regime della tracciabilità diventa operativo. Le regole anche per assegni e libretti. Insomma siamo alla dittatura del denaro. E questo avviene con la complicità e il silenzio-assenso dei politici.
Un problema, questo, essenziale per le democrazie, di difficilissima soluzione, è proprio quello della cosiddetta autonomia; poiché, nel momento in cui le banche centrali assumono l’autonomia questa cessa. Il mercato monetario non può essere più lasciato in balia degli speculatori internazionali.
Un raccordo fra la politica e la economia va dunque ristabilito, in modo tale da restituire la sovranità al popolo per la legittimazione reale della democrazia.
© Petrus Aloisius

martedì 14 febbraio 2012

Cesare Mori: l’uomo che colpiva la mafia duramente

 
In servizio a Firenze nel 1915 viene richiamato in Sicilia per combattere il fenomeno del “brigantaggio”


Cesare Primo Mori nasce il 22 dicembre 1871 a Pavia, ma viene riconosciuto dai genitori Felice e Pizzamiglio Rachele nell’ottobre del 1879.
Primo Nerbi saranno il nome e cognome provvisori del bambino nel periodo in cui vive nel brefotrofio di Pavia.
Il giovane, alto, diritto, volto energico, occhio sereno con riflessi d’acciaio, nel 1889 viene ammesso all’Accademia Militare di Torino. Nel 1895 è nominato tenente di artiglieria e assegnato a Taranto dove ottiene la prima medaglia al valore. Qui conosce Angelina Salvi che diventerà sua moglie, ma il regolamento del tempo lo costringe alle dimissioni per la dote non disponibile.
Cesare però manifesta la sua vocazione partecipando al concorso per entrare in Polizia, dove viene nominato Delegato di Pubblica Sicurezza e inviato in servizio a Ravenna.
Nel 1904 è assegnato con il grado di Commissario di P.S. a Castelvetrano (TP), compito che assolve con la stessa grinta e determinazione che mostrerà in seguito.
È deciso, coraggioso, incorruttibile e compie numerosi arresti. Subisce diversi attentati ma nessuno riesce a fermarlo. Spesso è costretto a usare metodi particolarmente duri e per questo è denunciato per abuso di potere, ma sarà successivamente assolto e amnistiato. Afferma il magistrato del distretto: “Abbiamo a Trapani un uomo che colpisce la mafia ovunque annidata!”
Cesare Mori viene chiamato in servizio a Firenze nel 1915 in qualità di vice questore, ma proprio in questo periodo scoppia la guerra e in Sicilia si diffonde il cosiddetto “brigantaggio”, fenomeno favorito dall’elevato numero di giovani che diserta la leva. Pertanto il nostro viene rimandato in Sicilia, a Caltabellotta (AG).
E qui il vice questore mostra ancora una volta il suo valore riportando notevoli successi, che gli valgono tra l’altro la medaglia al valore militare e la promozione a questore. Nell’occasione Mori dichiara che “il vero colpo mortale alla mafia lo daremo solamente quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d’india, ma nelle prefetture, questure, palazzi padronali e ministeri!”.
Negli anni successivi lo ritroviamo in servizio presso le questure di Torino, Roma e infine a Bologna. Arriva frattanto il 1921, anno ricco di fermento sociale per via dell’accanita lotta tra la materia e lo spirito, che si incarna nelle schiere contrapposte del socialismo e del nazionalismo. Ex combattenti, arditi e reduci sono attaccati da forze antinazionali ma rispondono colpo su colpo. Gli scontri tra le parti sono violenti e il disordine impera.
E Cesare Mori, in qualità di Prefettissimo, trova in punta di diritto il modo migliore per ristabilire lo Stato di diritto: non fare sconti a nessuno e catalogare tutti i contendenti più scalmanati come “sovversivi”.
Il 28 ottobre 1922 il Duce viene chiamato a presiedere il governo della concordia nazionale e frattanto il Prefetto va in pensione e si ritira a Firenze conducendo una tranquilla vita coniugale. Qui scriverà il libro di analisi della mafia: Tra le zagare oltre la foschia (pubblicato nel ’23 dalla Carpignani e da La Zisa nel 1988, nda).
Mussolini, l’Uomo della Provvidenza, coagula in un riuscito amalgama le istanze socialiste e quelle nazionaliste. Il capitale viene messo al servizio del lavoro in una nuova dottrina che rompe le antiche diatribe: è il certificato di nascita del fascismo. Il Duce visita la Sicilia nel maggio 1924 e nell’occasione si rende conto dei problemi che attanagliano l’isola, e della maniera di poterne venire a capo. “Il popolo siciliano ha bisogno di strade, acqua, bonifica, incolumità. Il fascismo cauterizzerà se necessario col ferro e col fuoco, la piaga della delinquenza siciliana”, sentenziò Mussolini. Affidarsi al cauterio: bruciare ma risanare. Non c’era polso più adatto all’operazione che quello del soldato Cesare Mori.
Il 28 dello stesso mese il Prefetto viene richiamato in servizio e inviato a Trapani. Il 20 ottobre 1925 arriva a Palermo come Superprefetto con l’onere di una missione chiara per conto di Mussolini: eliminare la mafia dalla Sicilia in tutte le maniere possibili. Mori ha carta bianca, e dal 1 novembre 1925 fino al 1929 conduce una battaglia spietata, con metodi spesso poco ortodossi ma necessari, suscitati però dalla bisogna e adeguati a piegare la psicologia degli avversari.
Tra le battaglie del Prefetto d’assalto, va annoverata senz’altro quella epocale del 1926: l’assedio di Gangi (Pa) che porta alla cattura di centinaia di gregari e capi mafia. L’azione è svolta con il coordinamento unico di Carabinieri, Poliziotti e Camicie Nere scelti tra ex combattenti e reduci della vittoriosa Prima guerra mondiale. La legge è applicata alla lettera dalla magistratura di competenza, diretta dal procuratore generale, Luigi Giampietro. Anche alte personalità fra cui il generale, nonché ex ministro, Antonino Di Giorgio, sono inquisiti. La lotta non si caratterizza però soltanto come campagna di polizia ma anche come insurrezione di coscienze. Un’autentica rivolta di spirito che risulta decisiva per il successo. L’eco dell’impresa e il temperamento pugnace varranno a Mori l’epiteto che l’ha consegnato alla storia: Prefetto di Ferro. Il Prefetto contadino va incontro al popolo, esorta tutti a difendere la dignità dell’uomo, si mette alla guida dei mezzi agricoli nelle terre sottratte alla mafia, conduce la bonifica integrale con autentiche sagre popolari, concluse con rito religioso e giuramento di fedeltà allo Stato. Significativamente, Mori fa ammainare le bandiere rosse usate per le segnalazioni e saluta a braccio teso il tricolore a Roccapalumba, Piana dei Greci e a Palermo, in piazza Politeama.
La sua azione di polizia arriva fino ai colletti bianchi. La corsa è irrefrenabile, anche S.E. si rende conto di essere giunto alle soglie del possibile e per questo motivo chiede al capo del Governo il consenso alla prosecuzione.
La risposta è lapidaria: Non abbia riguardi né in alto né in basso.
Molti mafiosi cercano scampo in America. Antonio Calderone, pentito di mafia, ne “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi afferma: “I mafiosi erano usciti impoveriti dal fascismo. Mio zio Luigi, un capo, un’autorità, si era ridotto a fare il ladro per guadagnarsi il pane!”. Anche Alfredo Cucco, medico oculista, segretario e deputato del Pnf che alcune macchinazioni avevano tentato di mostrare colluso, viene punito con l’espulsione dal partito. (Successivamente sarà completamente scagionato e dimostrerà la sua fede aderendo alla Rsi, nda)
Nell’occasione del conferimento della laurea in legge “honoris causa” a Palermo, il neo-dottore Cesare Mori, dirà: “La mafia è una attitudine morbosa specifica di determinati elementi. La polizia è nella funzione, civile milizia; nel fatto, azione. La mafia dà i sacerdoti, la malvivenza i fedeli”.
“Si poteva dormire con le porte aperte” e pertanto “santo” Mori aveva compiuto il miracolo. L’Italia gli è riconoscente, Mussolini lo fa nominare Senatore del Regno.
Adesso tocca allo Stato immettere la Sicilia nel giusto cammino verso il progresso di tutta la Nazione. Attacco e polverizzazione del latifondo e bonifica integrale, costruzione di infrastrutture per rendere competitiva l’agricoltura nell’ottica di inserimento nell’impresa africana.
Anche con questa carica, Mori si occupa della Sicilia ma dirà che “la misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura”.
Verso la fine del ‘29 viene nominato presidente del Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana conseguendo democratici ottimi risultati. Arrigo Serpieri, l’ideatore della legge sulla bonifica integrale, gli aveva concesso il valore consultivo dei proprietari.
Nel 1932 la Mondadori pubblica il libro Con la mafia ai ferri corti, dove tra l’altro Mori, per fugare qualsiasi dubbio o incertezza nei denigratori e zizzanieri, afferma che la lotta contro la mafia ha avuto successo perché combattuta dal regime fascista nel nome e per volontà del Duce.
Vive negli anni successivi con la moglie Angelina a Pagnacco, frazione di Tavagnacco (UD). S.E. Cesare Mori, il Prefetto di Ferro, muore il 5 luglio 1942. Lascia una eredità materiale modestissima. Viene sepolto in una umile tomba a Pavia dove riposa il sonno degli Eroi.
Calogero Vizzini, capo mafia, dirà a Indro Montanelli in una sua intervista: “Si, di mano spiccia...ma òmmo era..”
Arrigo Petacco ha scritto il libro Il prefetto di ferro, pubblicato dalla Mondadori nel 1975. Pasquale Squitieri ne ha realizzato un film interpretato da Giuliano Gemma con musiche di Ennio Morricone.
Luglio 1943. I mafiosi aprono le porte della Sicilia agli invasori anglo-americani. Cesare Mori si rivolta nella tomba, il suo “spirto guerrier” freme, vorrebbe ancora combattere la mortale nemica…
Gangi grata ricorda l’epopea intestandogli una targa marmorea.
Il magistrato Giovanni Falcone, eroe vittima di mafia, qualche tempo prima di essere trucidato, alla domanda “chi glielo fa fare” rispose: “Il senso del servizio”. Allo stesso interrogativo il Prefetto di Ferro avrebbe aggiunto: “Per amore di Patria”.
Articolo apparso su “Rinascita” il 14 Febbraio 2012

mercoledì 1 febbraio 2012

Il “Club Bilderberg” e/o le strategie (semiocculte) della cricca mondialista

Dal n° 313 - Febbraio 2012   di AVANGUARDIA
TiTolo:  “Il Clun Bilderberg. La storia segreta dei padrini del mondo”
Autore:  Daniel Estulin
Edizione:  Arianna Editrice, Bologna 2009, pp. 375, euro 18,50
Scritto da Leonardo FONTE  
Mercoledì 01 Febbraio 2012

Il progetto sinarchico per la realizzazione del così detto “nuovo ordine mondiale” - “ordine” consolidato su basi di egemonia monopolistica da parte di un establishement industrial-bancario e finanziario multinazionale - appare quasi interamente realizzato.
Popoli, governi e Stati-nazione sono stati disarticolati, sventrati e privati d’ogni autodeterminazione ed identità. Speculatori internazionali operanti dietro le quinte, ossia segretamente e fuori da qualsiasi contesto, seppur marginale, di controllo politico [cosa contano le democrazie parlamentari borghesi?] e popolare [le masse della società consumistico-occidentale hanno intelletto e coscienza?], hanno divorato beni pubblici e smantellato lo stato sociale, restringendo le maglie della libertà personale e del pensiero. Nel contempo la politica istituzionale, smembrata d’ogni pulsione ideale e svuotata da qualsiasi proiezione verso il bene comune, ha alzato bandiera bianca, relegando del tutto il potere in mano ai tecnocrati.
Del resto, è successo in Italia col governo Monti. Così come i Grecia, dove la cricca mondialista ha suggerito al governo ellenico la svendita delle isole, ovvero l’industria greca per eccellenza, e la pressoché eliminazione del pubblico impiego!
Liberalizzazioni e privatizzazioni tout-court, fusioni ed acquisizioni, svendita e dismissioni di beni pubblici e demaniali, delocalizzazioni industriali, mobilità estrema della mano d’opera e costo del lavoro sempre più basso, caratterizzano il percorso verso il progetto globale voluto da pochi speculatori, da finanzieri filantropi e da una manciata di industriali, di grandi banchieri, di politici venduti e contigui a tal potere.
Il progetto di egemonia globale è lo strumento operativo, imperialista e neocolonialista, partorito dalle strutture mondialiste.
Cerchi concentrici di organi decisionali segreti, di sigle ed uomini, che non tentennano affatto a muovere guerre di aggressione, conflitti non convenzionali o a “bassa intensità”, pur di raggiungere gli scopi da loro prefissi. Strutture partorite nel grembo canceroso dell’Occidente giudaico-mondialista che rispondono al nome di “Bilderberg Group”, “Council on Foreign Relations”, “Trilateral Commission”.
Strutture entro le quali giostra un nome tra tutti, quello di uno dei discendenti della casta, o razza?,eletta delle dinastie finanziarie e che risponde al nome di David Rockefeller! Proprio l’ebreo David Rockefeller in un incontro del Bilderberg Group, in Germania nel 1991, in maniera diretta affermò alla platea dei propri sodali che “una sovranità sovranazionale, esercitata da una élite intellettuale e di banchieri mondiali, è sicuramente preferibile all’autodeterminazione delle nazioni ...”. E David Rockefeller, la cui famiglia ha finanziato il CFR, è il comune denominatore di tutti questi gruppi paralleli. Non solo è il presidente emerito del CFR, ma fornisce anche il suo personale supporto e continui finanziamenti alla Trilaterale, fondata e finanziata dal ‘nostro’ nel ‘73, al Council on Foreign Relations e al gruppo Bilderberg.
“Il Club Bilderberg. La storia segreta dei padroni del mondo” è un libro che traccia, attraverso una nitida e corposa documentazione, oltre ad episodi di ricatti e di minacce sulla vita vissuti in prima persona da parte dell’autore, il percorso della struttura mondialista nata nel 1954, in una piccola cittadina olandese, presso l’hotel Bilderberg.
Il “Bilderberg Group”, scrive Daniel Estulin a ragion veduta e molto consapevolmente, così come da un ventennio riportato dalle pagine di questo periodico - rivoluzionario e antimondialista - e non a caso un Tribunale della repubblica coloniale ce lo contesta in una sentenza di condanna, “ha il potere e l’influenza per imporre le sue politiche a tutte le nazioni del mondo. Abbiamo già visto quanto siano lunghi i suoi tentacoli, tanto da riuscire a controllare il Presidente degli Stati Uniti, il Primo Ministro del Canada, tutti i principali mass media operanti in Occidente, tutti i più importanti uomini politici, i principali personaggi del mondo finanziario e le banche centrali dei maggiori Paesi del mondo - tra cui la Federal Reserve degli Stati Uniti - il «Fondo Monetario Internazionale», la Banca Mondiale e le Nazioni Unite”.
James Warburg, figlio di Paul, uno dei fondatori del CFR e braccio destro del presidente F.D.Roosevelt, altro tipico esempio della casta finanziaria d’origine ebraica imperante nel pianeta, nel febbraio del 1950 rilasciò una dichiarazione ben precisa alla commissione senatoriale per gli Affari esteri degli Usa che suonò da monito: “Formeremo un governo mondiale, che vi piaccia o no, e lo otterremo o col consenso o con la forza”.
In Italia, il gruppo Bilderberg ha tenuto quattro incontri.Il primo nel 1957 a Fiuggi. Poi nel ‘65 e nel 1987 a Villa d’Este. Infine, nel 2004 a Stresa. Incontri ai quali non sono ammessi interlocutori, nè la stampa.Ameno che non si tratti di giornalisti sodali ed operativi con le strategie del gruppo semiocculto. Più italiani hanno, nel corso degli anni, partecipato ai lavori del Bilderberg. Da Franco Bernabè, vicepresidente di “Rothschild Europa” a John Elkann e Gianni Agnelli della Fiat; da Mario Monti, attuale premier e responsabile della Bocconi di Milano, a Paolo Scaroni dell’ENI; da Domenico Siniscalco, ministro di Economia e Finanze nel secondo e terzo governo Berlusconi ed uomo di “Morgan Stanley” a Roberto Ducci, Raffaele Girotti, Siro Lombardini, Cesare Merlini ed Ugo Stille partecipanti all’incontro del 1973 in Svezia. Eppoi Mario Draghi e Romano Prodi presenti, insieme a Tommaso Padoa-Schioppa, Elkann e Bernabè, all’incontro del 2009 in Grecia. Fino al ministro del centrodestra Giulio Tremonti.
Sin dall’origine degli incontri di tale sodalizio para-criminale, traspare in sintesi il delinearsi delle tracce della politica radicale neocon in auge nel Nord America, che ha caratterizzato il corso degli attuali eventi nella politica estera. Un tracciato compreso e tracciato da guerre di aggressione, da operazioni per il controllo geopolitico e geoeconomico delle nazioni in via di sviluppo, dall’accaparramento banditesco delle fonti energetiche, dal controllo del nucleare e dei flussi immigratori, utili per l’abbassamento coatto del costo della manodopera e del lavoro e d’un nuovo e segnato schiavismo. Tutto sommato alle deindustrializzazioni controllate lì ove il gruppo decide ed al controllo delle industrie siderurgiche e militari ove il gruppo di potere decide di investire. Addirittura la manipolazione della società attraverso una accurata campagna mediatica diretta ad infondere paura, terrore e controllo nelle masse planetarie, sviandole dai reali problemi e depistandole verso un ‘nemico’ aleatorio e virtuale. Vedi al-quaeda e bin laden, strumenti diretti ad uso e consumo delle agenzie di spionaggio nordamericano. Oltre al controllo delle nascite ed al decremento della popolazione, così come prospettato per l’Italia in una delle conferenze del Bilderberg, insieme allo smantellamento della propria industria pesante. “Uno dei segreti meglio custoditi - riporta Daniel Estulin, cfr.pag. 113 - riguarda al’accordo con cui un gruppo di grandi multinazionali - tutte appartenenti al “Bilderberg Group”, o al CFR, o alla NATO, o al “Club di Roma” o alla Trilaterale - controlla il flusso mondiale di informazioni: decide quello che vediamo in televisione, ascoltiamo alla radio e leggiamo sui giornali, sulle riviste, sui libri o su Internet”. Appena cinque multinazionali, del resto, controllano la vita, i consumi e le abitudini di oltre cento milioni di nordamericani.
Il progetto di un unico governo mondiale, con un singolo mercato globale, controllato da un unico esercito mondiale (la Nato), regolato da un’unica banca e che si avvia all’utilizzo di un’unica moneta, ha previsto delle tappe. Molte già realizzate. Ma qualche intoppo, vedi l’Iran Sciita ed Hezbollah, il socialismo radicato nelle identità nazionali andine, così come la battaglia per la liberazione della Palestina dal cancro ebraico-sionista, ha fatto segnare il passo al percorso voluto dal Bilderberg ed alle consorelle del CFR e della Trilaterale.
Il percorso mondialista sviluppato per l’egemonia su base planetaria, così come traccia anche Estulin, prevede un’unica civiltà internazionale che mira a distruggere identità e tradizioni nazionali; il controllo centralizzato delle persone, obbligate ad obbedire alle volontà della lobby voluta da Rockefeller; una società a “crescita zero”; un continuo stato di squilibrio psicologico, attraverso una serie di crisi costruite a tavolino in maniera tale da tenere i singoli in uno stato di continua prigionia fisica mentale ed emozionale. Poi, il controllo centralizzato di tutti i sistemi educativi, che avviene già attraverso la scuola e l’università, la televisione, internet ed i social network; il controllo centralizzato di tutte le politiche interne ed estere degli Stati-nazione; il rafforzamento dell’ONU; il mercato unico occidentale attraverso l’espansione dei trattati del NAFTA in tutto l’emisfero occidentale del pianeta, sud america compreso, in maniera tale da avere una “unione americana”, simile all’unione europea; l’espansione della Nato; un unico sistema legale, sistema liberticida che l’Europa ha avviato con il blasfemo “mandato di cattura europeo”.In ultimo, Estulin afferma che il governo semiocculto prospetta un unico “welfare state” socialista, tale da “instaurare un regime socialista del “welfare state”, in cui gli schiavi obbedienti saranno premiati e quelli ribelli verranno sterminati.
Ci appare superfluo affermare che le trame di potere del Bilderberg vengono districate ad ogni elezione dei presidenti degli Stati Uniti, di stampo democratico o repubblicano che sia, in maniera tale che Casa Bianca, Pentagono ed agenzie di controllo rispondano in maniera univoca alle direttive ed ai voleri del sistema unico di potere. Sia John Kerry che George W.Bush, così come Obama, sono finanziati sempre dallo stesso gruppo di potere - membri delle strutture citate.“Il fatto - aggiunge Estulin - è che conta poco chi vince: l’epicentro del potere rimane sempre tra le persone che vogliono imporre un unico governo mondiale, un unico mercato globale”.
Estulin (ma guarda un po’... siamo in buona compagnia) sottolinea, inoltre, il fatto che tutte le amministrazioni statunitensi sembrano salvaguardare più gli interessi di ...Israele che non quelli della nazione nordamericana.
Nel testo, del quale raccomandiamo la lettura, al di là di certe discrasie presenti e che tratteremo in sintesi alla fine, si documenta anche il coinvolgimento del Bilderberg nell’assassinio di Aldo Moro, episodio ulteriore della stagione della “strategia della tensione”, che ha segnato a suo tempo la sovranità limitata dell’Italia in politica estera, relegandola nella gabbia dell’atlantismo nel segno della politica filoisraeliana ed antiislamica. “Nel 1982 - cfr.pag. 71/72 -, John Coleman, un ex agente dell’intelligence che poteva accedere a tutti gli stadi del potere e a tutte le carte segrete, rivelò che ...Aldo Moro ... fu ucciso da killer gestiti dalla loggia massonica P2, allo scopo di piegare l’Italia ai voleri del “Club di Roma” e del Bilderberg, volti a deindustrializzare il Paese e a ridurne in modo considerevole la popolazione. In La Cerchia dei Cospiratori, Coleman afferma che le forze della globalizzazione volevano utilizzare l’Italia per destabilizzare il Medio Oriente, loro obiettivo principale. (...) Coleman descrive con dovizia di particolari la sequenza di eventi, che paralizzò l’Italia: il rapimento Moro e la spietata esecuzione della sua scorta, da parte delle Brigate Rosse, nella primavera del 1978 alla luce del giorno, e la sua successiva uccisione. Il 10 novembre 1982, in un’aula del tribunale di Roma, Corrado Guerzoni, un intimo amico della vittima, testimoniò che Aldo Moro ... «fu minacciato da un agente del “Royal Institute for International Affaire” (RIIA), mentre era ancora ministro».Coleman racconta che, durante il processo ai membri delle Brigate Rosse, «molti di loro testimoniarono di essere venuti a conoscenza dell’implicazione di un alto funzionario degli Stati Uniti nel piano per per uccidere Moro». Tra il giugno e il luglio del 1982, «la vedova di Aldo Moro testimoniò che l’omicidio di suo marito era stato il risultato di una serie di minacce alla sua vita, mosse da qualcuno che lei definì una figura molto importante della politica degli Stati Uniti».”
Il già citato Guerzoni, durante una fase del processo, fece esplicitamente il nome di Henry Kissinger. Precedentemente al caso italiano, il Cile di Allende conobbe sulle proprie spalle l’interessamento e le intromissioni di Kissinger, oltre a quelle della multinazionale IBM.
Nella realtà con Rockefeller, il defunto Gianni Agnelli, l’ineffabile Peter Sutherland (uomo della Goldman Sachs, ex direttore del GATT e del WTO e presidente della British Petroleum ...ricordate la catastrofe ecologica al largo delle coste meridionali degli Usa?) e Zibgniew Brzezinski, Kissinger è stato il più assiduo ed il più influente tra i partecipanti del Bilderberg. In pratica il nocciolo teorico che negli anni ha articolato, sviscerato e materializzato l’idea della globalizzazione.
Banche, fondi finanziari - più che illimitati e difficili da quantificare - potere politico, militare ed industriale permettono a questi individui di limitare le libertà a miliardi di persone, di accumulare risorse e profitti incommensurabili, di muovere guerre, di decidere vita e morte di governi e di irretire le coscienze attraverso un controllo ed un depistaggio dei mezzi di informazione davvero mefistofelico.
In sintesi si potrebbe scrivere che “la chiave per far sì che il potere si accentri nelle loro mani sta nel fatto di convincerci a «rinunciare alle nostre libertà, per far fronte a un comune nemico o a una crisi globale».”
È davvero curioso notare la simpatia, l’apprezzamento di David Rockefeller verso la rivoluzione cinese di Mao.
Così come dalla lettura del testo in questione emerge una verità storica ben precisa, inconfutabile. Ovvero la funzione fisiologica avuta dai filantropi, dai banchieri ipercapitalisti - gli antesignani del Bilderberg ...- nel finanziare la rivoluzione bolscevica e nel sostenere la scalata al potere di elementi quali Lenin e Trotskij. In tal contesto un ruolo di primo piano, ancora, lo ebbero i Rockefeller.
“Fin dagli anni ‘20 - scrive Estulin -, gli interessi del duo Morgan-Rockefeller hanno giocato un ruolo determinante in molti accordi commerciali pro-Sovietici. Costoro controllavano le più importanti aziende che facevano affari con la Russia sovietica ...Nel 1926, la “Vacuum Oil Company”, una proprietà di Rockefeller, firmò un accordo con l’azienda sovietica “Naphta” per commercializzare il petrolio sovietico nei Paesi europei, attraverso la Chase National Bank (anch’essa di Rockefeller). Tal gruppo di potere bancario e finanziario, oltre a sostenere Stalin durante la II Guerra Mondiale, trasferì sin dagli anni ‘50 nella Russia sovietica tecnologia bellica prodotta negli USA.
Potremo adesso apparire presuntuosi. Negli anni dalle nostre voci, dalla nostra carta stampata, dalle nostre articolazioni e denunce, dalla nostra esigenza di ricerca della verità storica, quanto compreso nelle pagine del pregevole testo di Estulin - uomo caparbio, coraggioso e generoso, sopra tutto un uomo libero - era stato gridato a gran voce. Ci han presi per complottisti, per visionari, ci han censurati, denunciati, presi per ...pazzi!
Ma osiamo affermare fermamente e lucidamente che per arrestare l’ondata usurpatrice mossa dalle strutture mondialiste, così come per sconfiggere la ristrutturazione neoliberista della società, bisogna uscir fuori ed abbattere ogni logica capitalista e struttura che ne avalli la funzione. “Le attuali democrazie rappresentative - leggiamo nel libro oggetto della nostra recensione - si basano su governi “eletti” ...i quali possono essere “scaricati” creando delle “crisi orchestrate a tavolino” tramite un terzo potere (chiamato “sistema delle banche centrali indipendenti”, che di fatto li finanzia.
Negli Stati Uniti, questa banca centrale si chiama “Federal Reserve” ed è un istituto privato strettamente collegato al Bilderberg. In Europa, abbiamo la “Banca Centrale Europea”, le cui politiche monetarie sono stabilite dall’élite del Bilderberg, di cui fa parte il suo presidente, Jean Claude Trichet”.
Una nota finale. Una critica fondata che non sappiamo se Estulin leggerà mai.
Nella esplicazione della sua analisi, il giornalista canadese afferma (pag.108) che, durante il periodo di isolazionismo tra le due guerre mondiale negli Usa, “ ...nessuno si accorse della somiglianza di obiettivi che vi era tra il nazismo e il progetto di un nuovo ordine mondiale”, così come auspicato dai sostenitori d’un mondo unico.
A parte la lungimiranza e la chiarezza della dottrina nazionalsocialista a sviscerare la questione finanziaria e dell’usura apportata ai danni delle nazioni europee, in primis la Germania, prede dell’egemonia del grande capitale che nella realtà aveva affamato e derubato, oltre a succhiarne il sangue, i popoli d’Europa, la geopolitica del NSDAP guardò unicamente ai territori dell’Est. Agli immensi territori che compongono il cuore del continente euroasiatico, onde assicurare la pace, la libertà, lo sviluppo e il benessere all’Europa.
Nel pensiero e nella dottrina hitleriana non aleggiarono minimamente, in nessun contesto, progetti di egemonia planetaria. A Hitler non interessava minimamente l’intero continente americano, né l’Australia, né l’Africa o l’Estremo Oriente. L’Indonesia ed Hong Kong. Neanche il sud d’Europa, come lo stesso Tirolo. Intervenne militarmente nei Balcani e in Nord Africa unicamente per salvare dalla disfatta lo sbrindellato alleato italiano, militarmente nei mezzi a disposizione non idoneo ad una guerra di tal portata, i cui stati maggiori già tramavano con la massoneria d’Oltremanica.
Altro non c’è da aggiungere.
Leggete, in ogni caso, “Il ClubBilderberg”. La comprensione del suo contenuto Vi porterà a conoscere il lato occulto della politica. La regia segreta che tien per mano il nostro destino. Leggete - che lo facciano prioritariamente i nostri ‘controllori’ - ed avrete la consapevolezza di quale dannazione siamo i destinatari. Pur se i mondialisti, i banchieri filantropi ed i sodali del progetto sinarchico, mai potranno acquistare l’animo e l’onore degli Uomini liberi.