mercoledì 25 aprile 2012

L’unica liberazione possibile

LiberazioneSe coloro che oggi festeggiano la giornata della “liberazione” sapessero a quali disavventure e disagi sono andato incontro durante tutti questi anni per difendere l’indipendenza di giudizio e un’idea “politicamente scorretta”, con tutta probabilità avrebbero una qualche difficoltà nel definire cosa veramente significa essere liberi;  e dovrebbero rivedere il giudizio politico non solo sul 25 aprile ma anche quello sul 17 marzo 1861 e la cosiddetta “unità d’Italia”.
Ora senza fare inopportune digressioni dirò, semplicemente, che la sinistra non si è mai confrontata seriamente con la sua storia, lasciando spesso molti cadaveri nell’armadio del “politicamente corretto”.  Si dice che quelli furono eroi, o morti inevitabili e che, comunque, perirono per una “giusta causa”. Il caso di Pol Pot, però, non viene ascritto a queste categorie e perciò, viene sconfessato e non riconosciuto come di “sinistra”, evidentemente perché troppo sanguinario e poco marxista. 
L’enfasi retorica spinta sino alla millanteria appartiene purtroppo a certo nefasto repertorio nazional-patriottardo che ci rimanda alle sonore corbellerie scritte in occasione dell’unità d’Italia.  Chi ha studiato la Storia d’Italia solo sui manuali scolastici ha ricevuto un’istruzione distorta e assai settaria, non attenta a quelle che furono le vere ragioni dell’unità italiana.  La storia è una scienza che va continuamente aggiornata. E chi non lo fa è, appunto, settario. E se oggi si denunciano  le ruberie e il malaffare occorre – per quanto sia possibile -  andare all’origine e vedere dove si è cominciato a barare, perché le ruberie di allora rappresentano lo specchio autentico di quelle odierne.
Il primo finanziamento illecito ai partiti viene fatto proprio da Giuseppe Mazzini. Il nostro “eroe nazionale”, una settimana prima della proclamazione del Regno d’Italia, manda un banchiere (Adriano Lemmi), che oggi si chiamerebbe brasseur d'Affairs, con un a lettera di credito indirizzata a Francesco Crispi (altro padre di questa patria matrigna) e lo invita ad aiutarlo per la costruzione delle ferrovie. E qui bisognerebbe ricordare agli immemori pennivendoli del Sistema che l'Inghilterra del tempo era massimamente interessata all’affare ferrovie.  Mi fermo qui.
Ma veniamo all’oggi. Tutti ricordano gli articoli intrisi di odio dell’ormai scomparso Antonio Tabucchi che denunciava le contro manifestazioni di FN, rei di voler forse reinterpretare un’anacronistica marcia su Roma. Dimenticano, costoro, che persino i carri sovietici si sono sempre mossi con il  pretesto di voler aiutare popoli e governi minacciati…. Dico questo, en passant, solo per significare che esistono sempre molte verità e quella ritenuta corretta è quasi sempre ascrivibile al potere costituito; e proprio per questo, come minimo, assai discutibile e perciò degna di essere studiata e rivista con occhio spassionato e scevro da pregiudizi.
Si dice che il fascismo fu un regime illiberale e liberticida e per questo il 25 aprile serve a ricordarlo. E’ vero: il fascismo fu profondamente illiberale. Ma questo spirito illiberale esisteva ben prima dell’avvento fascista e, soggiungo, continuerà ad esistere. Gli italiani che oltraggiarono il corpo del Duce furono – in massima parte – gli stessi che lo applaudirono durante le oceaniche adunate. Per questo - ora come allora – occorre elogiare coloro che non fecero parte della massa belante, al servizio del potente di turno.
Per questo e tantissimi altri motivo dico semplicemente che il 25 aprile non è stata mai la mia festa: innumerevoli bandiere insanguinate la popolavano,  immenso odio civile  l’ha animata in tutti questi anni, supportato da una olografia  a dir poco manichea.  Il mito della resistenza  è stato usato come una clava dalla sinistra per colpire gli avversari politici e, soprattutto,  come surrogato della lotta al capitalismo. Ogni qual volta  occorreva giustificare i compromessi messi a punto dal PCI con la borghesia e il capitalismo si riesumava lo spauracchio antifascista in funzione dello Status quo.
Il comunismo ha tradito perciò la sua natura ideale e sociale, venendo meno ai suoi principi fondamentali. Il comunismo è diventato un alibi, un mezzo attraverso il quale fosse possibile far politica in nome di “giusti” e “nobili” ideali ma che, nei fatti, ha rappresentato la punta di lancia del compromesso storico.
Il rito battesimale della Liberazione ha dato al comunismo una patente di libertà negata nei fatti dalla Storia. E questo è ancor più vero “oggi” di “ieri”. Per far parte della comunità nazionale agli ex-neofascisti è stata necessaria l’abiura del fascismo tout court, senza nemmeno considerare quelli che furono i vantaggi e le scelte politiche sociali giuste per la comunità nazionale.  Si disputa da anni di riforme costituzionali senza che nessuno (nemmeno gli ex sedicenti fascisti) abbia messo seriamente sul tappeto il problema della “libertà” come assunto principale del nostro vivere civile.
Inoltre la pretesa unificante del 25 aprile come Liberazione Nazionale è un falso storico smentito dai fatti. Oggi si celebra l’avvento di una democrazia dimezzata, dalla quale non solo solo sono stati esclusi i "vinti"  ma pure chi non accetta i paradigmi di questo regime mascherato.  Si celebra una “vittoria” rubata da una minoranza ad un’altra minoranza, con larga parte della popolazione rimasta inerte e che, in massima parte, durante il fascismo, fu organica al sistema.  Oggi che i partigiani, per ragioni anagrafiche, sono quasi tutti deceduti, l’antifascismo in Italia si risveglia con un altro significato che esce fuori dai confini del politicamente corretto. Esso ha indossato i panni o dell’anti -berlusconismo viscerale, oppure dell’anti-politica, gettando un ponte fra due uomini, del tutto differenti. Il suo significato originario si è diluito, diventando altro da quello che era in origine. 
Per questo ed altro ancora non festeggio. L’unica liberazione possibile risiede nel conseguimento della verità storica attraverso la libertà di ricerca, senza che partiti e poteri possano mettervi bocca.
© Petrus Aloisius

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