venerdì 23 giugno 2017

Horst Mahler: storia di un crimine democratico



Venerdì 23 Giugno 2017
Alla fine è stato consegnato alle forze di polizia tedesche il revisionista Horst Mahler, che aveva chiesto, senza ottenerlo, asilo all’Ungheria del Presidente Orban ritenendolo, illusoriamente, uno stato sovrano pronto ad accoglierlo.
Dopo tanti anni vissuti in galera scontando varie condanne inflittegli a causa del suo pensiero riguardo l’Olocausto e più in generale l’ebraismo, nel duemilaquindici, precisamente il diciassette luglio, a Mahler fu concessa una sospensione della pena dopo aver subito una seria operazione nella quale, a causa del diabete, si era resa necessaria l’amputazione di un piede e di parte della gamba.  

E’ chiaro che dopo una menomazione di tale genere, accompagnata dall’età avanzata che ne pregiudicava il benessere fisico, per Mahler era impossibile reggere il regime di vita carcerario, perciò, quando lo scorso cinque aprile fu definitivamente respinta la sua richiesta di liberazione dopo che in primo grado gli era stata sorprendentemente ( visto e considerato il tipo di giustizia che alberga negli Stati democratici), e gli fu intimato di tornare entro il diciannove aprile in carcere, pensò di andare in Ungheria, per chiedere asilo ad Orban e al governo che egli presiede. 

Lo fece il dodici maggio, e la risposta fu, tre giorni più tardi, l’arresto avvenuto nella cittadina di Sopron.
Dopo quarantotto ore viene presa dal tribunale di Budapest la decisione ufficiale di respingere la richiesta di Mahler, che viene successivamente espulso e consegnato alle autorità germaniche.
Horst Mahler con tutta probabilità trascorrerà altri mesi in galera, nonostante le sue condizioni fisiche siano oggettivamente compromesse.
Egli è costretto sulla sedia a rotelle e ha bisogno di assistenza nell’arco della giornata, attenzioni che di certo in prigione non gli verrebbero concesse nella giusta misura.
Basti pensare a tal proposito che nella cella dove Mahler ha trascorso le giornate successive all’arresto in Ungheria e alla sentenza del tribunale mancavano cose essenziali come asciugamani, calzini e carta igienica.
A poco sono valsi gli appelli della moglie di Mahler, Elzbieta, che non ha esitato a mettersi in contatto con l’ambasciatore tedesco in terra ungherese affinchè quella situazione catastrofica subisse un miglioramento, e da anni lotta al fianco del marito.
La storia di Mahler somiglia a quella di tanti che nel corso dei decenni hanno subito condanne per il loro pensiero politico e più segnatamente per il fatto di aver espresso la loro opinione su determinati fatti storici, elevati al rango di veri e propri dogmi dei quali oggi è vietato discutere in base a leggi liberticide recentemente approvate da molti Stati d’Europa e del mondo.
Il modello giudeo-democratico uscito vincitore dalla Seconda Guerra Mondiale mostra il suo pugno forte contro persone anziane, inoffensive, ree soltanto di esprimere un punto di vista diverso su fatti che non hanno alcuna ripercussione sul presente.
Allo stesso tempo permette giornalmente il verificarsi delle peggiori angherie e le lascia impunite, in preda ad un buonismo ipocrita che si manifesta solo in determinate circostanze.
D’altronde fin dal Processo di Norimberga, tenutosi nella famosa città tedesca all’indomani della fine del conflitto, si è rivelata la volontà del sistema di annientare in maniera netta e definitiva ogni briciola di Nazionalsocialismo che potesse in qualche modo, anche il più piccolo, disturbare quelli che sarebbero stati i manovratori del progetto mondialista.
La sommarietà e la facilità con cui vennero emesse allora sentenze di morte o di carcere a vita somiglia a quella con cui oggi vengono espressi giudizi su intellettuali, storici, e in generale chiunque osi porsi delle domande scomode.
Questo accanimento che nei decenni non ha perso la propria violenza è dettato essenzialmente dalla paura che alcune tra quelle che il potere vuole imporci come certezze perdano, attraverso una messa in discussione fondata, la propria stabilità.
Come abbiamo visto tutte le nazioni, tutti i governi, ad eccezione di pochissimi che si trovano comunque fuori dal continente europeo, cooperano in questa opera finalizzata in ultima analisi a silenziare il dissenso.
Vana è stata l’illusione di Mahler di trovare in un esecutivo come quello ungherese un’espressione di effettiva sovranità.
Il sistema democratico, che nel millenovecentoquarantacinque ha imposto le proprie regole all’Europa, non consente che si esca fuori dal seminato, ed è quindi ovvio che ogni governo, dallo Stato più piccolo a quello più grande come estensione territoriale, le segua in tutto e per tutto.
Certo, ci possono essere discussioni artefatte e fittizie su temi quali ad esempio l’immigrazione, volte a spostare da una parte all’altra della partitocrazia il consenso elettorale, ma non si va oltre ciò, e nessuna classe politica ha interesse a tagliare le vere radici da cui nascono i mali della nostra società.
D’altronde non potrebbe essere altrimenti, perché è grazie al mantenimento di questo stato di cose che ai governanti viene concesso di mantenere la posizione privilegiata che occupano.
Orban, così come la Le Pen fino ad arrivare al neo italico Salvini, urlano, sbraitano, cavalcano il confusionario dissenso popolare scatenato dalla crisi economica mondiale della quale essi stessi con le loro scelte nelle sedi istituzionali nazionali e continentali sono stati artefici, ma tuttavia non mettono in discussione in alcun modo le dinamiche perverse del sistema capitalista, dimostrando di essere, alla prova dei fatti, assimilabili nella sostanza ai partiti progressisti che tanto avversano nei comizi.
Oltre a non rappresentare alcuna discontinuità per quel che riguarda il presente e il futuro, costoro non si sognano minimamente di mettere in discussione il passato: parliamo infatti di feroci antifascisti, che devono parte della loro carriera politica al fatto di aver saputo esprimere bene e a chiare lettere questo tipo di sentimento.
In ogni ricorrenza storica non perdono occasione per uniformarsi al pensiero comune, ripetendo stancamente i messaggi che da decenni ormai siamo abituati in certe date ad ascoltare.
Non ci stupisce quindi che i partiti dell’estrema destra approvino in Europa le leggi di stampo revisionista che vengono commissionate dal giudaismo internazionale ai parlamenti nazionali, e non ci meraviglia che quando Orban si sia trovato davanti ad un caso come quello di Mahler abbia rifiutato di porsi contro la logica che da sempre lo ha accompagnato.
Sbaglia chi si aspetta qualcosa di diverso da ciò, chi crede, specialmente tra i giovani, di trovare in questi leader, espressioni del capitalismo borghese e reazionario, una risposta politica alla loro domanda di fascismo.
Non basta riempirsi la bocca di parole come Patria e Nazione, occorre dimostrare con i fatti di conoscere il significato delle parole che si utilizzano e il primo passo sarebbe rispettare quei movimenti che in passato hanno saputo valorizzare al meglio quei concetti.
Di certo a farlo non sarà chi si avvale dello strumento del voto per entrare in istituzioni che altro non sono che espressioni di un sistema mondialista.
Occorre notare infatti che spesso e volentieri le nazioni dove agiscono questi patrioti sono quelle, specialmente nell’est Europa, dove vigono le norme più restrittive in materia di revisionismo, senza che nessuno tra loro dica nulla.
Dal canto nostro restiamo al fianco di tutti coloro che vengono perseguitati dalla legge per motivi politici e ideologici, come Mahler e tanti altri ingiustamente privati della libertà e costretti a vivere reclusi in casa o in carcere, consapevoli che la loro è la nostra battaglia.