giovedì 28 giugno 2001

La disintegrazione del Sistema

da "Avanguardia" n°185 - Giugno 2001

F. G. Freda
Edizioni di Ar, Padova 2000, pp. 192, lire 25.000

A distanza di trentadue anni dalla sua pubblicazione, è ancora attuale la valenza rivoluzionaria in chiave antisistemica de "La disintegrazione del sistema". Lo affermiamo, pur dovendo nutrire delle forti perplessità sui moventi della sua stesura, compiuta in un contesto socio politico influenzato dalle perverse logiche della strategia della tensione. Lo scritto di Freda apparve (è stato un caso?) negli anni in cui i servizi di sicurezza atlantici, dopo la riunione del “club di Berna”, organizzazione che raggruppava i servizi segreti occidentali - la presidenza onoraria fu affidata al defunto e non compianto Umberto Federico D’Amato, responsabile dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale ed intimo di James Jesus Angleton, numero uno dell’OSS -, pianificarono in funzione antisovietica la strategia di infiltrazione a sinistra creando dei gruppi «revisionisti» filocinesi definiti «nazi-maoisti», alimentando e creando ex-novo una sinistra extraparlamentare con l’obiettivo di indebolire il PCI. Tra gli «amici» di Freda, si prestarono a questo «gioco» Claudio Mutti e Claudio Orsi, in quel di Parma. Non ci spieghiamo nemmeno i perché della costituzione da parte di Freda di un movimento xenofobo quale il Fronte Nazionale, la cui prassi politica si delineava in netto contrasto con i postulati dottrinari esposti ne "La disintegrazione del sistema".

Ma, al di là di questo, noi riteniamo che il significato essenziale sovra-individuale di ogni opera travalichi il valore esistenziale individuale dell’autore. La disintegrazione, infatti, è la coerente proiezione politica rivoluzionaria «dedotta» dai princìpi tradizionali e dai «canoni» di comportamento individuale «pre-destinati» all’uomo differenziato ed esposti da Julius Evola in "Cavalcare la tigre". Lo scritto di Freda è l’agile e incisivo breviario di lotta rivoluzionaria per ogni soldato politico che intenda affrontare attivamente il nichilismo contemporaneo con l’intenzione di portarsi oltre il punto zero dei valori, oltrepassando il «valico» epocale che prelude alla futura restaurazione tradizionale. Freda traduce -per la prima volta- la radicale «alterità» delle categorie metafisiche del mondo della Tradizione, nel quadro di una prassi politica di lotta al Sistema per l’annientamento del Sistema. Egli proporrà una prospettiva politica volta a realizzare la totale mobilitazione del fronte antisistema entro unitarie linee di condotta operativa. Questo tentativo, benché formulato nel 1969, durante gli anni della «contestazione» giovanile, non risulta datato, anzi custodisce inalterato il suo oggettivo valore di lucida ed elastica proposta rivoluzionaria.

Secondo l’Autore, la razza interiore giudeo-borghese rappresenta la sintesi antropologica individuale «elaborata» alla dinamica interazione etico-sociale intervenuta fra la forma mentis giudaica e le illimitate potenzialità espansive dell’unità sociale borghese. Gli effetti «epidemici» dell’infezione mercantile, «scanditi» secondo i moduli dell’omologazione onnicomprensiva, hanno infatti inesorabilmente contaminato le masse dell’Occidente sionista, le quali hanno costituito, a loro volta, la base di «decantazione» da cui è «fermentato» il processo di «distillazione» sociale dell’oligarchia plutocratica, strutturalmente organizzata nei presidî istituzionali del partito unico della borghesia. Al di là delle istituzioni sistemiche (e non statuali ...), la forza aggregante dell’oligarchia plutocratica risiede nella incontrollata efficacia di condizionamento massificante che procede dalla mentalità mercantile e dai suoi modelli di comportamento, i quali, avendo ormai trasceso l’originario ambito razziale e sociale (ebraismo e borghesia) di provenienza, sono «straripati» sulla quasi totalità della società civile. La borghesia è prima di tutto una mentalità -e su questo siamo d’accordo; ma non è solo «questo», poiché essa si esprime simultaneamente anche nella detenzione del potere e del privilegio da parte di stratificate «concrezioni» sociali agevolmente individuali: «... noi oggi -scrive l’autore [1]- viviamo nel mondo degli altri, circondati dagli altri, da questi degni rappresentanti dell’epoca borghese, sotto il dominio della più squallida e avvilente delle dittature: quella borghese, quella dei mercanti. Tutto quel che ci circonda è borghese: società, politica, economia, cultura, famiglia, comportamenti sociali, manifestazioni religiose. Nelle democrazie occidentali lo spettacolo che ci si para dinanzi è vincolato da una rivoltante coerenza ai canoni più ortodossi della concezione di vita borghese. In queste democrazie, l’organizzazione del potere serve a mantenere immutato, attraverso i più vari strumenti oppressivi e repressivi, il rapporto egemonico di una classe -quella dei borghesi, e, particolarmente, di una parte di essa, quella costituitasi in oligarchia plutocratica- sul popolo».

Assistiamo ad una salutare cesura con l’immaginario socio-politico del cosiddetto interclassismo neofascista (antidemocrazia e anticapitalismo sì, ma la proprietà privata ... l’imprenditore «laborioso» ... il commerciante onesto ... e via rincretinendo ...), desunto da fasi politiche -per altro provvisorie e transeunti- «interne» alle esperienze storiche del Fascismo e del Nazionalsocialismo [2]. Freda pronuncia una radicale negazione politica della dittatura borghese, individuando nel Sistema -ovvero nell’insieme di interrelazioni politiche e socioeconomiche finalizzate al conseguimento di scopi di conservazione e di accrescimento del meccanismo produzione/consumo- il luogo egemonico sul quale l’oligarchia giudeo-plutocratica e mondialista «fissa» la sua prassi di sfruttamento dei popoli.

Con riferimento alla concezione mitico-politica dell’Europa dell’Ordine Nuovo, Freda rileva la «sovrapposizione» -effettuata dall’estrema destra- della valenza archetipa dell’idea europea alle «effettuale» situazione politica dell’euro-occidente sionista. Si verificherà così un classico esempio di eterofilia dei fini: infatti l’intenzione rivoluzionaria (al di là delle ipotesi di scoperta malafede ...), aderendo ad una realtà politicamente aliena, si «commuterà» in una attiva azione di sostegno reazionario in favore di istituzioni, ambienti e scelte politiche asserviti agli interessi plutocratici dell’Occidente giudeo-mondialista. «Vi è in ciò -scrive Eric Houllefort [3]- un ammonimento di fondamentale importanza per un ambiente che, vedendo l’Europa sul banco degli imputati, si crede obbligato, per una sorta di riflesso imbecille, ad esaltare sistematicamente tutto quel che è nato in Europa o, peggio ancora, tutto quanto ha la pelle bianca». E, ancora: «Noi abbiamo propugnato l’egemonia europea -scrive Freda [4]-, rivolgendoci ad una Europa che era stata ormai americanizzata o sovietizzata, senza considerare che questa Europa era diventata serva degli USA e dell’URSS. [...] Sono affiorate tali e tante componenti spurie, da respingere, da sotterrare; sono intervenuti tanti -oso dire: troppi- fattori che hanno adulterato e corrotto questo liquido europeo sino a renderlo liquame, perché esso possa ancora subire positivamente un processo di decantazione». Il crollo verticale dei regimi burocratico-marxisti dell’Est, nonché la «diluizione» dell’espressione geografica europea all’interno della koinè mondialista giudeo-americana, rafforza l’incisiva trasparenza dell’analisi di Freda, rendendo oggi ancor più impraticabile qualsivoglia proposta politica che, sia pure articolata sulla «centralità» dei valori tradizionali europei, non «attraversi», preliminarmente, la totale distruzione del sistema occidentale euro-americano e sionista.

L’autore tratteggia quindi la categoria intemporale dell’Idea di Stato, concepita quale spazio politico di manifestazione inerente a valori etico-spirituali assoluti che trascendono il singolo, e nei quali questi -«bruciando» ogni residuo interiore individualistico e aderendo ad un’etica di vita sovraindividuale - deve integrarsi per «scolpire» la propria forma etica e per «riconoscere» la propria essenza spirituale. «In altre parole -scrive Freda [5]-, noi vogliamo riconoscere l’essenza dello Stato, superando le mediazioni costituite dal fenomeno storico dell’esistenza degli stati ...». Si tratta di una fondamentale distinzione tra il referente dell’azione politica rivoluzionaria, identificato nell’Idea archetipa dello Stato tradizionale e la struttura amministrativa del Sistema borghese, adibita a coefficiente funzionale del progetto strategico finalizzato alla conservazione degli equilibri oligarchici nei quali «consiste» la dittatura egemonica del partito unico della borghesia. Poichè l’estrema destra italiana ha spesso «confuso» i due concetti, noi affermiamo che il soldato politico portatore dell’Idea di Stato non ha alcun obbligo di fedeltà, né di lealtà, né tantomeno, di collaborazione nei confronti dei servi prezzolati dell’Alta Finanza giudaico-mondialista, i quali bivaccano nelle istituzioni del governatorato coloniale italiota convenzionalmente denominato repubblica italiana.

«Lo Stato -scrive Freda [6]- nelle democrazie rappresentative ‘borghesi’, è il luogo politico solo del borghese: la sua unica reale destinazione e funzione è determinata dall’economia borghese, consiste nella difesa dell’economia borghese, nella sublimazione dell’economia borghese.»

Secondo Freda, nella fase organizzativa, cioè nella fase inerente alla regolamentazione dei rapporti tra i membri della comunità popolare, lo Stato si configura come Stato popolare, forma di comunismo aristocratico di tipo spartano presupponente l’abolizione della proprietà privata in ogni forma di manifestazione. All’interno di questa struttura economica comunistica, la totalità popolare, plasmata dallo «stilema» educativo della disciplina rivoluzionaria e «illuminata» da una visione del mondo eroico-aristocratica, proietterà -al di fuori di ogni orientamento economicistico- i migliori esponenti di essa ai vertici dell’ordine piramidale ierocratico, formando così un’aristocrazia politica capace di farsi portatrice e simbolo vivente dei valori inerenti alla sfera dello Stato. Fin dalla nascita (sette anni sono già troppo ...), il membro della comunità sarà affidato alle organizzazioni popolari dello Stato, nelle quali riceverà un'educazione politica ispirata a princìpi trascendenti, oggettivi e solidaristici, simmetricamente opposti ai criteri comportamentali immanenti, soggettivi ed egoistici, «suggeriti» dalla putrescente famiglia matriarcale borghese a fini di corruzione individualistica dell’infante: questi diventerà, «fatalmente», un adulto imbecille ... nel senso etimologico ...

Di fronte alle meccaniche sequenze della «scomposizione» sociale individualistica della società borghese, si palesa l’improponibilità relativa al mantenimento di un regime giuridico fondato sulla titolarità privata dei beni, delle attività di servizio e dei mezzi di produzione, sia pure nell’ambito di un ordinamento economico tradizionale. Solo l’avvenuto compimento dell’opera di «ri-generazione» razziale dei migliori uomini europei, sottratti al putrido flutto delle masse subumane occidentali, potrebbe legittimare l’attribuzione della titolarità privata dei beni economici, evitando la produzione di fenomeni frazionistico-oligarchici, i quali frenerebbero il processo rivoluzionario orientato verso la realizzazione storica dell’Idea di Stato. L’organizzazione comunistica dello Stato popolare non sarà destinata soltanto all’adempimento di scopi esclusivamente economici, ma sarà prevalentemente subordinata al conseguimento di obiettivi politici, rappresentati dalla radicale soppressione dei supporti strutturali che, oggettivamente, propiziano la tendenziale involuzione mercantile delle attività economiche individuali e di gruppo. Sul piano specificamente economico-sociale, l’ordinamento comunistico «coinciderà» con il punto zero successivo all’epilogo ciclico del nichilismo. Si «aprirà» uno spazio libero dai condizionamenti economicistici dell’era borghese, consentendo la riedificazione dell’Ordine tradizionale:

«... nessuna vera tensione - afferma Freda [7]- a tradurre nella realtà i princìpi del vero Stato potrà mai sorgere [...], sino a che permangano forti gli elementi anche residuali e intatta la sostanza costitutiva (ovvero il substrato economico della società borghese). Deve essere isterilito l’«ambiente» da cui il borghese trae vita: ecco il motivo di un ordinamento economico comunistico!»

Banche e industrie private, contratti e usura, libera iniziativa imprenditoriale e proprietà privata, compongono l’habitat istituzionale preposto alla «contagiosa» propagazione della forma mentis borghese/capitalistica. L’annientamento delle articolazioni giuridico-economiche del neocapitalismo, concretizzerà il «disarmo» materiale del giudeo-borghese, privandolo dell’«intreccio» strutturale idoneo a sollecitarne le scomposte «es-agitazioni» mercantili: è, insomma, la «sterilizzazione» dell’ambiente di cui parla Freda. Ad essa, evidentemente, si accompagnerà un’opera di ri-fondazione razziale culminante nell’«approdo» antropologico definito dalla figura archetipica dell’uomo nuovo arioeuropeo.

Freda delinea quindi i profili di una realistica metodologia operativa mirante -previa mobilitazione di ogni potenziale forza antisistema- alla radicale eversione del Sistema plutocratico: «... dobbiamo affermare -scrive Freda [8]- che la condizione -non sufficiente ma, comunque, necessaria- per porre gli elementi di fondazione del vero Stato, è la eversione di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico. Occorre, infatti, propiziare e accelerare i tempi di questa distruzione, esasperare l’opera di rottura del presente equilibrio e dell’attuale fase di assestamento politico. Vigilare affinchè gli eventuali veicoli, le potenziali forze che debbono determinare il collasso dei centri nervosi del sistema borghese, non vengano assorbite e integrate in una delle tante possibilità di cristallizzazione che il mondo borghese offre».

Ogni forza di opposizione interna al Sistema, propone correttivi alle linee di politica istituzionale, sociale o economica elaborate dall’oligarchia, al fine di innescare controtendenze politiche che si oppongano alla operatività dei processi disgregativi alimentati dai meccanismi del Sistema.

Ogni movimento rivoluzionario, al contrario, favorisce o, quanto meno, non inibisce la patologica dilatazione dei fermenti dissolutivi, riservandosi invece di intervenire sul piano della mobilitazione politica riguardante gli effetti sociali prodotti dalle perverse dinamiche del Sistema. Il movimento, dunque, raccoglierà le scorie sociali respinte ai margini della società borghese, per organizzare la rappresaglia vendicativa contro i presidî oligarchici del partito unico della borghesia. Negli strati sociali subalterni si radicherà il contropotere antagonistico di massa che modificherà in favore del movimento rivoluzionario i complessivi rapporti di forza oggi favorevoli al Sistema. Essi «confliggeranno» anche contro la borghesia di massa urbana, per seminare lo scompiglio tra le vischiose fila di un oggetto sociale che -non si dimentichi- rappresenta il primario «collante» sociologico del Sistema plutocratico. Freda dimostra di privilegiare questa seconda opzione: «... il male rappresentato dalla società borghese è inguaribile: [...] nessuna terapia è possibile, [...] nemmeno un’operazione chirurgica riesce ormai efficace; [...] occorre accelerare l’emorragia e sotterrare il cadavere ...». [9]

I diseredati, «confinati» nelle periferie metropolitane della società dei mercanti, rappresentano la negazione dell’oligarchia plutocratica e della borghesia di massa urbana, dunque: la negazione della negazione (la Via della Mano sinistra che Freda ha «traslato» dalla teoria di Cavalcare la tigre alla prassi de La disintegrazione del Sistema), veleno distillato dai fatiscenti alambicchi del Sistema e suscettibile di trasformarsi in «farmaco» antisistema. Si tratta di un potenziale di lotta popolare di massa, laddove con il termine popolare definiamo un insieme sociale che, mediante la disciplina politica, nel corso della lotta al Sistema si «tramuti» in comunità organica di popolo, mentre con il termine massa ci riferiamo al rovinoso «impatto» quantitativo che l’avanguardia rivoluzionaria di un movimento nazionalpopolare dovrà guidare contro le istituzioni culturali, politiche e socioeconomiche del Sistema per frantumarne i presidî oligarchici e scardinarne le fondamenta strutturali fino al crollo verticale, definitivo e irreversibile ...

Sul piano macro-politico, occorre procedere alla «saldatura» politica fra i desperados delle periferie urbane dell’Occidente e i diseredati della periferia planetaria, i quali, vittime designate della strategia di sfruttamento neocolonialistico della giudeo-plutocrazia mondialista, alimentano i massicci flussi sociali che concorrono alla formazione del fenomeno immigratorio extraeuropeo. [10] È necessario ricomporre nell’unico fronte antisistema le spinte eversive generate dai vettori sociali antagonistici costituiti dai marginali delle periferie metropolitane dell’Occidente e dai marginali delle periferie continentali del pianeta: entrambe queste componenti rappresentano «potenziali forze» destabilizzanti, ossia la «risultante» che affiora alla superficie delle devastazioni sociali prodotte dai virulenti riflessi operativi ispirati dalla logica politica plutocratica e neocolonialista, mondialista e sionista.

Bisogna dunque procedere alla «revisione» valutativa del giudizio politico maturato nei confronti del fenomeno immigratorio extraeuropeo, nel cui ambito distingueremo fra gli «sradicati» che agognano all’integrazione con l’Occidente e i gruppi islamici «radicati» nelle rispettive identità razziali, religiose e culturali. Quanto ai primi, essi rappresentano comunque una forza d’urto quantitativa naturalmente destinata a scuotere la «statica» oligarchica del Sistema borghese; costoro, inoltre, non sarebbero pregiudizialmente refrattari -proprio a causa della condizione di sradicamento in cui versano- ad una mirata azione di coinvolgimento politico conflittuale nel «segno» dell’antisistema. Quanto ai secondi, essi rappresentano una qualificata forza di opposizione dal punto di vista tradizionale; occorre quindi stabilire organici raccordi politici con gli immigrati autenticamente musulmani - combattenti del Jihâd algerini, tunisini, senegalesi ...-, a noi accomunati dalla omologa razza dello spirito che funge da discriminante spirituale, etica e politica al di sopra e contro il rimasuglio biologico europoide, la cui integrazione razziale (quale?) non costituisce più oggetto degno di alcuna azione politica di difesa condotta in nome della defunta razza arioeuropea.

Lo «scontro» metafisico fra Islâm e Occidente -«drammatizzato» dalla superba ed eroica resistenza del popolo Palestinese all’invasore sionista, «scolpito» nella storica cacciata dei sionisti dal Sud del Libano ad opera degli Hezbollah filoiraniani- ha introdotto la categoria schmittiana dell’opposizione Amico/Nemico, imponendo, obbligatoriamente, una radicale scelta di campo: o si sta con l’Islâm o con l’Occidente. Tertium non datur ... I migliori uomini della razza arioeuropea hanno quindi il dovere di conferire una minimale, unitaria ed autonoma connotazione organizzativa all’identità politica dell’area nazionalrivoluzionaria, al fine di consentire una concreta confluenza operativa nell’unico plausibile fronte antimondialista: l’Islâm tradizionale e rivoluzionario.

Sul piano micro-politico, invece, una «potenziale forza» suscitata dal sistema e suscettibile di essere «rovesciata» contro le sue strutture, è quella dei ribelli della domenica (e gli altri giorni?), ossia dei sostenitori oltranzisti delle squadre di calcio. Il Sistema, infatti, ha adibito gli stadi di calcio a riserve, cioè a «contenitori» dell’alienazione giovanile metropolitana, la quale, benchè in essi «imprigionata», è spesso costretta a subìre, in sovrappiù, la violenza legalista degli apparati repressivi del Sistema. É una gioventù aggressiva e violenta, simboleggiata dalle periodiche e frequenti immagini televisive del tifoso che, insofferente nei confronti delle vili percosse subite, si è «fermato», manifestando legittime intenzioni reattive che hanno messo in fuga l’individuo in divisa che lo seguiva...

Lo stadio di calcio è uno spazio politico eversivo, un «catalizzatore» di sintesi intorno al quale convergono -ancora episodicamente- tensioni sociali che, ove integrate nel quadro di un progetto politico rivoluzionario, assumerebbero la forma di un contropotere conflittuale di massa antisistema. Gli skinheads potrebbero quindi rappresentare (senza escludere nemmeno i cosiddetti «casinisti da stadio» ... anzi ...) l’anello di congiunzione e il vettore militante di penetrazione propagandistica all’interno delle associazioni e dei gruppi di tifosi oltranzisti, al fine di «convertire» la rabbia delle gradinate in coscienza politica antisistema, operando un permanente collegamento politico con i quartieri periferici metropolitani che costituiscono le aree urbane di provenienza dei cosiddetti «ultras».

Queste considerazioni provocheranno certamente obiezioni e critiche ma, tant’è, malgrado la presenza di ipertrofici «cerebri» traboccanti sapienza politica e accortezza tattica, siamo arrivati agli «spiccioli» ... Quanto a noi, ci limitiamo ad affermare che la validità del tipo umano incarnato dal soldato politico della Tradizione, deve conformarsi all’archetipo tradizionale -mentre il progetto politico (sarebbe ora di «scorgerne» qualcuno ...) deve individuare, mobilitare e orientare, ottemperando a criteri di valutazione che corrispondano ad un funzionale parametro di efficacia, le potenzialità antisistema presenti in concreti «veicoli» sociali ravvisabili anche nel multicolore fronte dei ribelli della domenica ...

In conclusione, noi riconduciamo la causa efficiente della crisi che ha ormai «minato», forse irreversibilmente, le scomposte e disorientate fazioni dell’estrema destra italiana, proprio all’incomprensione politica che ha circondato testi come La disintegrazione e Cavalcare la tigre. Lo scritto di Freda, infatti, non ha sollecitato la necessaria attenzione critica da parte dei suoi «naturali» destinatari: per l’inattualità del testo o per l’inettitudine antropologica dei lettori?

Note:

1] F. G. Freda, "La disintegrazione del Sistema", Ed. di Ar, Padova 1980;

2] vedi Maurizio Lattanzio, "Nazionalsocialismo ed economia", in René Dubail "L’ordinamento economico Nazionalsocialista", Ed. di Ar, Parma 1991;

3] Eric Houllefort, pref. a “La disintegrazione del Sistema”;

4] F. G. Freda, op. cit.;

5] ibidem;

6] ibidem;

7] ibidem;

8] ibidem;

9] ibidem;

10] In occasione del Forum di Davos (30 gennaio - 7 febbario 1991), convegno tenutosi in Svizzera e organizzato da ambienti vicini alla Commissione Trilaterale - Lester Turow, decano del MIT, ha caldeggiato l’adozione di una linea politica restrittiva nei confronti del fenomeno immigratorio ... ("Lectures Françaises", aprile 1991);

giovedì 19 aprile 2001

Berlino 1945: nel nome della razza

Dal n° 183 - Aprile 2001 della rivista “Avanguardia”
«Sparagli Piero / sparagli ora / e dopo un colpo / sparagli ancora / fino a che tu non lo vedrai esangue / cadere in terra / coprire il suo sangue» Fabrizio De Andrè
Maurizio Lattanzio aveva coscientemente eluso l'evocazione razziale e la rappresentazione politico-scrittoria della battaglia di Berlino (“Per chi?" è una gradevole canzone dei Gens...), poiché ciò avrebbe configurato, nello sgangherato ambiente antropologico del neofascismo di servizio, il velleitario tentativo di allenare per il gran premio di galoppo «j'asene de Bazzoffie, che teneve novantanove piaghe i' la coda fraciche» (l'asino di Bazzoffie personaggio vissuto in quel di Popoli, provincia di Pescara-, il quale aveva novantanove piaghe e la coda fradicia). Oggi lo abbiamo fatto perché siamo certi dell’inesistenza di plausibili destinatari... dunque, non si verificheranno incomprensioni... perché, con i contemporanei, non ci intenderemmo nemmeno se esprimessimo giudizi estetici riferiti alla signora Alba Parietti... infatti, essi noterebbero sicuramente soltanto i qualitativi difetti (mah!) della medesima... mentre noi a contrariis, affermiamo che, in una femmina o, nel caso di specie, in un’immagine femminile, ognuno vede ciò che ha dentro, in quanto la femmina è l'informe bestialità ricettiva che assume la forma del mondo interiore promanante dallo sguardo dell'uomo che sa imprigionarne la demoniaca animalità... se è un uomo e se ha voglia di ammirarla... saremmo d'accordo, invece, circa la spiccata conformità della dr.ssa Maria Latella nei confronti dell'archetipo femminile, soprattutto con riferimento alla marmorea sensualità irradiata dalla tondeggiante levigatezza carnale che accarezza la tornita perfezione volumetrica del suo collo...
Maurizio Lattanzio ha esploso un colpo di pistola contro la nuca pelata e lardosa del neofascismo atlantico di servizio, determinando la fine di una parodia politica funzionalmente complementare al Sistema giudaico-mondialista. Ciò è avvenuto allo scopo di propiziare le condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per l'affermazione dell'essenza rivoluzionaria del nazionalsocialismo tedesco, la quale, nel terzo millennio, si incarnerà nella forma razziale del soldato politico nichilista (ci vengono in mente i khmer rossi di Pol Pot... per intenderci...), conforme e coerente precipitato antropologico della verticale manifestazione guerriera che culminerà vittoriosamente nella leggendaria apoteosi combattente della battaglia di Berlino. In questo secondo dopoguerra, il neofascismo di servizio ha costantemente sottolineato la valenza ultimativa della più gran battaglia totale della storia, erigendola ad alibistica nobilitazione di un habitat antropologico malsanamente predisposto alla masochistica coltivazione e al patologico compiacimento della sconfitta, intesa quale premessa di deresponsabilizzazione politica e quale evento preclusivo per l’elaborazione di ogni successiva prassi politico-progettuale anti sistemica.
Per la malafede di costoro, avendo la battaglia di Berlino sancito la fine definitiva del Nazionalsocialismo e, più ampiamente, del Fascismo europeo -ogni realistica prospettazione di una dinamica politico-rivoluzionaria di lotta al Sistema per l'annientamento del Sistema, sarebbe caratterizzata da velleitarismo, perché, tanto, la partita decisiva era stata giocata nel 1945. Essi, tutt'al più, hanno intravisto l'effetto militare di quella battaglia e di quel conflitto, mentre, evidentemente, è sfuggito alla loro asfittica capacità di comprensione e alla loro complessiva sub-dotazione razziale, manovrata dagli apparati di servizio statunitensi, il valore simbolico, spirituale e politico-razziale del totalkampf di Berlino, oggi trasposto nella battaglia politica condotta dalla Comunità Politica di Avanguardia, consapevolmente schierata al fianco dell'Islam tradizionale e rivoluzionario esemplarmente incarnato dalla Repubblica Islamica dell'Iran.
3La battaglia di Berlino costituisce l'epifania storica di un significato metastorico, ovvero della lotta cosmica -il Kòsmos, inteso quale ordine divino che si imprime sul disordine demoniaco assimilabile alla nozione di Kaos- fra il principio olimpico-solare della Tradizione; incarnato dal Terzo Reich nazionalsocialista, e le forze tellurico-lunari della Sovversione, incarnate dalle bande mercenarie sioniste asservite al bolscevismo ebraico e alle giudeo-democrazie occidentali: «Da una parte -scrive Julius Evola- stava il principio olimpico della luce, la realtà uranica e solare; dall'altra, la violenza bruta, l'elemento titanico-tellurico, barbarico in senso classico, femminile-demonico. II tema di questa lotta metafisica ritorna in mille modi di apparizione in tutte le tradizioni di origine aria. Ogni lotta in senso materiale veniva sempre vissuta con la maggiore o minore consapevolezza che essa altro non era che un episodio di quell’antitesi...»; infatti «... l'arianità considerava se stessa quale milizia del principio olimpico (...). Nell'immagine del mondo tradizionale ogni realtà diveniva simbolo. Ciò vale per la guerra anche dal punto di vista soggettivo e interiore. Così potevano essere fuse in una sola e medesima entità guerra e via del divino. (...) il Walhalla è la sede dell'immortalità celeste, riservata principalmente agli eroi caduti sul campo di battaglia. II signore di questi luoghi, Odhino-Wothan, viene presentato nella Ynghingasaga come colui che con il suo simbolico sacrificio all'Albero cosmico Ygdrasil ha indicato la via ai guerrieri, via che conduce alla sede divina, ove fiorisce la vita immortale. (...) nessun sacrificio o culto è gradito al dio supremo, nessuno ottiene più ricchi frutti ultraterreni di quel sacrificio che si offre mentre si muore combattendo sul campo di battaglia. (...) attraverso i guerrieri che, cadendo, offrono un sacrificio a Odhino, si ingrossa la schiera di coloro di cui questo dio ha bisogno per l'ultima battaglia contro il ragna-rókkr, cioè contro il fatale “oscuramento del divino”, che, da tempi lontani, incombe minaccioso sul mondo». (1)
La battaglia di Berlino, dunque, anche sul piano simbolico-tradizionale, lungi dal configurarsi quale ultima battaglia, è la prefigurazione storico-simbolica della battaglia decisiva che, nel corso del terzo millennio (entro il primo quinquennio? O anche più tardi, considerando che l'ebreo Edward Luttwak, autorevole portavoce mondialista, in un'intervista rilasciata a "II Messaggero" del 25 marzo 1997, al giornalista Luigi Vaccari che gli chiedeva: «Che parte assegna, in questo scenario, al fondamentalismo islamico?», così rispondeva: «Comparato a questi grandi cambiamenti, è un problema da quattro soldi: veramente insignificante. La maggior parte dei Paesi mussulmani lo sta combattendo vigorosamente. Gli stessi fondamentalisti sono così deboli che neanche in Israele, dove vivono accanto al nemico, riescono a fare niente: uccidono tre persone lì, quattro persone là. Sono una banda di incapaci. La crisi di fine Secolo è il ritorno della povertà che si esprime con i bassi salari e con la disoccupazione non più temporanea ma cronica». Insomma, come dire: «non è cosa ...», ovvero, la volpe che parla dell'uva... lasciamo perdere l'Islam tradizionale e rivoluzionario sia perché le sanzioni economiche, decretate unilateralmente dagli USA contro la Repubblica Islamica dell'Iran, sono ricadute (nel 1996) fragorosamente sulla testa vuota di Clinton, sia perché c'è il rischio di farsi male ... sia perché la strategia e la prassi mondialiste suscitano squilibri socio-economici che, per gli oligarchi ebrei, risultano assai più pericolosi che non le avanguardie combattenti mussulmane... a tale proposito leggete il libro di Lester C. Thurow, "II futuro del capitalismo", Mondadori, ‘97... e anche perché, una squadra dedita alle autoreti, così procedendo, trasmette una grande fiducia nella compagine avversaria... quindi, caro Luttwak, gli incapaci siete voi. Del resto, per voi, l'onda di riflusso iniziata nel gennaio 1991, continua... avreste dovuto giocare allora, e quando cazzo la chiudete più? Più incapaci di così... perché il mondo si divide in due categorie: quelli che non chiudono le partite e quelli che rimontano: voi non sapete chiudere le partite ...), sarà combattuta, con esito vittorioso, dai militanti totali dell'Ordine della Tradizione contro il disordine sovversivo rappresentato dal Sistema giudaico-mondialista, riflettendo, sul piano delle forme storiche, il simbolo metastorico della lotta spirituale fra la Tradizione e la Sovversione.
Sul piano spirituale, l'etica guerriera che alimenterà la superiore capacità di combattimento dei soldati politici SS, nonché dei soldati della Wermacht, costituisce la manifestazione storica dei valori interni ad ogni forma tradizionale, la quale abbia conosciuto esperienze spirituali di iniziazione guerriera: «... tale azione spirituale -scrive Julius Evola- consisteva nel trasformare l'io individuale dalla normale coscienza umana, che è circoscritta e individuata, in una forza profonda, superindividuale (...) che è al di là di nascita e morte.» Ciò determina «... una crisi distruttiva; così come un fulmine, in séguito a una tensione troppo alta di potenziale nel circuito umano. (...) in tal caso, si produrrebbe una specie di esperienza attiva della morte (...). Nella tradizione nordica, il guerriero vede la propria walkiria per l'appunto nell'istante della morte o del pericolo mortale. (...) All'apice del pericolo del combattimento eroico si riconobbe la possibilità di tale esperienza supernormale. (...) Le Furie e la Morte, che il guerriero ha materialmente affrontate sul campo di battaglia, lo contrastano anche interiormente sul piano spirituale, sotto forma di un minaccioso erompere delle forze primordiali del suo essere. Nella misura in cui egli trionfi su di esse, la vittoria è sua». (2)
Queste valenze formatrici simbolico-guerriere hanno sicuramente plasmato la forma antropologica e ispirato le condotte esemplari di coloro che, consapevolmente, hanno vissuto la battaglia di Berlino quale atto assoluto che, irrompendo sul piano della contingenza storica, invera, al di là di ogni utilitaristica quantificazione delle occasioni, la dimensione divina del valore archetipico-guerriero. Esso devasterà l'orizzonte storico della vacillante umanità adusa a misurare la convenienza politica correlata con l'esito militare di una vicenda bellica ormai estranea a qualsivoglia valutazione di opportunità, sia pure meramente tattica. Nel 1945, a Berlino, non si pensa più in termini umani: l'aristocrazia politica nazionalsocialista sarà l'esemplificazione razziale di uno stile comportamentale sottratto al dominio contingente delle esagitazioni attivistiche in cui gli umani (?) consumano le loro insignificanti esistenze. II Führer, infatti, conosce lo spessore cosmico sotteso allo scontro militare che lo oppone alle forze alleate, braccio armato del capitalismo ebraico internazionale. La guerra, dunque, si sarebbe sicuramente conclusa con la vittoria totale o con l'annientamento totale: «Già nel 1923 -scrive Serge Hutin-, dieci anni prima della sua ascesa al potere, Hitler diceva, nel suo caratteristico stile profetico: "Ciò che oggi si prepara sarà molto più grande della Grande Guerra. Lo scontro avverrà sul suolo tedesco in nome del mondo intero! Non vi sono che due possibilità: o noi saremo gli agnelli sacrificali o noi saremo i vincitori"». (1) Parimenti, Berger e Pauwels scrivono: «(...) Fu una guerra manichea o, come dice la Scrittura, "una lotta di dei". Non si tratta, beninteso, di una lotta tra Fascismo e democrazia (...). Questo è l'aspetto esteriore della lotta. C'è un esoterismo. Questa lotta di dei che si è svolta dietro gli avvenimenti appariscenti non è terminata sul pianeta ...». (4) È il 6 febbraio 1945, quando il Führer, nel suo Quartier Generale, pronuncia le seguenti parole: «Da una lotta disperata si irradia sempre un eterno valore esemplare». (5)
Sul piano politico-razziale, noi affermiamo che, nell'apocalisse di Berlino, la forma politica nazionalsocialista scolpirà la connotazione razziale di una figura nuova, il soldato politico nichilista, il quale proietterà la sua disincarnata immagine oltre l'epilogo del secondo millennio. I soldati politici SS non combatteranno per una ratio strategico-militare ormai inesistente; non combatteranno per Dio, latitante tra le macerie di Berlino; non combatteranno per la Patria (con la «P» maiuscola...), ormai integralmente occupata dalle bande mercenarie sioniste sovietico-statunitensi; non combatteranno per le femmine e per i bambini, ormai preda di guerra per i calmucchi ubriachi; non combatteranno per sopravvivere: altrimenti si sarebbero arresi ... i soldati politici SS combatteranno nel nome della razza, ovvero nel nome della fedeltà alla propria razza, nella quale vive la superiore essenza del sangue arioeuropeo, fatalmente abbacinato da un destino di morte. Sono le visionarie prefigurazioni nichilistiche del superuomo di Friedrich Nietzsche e, successivamente, dell'autarca delineato da Julius Evola nella glaciale scultura scrittoria di "Cavalcare la tigre". Tra le rovine di Berlino, sorge l’uomo nuovo che affermerà i valori spirituali, aristocratici, gerarchici e guerrieri del Terzo Reich nazionalsocialista nell'epoca della contemporaneità nichilistica. È l'«atto del transito», che, muovendo dalla figura del soldato politico SS, approderà alla Iniziazione del Nulla, stabilendo un continuum antropologico con la futura forma razziale dell'aristocrazia politica composta dai soldati politici nichilisti del terzo millennio. Essi saranno gli iniziati del Nulla, ai quali, interiormente, non appartiene nessuna delle «buone e venerate cose» che corredano la porcilaia borghese, anche perché, simmetricamente, a nulla essi appartengono. Il rogo di Berlino è la metafora storica del nichilistico rogo esistenziale della propria vita, condotta gradualmente a combustione dentro se stessi, mediante la gelida recisione delle aderenze naturalistiche che subordinano i comportamenti del singolo alla sfera vegetativa individuale, condizionata dalla bestiale dittatura della pulsione sentimentale e dell'istinto di conservazione. Per i combattenti di Berlino non esiste la paura, poiché chi non è schiavo della paura ha superato la vita; dunque, egli è il dominatore della morte. Chi non appartiene a nulla è capace di tutto (anche di venire a prelevarvi in braccio alle troie delle vostre mogli, a casa vostra...). Egli, dunque, risulta razzialmente idoneo a fini di arruolamento nell'aristocrazia politica rivoluzionaria che guiderà la guerra totale di annientamento contro il Sistema giudaico-mondialista. Solo allora il teschio argenteo impresso sulle mostrine dell'uniforme indossata dai soldati politici SS non sarà impotente vagheggiamento nostalgico né inerte compiacimento letterario. Questo sigillo simbolico identificherà dunque l'aristocrazia rivoluzionaria dei soldati politici nichilisti trasmutati dalla Iniziazione del Nulla, ovvero dalla «prova del Fuoco», così dis-velata da Julius Evola: «Saper gittare via tutto (...) - questa (...) è la prima condizione per una tale via. È l'esperienza precedente la Grande Solitudine, il deserto senza luce in mezzo a cui l'io deve consistere, mediante una forza che egli deve 'assolutamente creare dal nulla. Di là da ciò la prova del Fuoco. (...) ... generare in sé la potenza di darsi una vita superiore mediante l'incendio e la catastrofe di tutta la propria stessa vita; confermare la propria autonomia consistendo quando ogni terreno sfugge da sotto i piedi, quando non si tocca più il fondo e tutto ciò su cui prima riposava la persuasione perde ogni fermezza e si dissolve in un caos incoercibile questo è il nuovo compito. Esso investirà (...) ogni categoria della persona; può trasmutare dunque dall'ironia per ogni espressione estetica e dalla dissoluzione di ogni religiosità, sino ad una pazzia cosciente e ragionata; da un'implacabile e onnipervadente scetticismo corrodente ogni certezza filosofica e scientifica, sino alla violazione deliberata di ogni legge morale e sociale; dalla riaffermazione di là da ogni valore riconosciuto e da ogni autorità, fino alla negazione di ogni fede, ideale o entusiasmo e al disprezzo di ogni sentimento di umanità, di amore o rispetto. Infine, dalla severità di una disciplina di ascesi e di mortificazione avente in se stessa, nel suo momento semplicemente negativo, il proprio fine e la propria gioia, sino a uno scatenato orgiasmo che, nello spingerle all'estrema intensità, arda in se stessa ogni passione. Di là da tutto: saper portare all'apice tutto ciò da cui il terrore originario è esasperato, tutto ciò che il nostro essere naturale e istintivo disperatamente non vuole, saper rompere il limite e scavare sempre più profondamente, dovunque, il senso dell'abisso vertiginoso, e consistere nel trapasso, sussistere là dove gli altri sarebbero travolti. Nulla deve più esistere, a questo punto, che possa venire rispettato, nulla che si senta di non essere capaci di fare. (...) una dipendenza non è migliore di un'altra e lo scopo non è di cambiare padroni (legge del bene, dello spirito, della libertà, ecc.), sibbene di riaffermare l'io sopra ad ogni correlazione, qualunque essa sia - di farne qualcosa di agile, di duro, di freddo, di inafferrabile, di pronto, qualcosa che è libero in questo suo vivere pericolosamente come potenza negatrice di ogni determinazione e di ogni appoggio». (6)
Per gli uomini di questa razza, il termine «resa» sarà un incomprensibile suono composto da quattro fonemi... per costoro, nell'ambito di uno specifico quadro di riferimento militare, il combattimento sarà concepito esclusivamente quale prassi tattico-strategica offensiva, sempre e comunque diretta all'annientamento del nemico, pronta a fare peggio contro chiunque voglia farti male... essi saranno sempre decisi ad elevare il coefficiente di intensità del conflitto contro chi, in una notte -per altro, afosa... - di mezza estate, ha sognato di fare loro paura... buh! ... sempre consapevoli del fatto che si risponde con moltiplicata efficacia di contrasto ad ogni attacco nemico... sempre capaci di lasciare segni indelebili sul viso e sulla vita di coloro che, non importa se con esito vincente o perdente, li hanno aggrediti... sempre determinati all'offensiva, anche sulle strade di Berlino, anche a poche centinaia di metri dal Führer bunker... Noi abbiamo così evocato, dalle scaturigini del Nulla, la razza dei combattenti capace di rendere probabile l'impossibile...
La battaglia del saliente di Kursk e la controffensiva delle Ardenne, preceduta dall'invasione alleata della Normandia, costituiscono gli eventi bellici che consentiranno alle bande mercenarie dell'ebraismo internazionale plutocratico-bolscevico di inquadrare strategicamente l'obiettivo militare rappresentato dalla capitale del Terzo Reich.
Nell'estate del 1943, il Führer decide la ripresa dell'iniziativa strategica sul fronte orientale, avviando una terza offensiva. Ciò anche in relazione al fatto che l'industria bellica nazionalsocialista si appresta a conseguire i massimi livelli produttivi. È l'operazione "Cittadella". Si tratta di accerchiare e di annientare un milione di soldati sovietici, il 40% delle forze di cui dispone l'Armata Rossa, serrandoli con una manovra a tenaglia nel saliente di Kursk. Le divisioni corazzate della Wermacht si aprirebbero così di nuovo la strada verso Mosca, capitale del bolscevismo ebraico: «La vittoria di Kursk -il Führer ne è sicuro- sarà un faro che illuminerà il mondo». Ma l'azione spionistica della "Orchestra Rossa" consentirà ai sovietici di conoscere in anticipo i piani. nazionalsocialisti e di apprestare un solido sbarramento difensivo, grazie anche e soprattutto agli aiuti militari giudaico-statunitensi. Basti solo pensare, ad esempio, ai
500.000 autocarri veloci che permetteranno ai sovietici di spostare, rapidamente e tempestivamente, soldati e mezzi lungo tutto l'arco del vastissimo fronte.
Alla fine della più grande battaglia di carri della storia, i combattenti nazionalsocialisti avranno perso mezzo milione di uomini, le migliori forze corazzate, nonché, per sempre, l'iniziativa strategica sul fronte orientale.
«Quando sbarcheranno -sono parole di Erwin Rommel- li dobbiamo ributtare in mare il giorno stesso. Quello, per la Germania, sarà il giorno più lungo». E il giorno più lungo, sul fronte occidentale, verrà il 6 giugno 1944, quando i mercenari anglo statunitensi, braccio armato del capitalismo ebraico internazionale, inizieranno il processo imperialistico di occupazione dell'Eurasia, sbarcando in Normandia: «... 6480 navi da trasporto, con circa 4000 mezzi da sbarco, scortate da 6 navi da battaglia, 23 incrociatori, 122 cacciatorpediniere, 360 torpediniere e alcune centinaia di navi attrezzi» (7), vomiteranno contro le difese del Vallo Atlantico una marea di soldati e di armi. Nel cielo, 13.000 aerei, ai quale la Luftwaffe potrà opporne solo 319, sganceranno sugli eroici soldati del Terzo Reich 12.000 tonnellate di bombe. Da questo momento, grazie a un’immane supremazia materiale, le bande sioniste avranno aperto una ferita mortale nel fianco occidentale dell'Eurasia. Esse punteranno verso Berlino, fronteggiate, per altro, dal supremo orgoglio, dalla superiore volontà e dalla incomparabile capaci di combattimento dei soldati del Terzo Reich, simboleggiata dalla leggendaria controffensiva delle Ardenne del dicembre 1944: la "battaglia dei giganti", come sarà definita dagli stessi statunitensi: «Obiettivo Anversa, il grande porto belga -scrive Romualdi- senza il quale gli americani non potrebbero alimentare l'offensiva contro la Germania. È la estrema, geniale mossa di Hitler, che tenta di ripetere la manovra del 1940, la frattura del fronte nemico e l'insaccamento di una parte di esso». (8)
Tra i boschi delle Ardenne, i generali delle Waffen-SS Sepp Dietrich e Jochen Peiper, i generali della Wermacht Hasso Von Manteuffel e Walter Model, saranno i protagonisti della magistrale controffensiva delle armate nazionalsocialiste. II 6° Panzerkorps di Dietrich sfonderà a Malmedy per puntare su Anversa; Von Manteuffel e Model punteranno su Bruxelles attraverso Bastogne e la Mosa; a sud, Peiper, al comando di un'altra leggenda (una delle tante...), ovvero la 1ª divisione corazzata "Leibstandarte SS Adolf Hitler", proteggerà il fianco meridionale: 28 divisioni, 200.000 uomini e 1000 carri si avventano contro le difese alleate. Gli anglo-statunitensi, inizialmente travolti, vacillano. Sembra l'ennesimo miracolo bellico propiziato dall’insuperata genialità strategica del Führer. Ma, alla distanza, la mancanza di carburante, l'impossibilità di disporre dell'ausilio della Luftwaffe, favoriranno le armate asservite all'ebraismo internazionale.
Anche sul fronte occidentale, l'iniziativa strategica si è definitivamente esaurita.
Nel gennaio 1945, già prima della caduta di Budapest e di Varsavia, i rapporti di forza sono irreversibilmente saltati: lungo la linea compresa tra la Prussia orientale e i Carpazi, l'Armata Rossa schiera complessivamente 3.900.000 soldati contro 1.000.000; 50.000 cannoni contro 12.000; 9.800 carri contro 1836; 14.800 aerei contro 1570. II 12 gennaio 1945, guidata dal maresciallo Koniev, inizia l'offensiva sovietica in direzione di Berlino: «In tal modo -scrive Joachim C. Fest-, l'intero schieramento tra il Mar Baltico e i Carpazi si mise in movimento, e si trattava, da parte sovietica, di una enorme macchina bellica, la cui superiorità era di undici a uno rispetto ai tedeschi per quanto riguardava la fanteria, di sette a uno per quanto atteneva alle forze corazzate, e di ben venti a uno quanto ad artiglieria». (9)
II 16 gennaio 1945, il Führer, lasciata la Wolfschanze di Rastenburg, nella Prussia orientale, rientrerà a Berlino per aspettare il nemico di razza e per fare della battaglia di Berlino la sua battaglia, ovvero l'apocalittica arsione della Civiltà arioeuropea: «Hitler aveva deciso di rimanere a Berlino per ua'ino la `rerà a Berlino per `assumere personalmente la difesa della città (...). I presenti cercarono di persuaderlo a lasciare la capitale perché era ormai impossibile controllarne la situazione; ma Hitler rispose (...) che sarebbe rimasto e per sottolineare là sua decisione annunciò che avrebbe comunicato la sua presenza nella capitale». (10) Sono parole del Führer: «Se giunge la fine, allora voglio che mi trovi qui, nella Cancelleria del Reich. Per me non esistono compromessi. Né tanto meno cadrò nelle mani del nemico. lo rimango a Berlino». (11) Le macerie della capitale del Reich saranno tappezzate -accanto alle preesistenti scritte: «WIR KAPITULIEREN NIE» (Noi non capitoleremo mai)- da manifesti recanti il seguente proclama: «II Führer è a Berlino. II Führer resterà a Berlino. II Führer difenderà Berlino fino all'ultimo respiro». A tale volontà porgerà eco il dr. Goebbels: «Parlando di questi giorni, la storia non potrà mai dire che il popolo abbia abbandonato il suo capo o il capo abbia abbandonato il suo popolo. E questa è la vittoria!» (12)
Intanto, 6200 carri sovietici T 34, sostenuti da migliaia di aerei, dilagano nelle pianure polacche. II ReichsFührer SS Heinrich Himmler, nominato comandante del Gruppo Armate Vistola, tenta l'impossibile sul fronte di Pomerania. Soldati politici SS e militi della Wermacht, volontari europei inquadrati nelle Waffen-SS, si dissanguano per arginare le orde slavo-mongole del bolscevismo ebraico. A marzo, però, l'impossibile diventa probabile: il fronte sarà fissato sull'Oder: Berlino è ormai città di prima linea e Joseph Goebbels, Gauleiter della capitale e Reichskommissar per la guerra totale, ne organizza la difesa. Proclamata la mobilitazione totale, tutti gli uomini validi dai 15 ai 60 anni, armati di Panzerfaust, vengono inquadrati nel Volksturm e nella Hitlerjugend; essi saranno l'esercito de popolo che contribuirà all'estrema difesa della capitale del Terzo Reich e dell'Eurasia.
II 16 aprile 1945, alle ore 4 del mattino, 22.000 cannoni, 13 armate, alla quale si oppone l'unica armata del Generale Heinrici, scatenano l'attacco finale a Berlino. Si combatterà casa per casa, nelle strade, nelle piazze, guidati dall'indomabile volontà del Führer, primo soldato politico dell'Ordine Nuovo, il quale sarà presente al suo posto di comando nel "Führerbunker" della Cancelleria del Reich, per combattere, fino al tragico esito finale, la sua battaglia, la battaglia .di Berlino. Quindi, si dissolverà nel sudario di sangue e di fuoco nel quale saranno composte le spoglie mortali della capitale del Terzo Reich.
Mentre sulla Alexanderplatz il Kampfkommandant Barefànqer risponde a chi gli obietta la scarsità di munizioni: «Allora combatteremo all'arma bianca. Noi difendiamo un'idea»; mentre sulla Friedrichstrasse, sulla Potsdamerplatz e sulla Wilhelmstrasse, le Waffen-SS e la Hitlerjugend di Axmann, attingendo a vertici di sovrumano eroismo, riescono ancora a contenere l'assalto finale del branco slavo-mongolo; mentre il 29 aprile 1945, i soldati politici della "SS Charlemagne" e della "SS Nordland" sferreranno una leggendaria controffensiva sulla Belle Alliance Platz, distruggendo sette carri sovietici; e, ancora, mentre il 30 aprile 1945, i difensori della Cancelleria del Terzo Reich -superstiti della "SS Charlemagne" e della "SS Nordland", del "15° Fucilieri SS Lettoni", e soldati della Wermacht- saranno annientati affrontando i sovietici all'arma bianca sulle scalinate e fin dentro i sotterranei del Reichstag, un annuncio radiofonico essenziale, scarno, spartano nella sua maestosa laconicità, testimonierà l'esemplare epilogo di una vita virilmente composta nella forma eroica della milizia totale: «II Quartier Generale comunica che, oggi pomeriggio, il nostro FüHrer Adolf Hitler è caduto per la Germania, al suo posto di comando nella Cancelleria del Reich, combattendo il bolscevismo fino all'ultimo respiro. II 30 aprile il Führer ha nominato suo successore il Grande Ammiraglio Doenitz».
«Altissime, poi vibranti e spezzate, poi ancora alte, cupe e solennemente funebri, erano risuonate le note della marcia funebre di Sigfrido dal "Crepuscolo degli Dèi"». (13)
Nel nome della razza.
Maurizio Lattanzio
NOTE:
1) Julius Evola, "La dottrina aria di lotta e vittoria", Ed. di Ar, s.d.;
2) Julius Evola, op. cit.;
3) Serge Hutin, "Governi occulti e società segrete", Ed. Mediterranee, Roma ‘73;
4) Berger e Pauwels, "II mattino dei maghi", Mondadori, Milano ‘63;
5) Adolf Hitler, "Ultimi discorsi", Edizioni di Ar, Padova ‘88;
6) Julius Evola, "Fenomenologia dell'Individuo Assoluto", Ed. Mediterranee, Roma ‘76;
7) A. Romualdi, "Le ultime ore dell'Europa", Ciarrapico Editore, Roma ‘76;
8) A. Romualdi, op. cit.;
9) Joachim C. Fest, "Hitler", Rizzoli Editore, Milano ‘74;
10) M. L. Gennaro, "La battaglia di Berlino", De Vecchi Editore, Milano ‘74;
11) R. D. Múller - G. R. Ueberschar, "La fine del Terzo Reich", Il Mulino, Bologna ‘95;
12) P. J. Goebbels, discorso del 20 aprile ‘45;
13) A. Romualdi, (pref. a) Adolf Hitler, "La battaglia di Berlino", Ed. di Ar, Padova ‘77

mercoledì 4 aprile 2001

Berlino 1945: nel nome della razza

«Sparagli Piero / sparagli ora / e dopo un colpo / sparagli ancora / fino a che tu non lo vedrai esangue / cadere in terra / coprire il suo sangue» Fabrizio De André

Maurizio Lattanzio aveva coscientemente eluso l'evocazione razziale e la rappresentazione politico-scrittoria della battaglia di Berlino (“Per chi?" è una gradevole canzone dei Gens...), poiché ciò avrebbe configurato, nello sgangherato ambiente antropologico del neofascismo di servizio, il velleitario tentativo di allenare per il gran premio di galoppo «j'asene de Bazzoffie, che teneve novantanove piaghe i' la coda fraciche» (l'asino di Bazzoffie -personaggio vissuto in quel di Popoli, provincia di Pescara-, il quale aveva novantanove piaghe e la coda fradicia). Oggi lo abbiamo fatto perché siamo certi dell’inesistenza di plausibili destinatari... dunque, non si verificheranno incomprensioni... perché, con i contemporanei, non ci intenderemmo nemmeno se esprimessimo giudizi estetici riferiti alla signora Alba Parietti... infatti, essi noterebbero sicuramente soltanto i qualitativi difetti (mah!) della medesima... mentre noi a contrariis, affermiamo che, in una femmina o, nel caso di specie, in un’immagine femminile, ognuno vede ciò che ha dentro, in quanto la femmina è l'informe bestialità ricettiva che assume la forma del mondo interiore promanante dallo sguardo dell'uomo che sa imprigionarne la demoniaca animalità... se è un uomo e se ha voglia di ammirarla... saremmo d'accordo, invece, circa la spiccata conformità della dr.ssa Maria Latella nei confronti dell'archetipo femminile, soprattutto con riferimento alla marmorea sensualità irradiata dalla tondeggiante levigatezza carnale che accarezza la tornita perfezione volumetrica del suo collo...
Maurizio Lattanzio ha esploso un colpo di pistola contro la nuca pelata e lardosa del neofascismo atlantico di servizio, determinando la fine di una parodia politica funzionalmente complementare al Sistema giudaico-mondialista. Ciò è avvenuto allo scopo di propiziare le condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per l'affermazione dell'essenza rivoluzionaria del nazionalsocialismo tedesco, la quale, nel terzo millennio, si incarnerà nella forma razziale del soldato politico nichilista (ci vengono in mente i khmer rossi di Pol Pot... per intenderci...), conforme e coerente precipitato antropologico della verticale manifestazione guerriera che culminerà vittoriosamente nella leggendaria apoteosi combattente della battaglia di Berlino. In questo secondo dopoguerra, il neofascismo di servizio ha costantemente sottolineato la valenza ultimativa della più gran battaglia totale della storia, erigendola ad alibistica nobilitazione di un habitat antropologico malsanamente predisposto alla masochistica coltivazione e al patologico compiacimento della sconfitta, intesa quale premessa di deresponsabilizzazione politica e quale evento preclusivo per l’elaborazione di ogni successiva prassi politico-progettuale anti sistemica.
Per la malafede di costoro, avendo la battaglia di Berlino sancito la fine definitiva del Nazionalsocialismo e, più ampiamente, del Fascismo europeo -ogni realistica prospettazione di una dinamica politico-rivoluzionaria di lotta al Sistema per l'annientamento del Sistema, sarebbe caratterizzata da velleitarismo, perché, tanto, la partita decisiva era stata giocata nel 1945. Essi, tutt'al più, hanno intravisto l'effetto militare di quella battaglia e di quel conflitto, mentre, evidentemente, è sfuggito alla loro asfittica capacità di comprensione e alla loro complessiva sub-dotazione razziale, manovrata dagli apparati di servizio statunitensi, il valore simbolico, spirituale e politico-razziale del totalkampf di Berlino, oggi trasposto nella battaglia politica condotta dalla Comunità Politica di Avanguardia, consapevolmente schierata al fianco dell'Islam tradizionale e rivoluzionario esemplarmente incarnato dalla Repubblica Islamica dell'Iran.
La battaglia di Berlino costituisce l'epifania storica di un significato metastorico, ovvero della lotta cosmica -il Kòsmos, inteso quale ordine divino che si imprime sul disordine demoniaco assimilabile alla nozione di Kàos- fra il principio olimpico-solare della Tradizione; incarnato dal Terzo Reich nazionalsocialista, e le forze tellurico-lunari della Sovversione, incarnate dalle bande mercenarie sioniste asservite al bolscevismo ebraico e alle giudeo-democrazie occidentali: «Da una parte -scrive Julius Evola- stava il principio olimpico della luce, la realtà uranica e solare; dall'altra, la violenza bruta, l'elemento titanico-tellurico, barbarico in senso classico, femminile-demonico. II tema di questa lotta metafisica ritorna in mille modi di apparizione in tutte le tradizioni di origine aria. Ogni lotta in senso materiale veniva sempre vissuta con la maggiore o minore consapevolezza che essa altro non era che un episodio di quell’antitesi...»; infatti «... l'arianità considerava se stessa quale milizia del principio olimpico (...). Nell'immagine del mondo tradizionale ogni realtà diveniva simbolo. Ciò vale per la guerra anche dal punto di vista soggettivo e interiore. Così potevano essere fuse in una sola e medesima entità guerra e via del divino. (...) il Walhalla è la sede dell'immortalità celeste, riservata principalmente agli eroi caduti sul campo di battaglia. II signore di questi luoghi, Odhino-Wothan, viene presentato nella Ynghingasaga come colui che con il suo simbolico sacrificio all'Albero cosmico Ygdrasil ha indicato la via ai guerrieri, via che conduce alla sede divina, ove fiorisce la vita immortale. (...) nessun sacrificio o culto è gradito al dio supremo, nessuno ottiene più ricchi frutti ultraterreni di quel sacrificio che si offre mentre si muore combattendo sul campo di battaglia. (...) attraverso i guerrieri che, cadendo, offrono un sacrificio a Odhino, si ingrossa la schiera di coloro di cui questo dio ha bisogno per l'ultima battaglia contro il ragna-rókkr, cioè contro il fatale “oscuramento del divino”, che, da tempi lontani, incombe minaccioso sul mondo». (1)
La battaglia di Berlino, dunque, anche sul piano simbolico-tradizionale, lungi dal configurarsi quale ultima battaglia, è la prefigurazione storico-simbolica della battaglia decisiva che, nel corso del terzo millennio (entro il primo quinquennio? O anche più tardi, considerando che l'ebreo Edward Luttwak, autorevole portavoce mondialista, in un'intervista rilasciata a "II Messaggero" del 25 marzo 1997, al giornalista Luigi Vaccari che gli chiedeva: «Che parte assegna, in questo scenario, al fondamentalismo islamico?», così rispondeva: «Comparato a questi grandi cambiamenti, è un problema da quattro soldi: veramente insignificante. La maggior parte dei Paesi mussulmani lo sta combattendo vigorosamente. Gli stessi fondamentalisti sono così deboli che neanche in Israele, dove vivono accanto al nemico, riescono a fare niente: uccidono tre persone lì, quattro persone là. Sono una banda di incapaci. La crisi di fine Secolo è il ritorno della povertà che si esprime con i bassi salari e con la disoccupazione non più temporanea ma cronica». Insomma, come dire: «non è cosa ...», ovvero, la volpe che parla dell'uva... lasciamo perdere l'Islam tradizionale e rivoluzionario sia perché le sanzioni economiche, decretate unilateralmente dagli USA contro la Repubblica Islamica dell'Iran, sono ricadute (nel 1996) fragorosamente sulla testa vuota di Clinton, sia perché c'è il rischio di farsi male ... sia perché la strategia e la prassi mondialiste suscitano squilibri socio-economici che, per gli oligarchi ebrei, risultano assai più pericolosi che non le avanguardie combattenti mussulmane... a tale proposito leggete il libro di Lester C. Thurow, "II futuro del capitalismo", Mondadori, ‘97... e anche perché, una squadra dedita alle autoreti, così procedendo, trasmette una grande fiducia nella compagine avversaria... quindi, caro Luttwak, gli incapaci siete voi. Del resto, per voi, l'onda di riflusso iniziata nel gennaio 1991, continua... avreste dovuto giocare allora, e quando cazzo la chiudete più? Più incapaci di così... perché il mondo si divide in due categorie: quelli che non chiudono le partite e quelli che rimontano: voi non sapete chiudere le partite ...), sarà combattuta, con esito vittorioso, dai militanti totali dell'Ordine della Tradizione contro il disordine sovversivo rappresentato dal Sistema giudaico-mondialista, riflettendo, sul piano delle forme storiche, il simbolo metastorico della lotta spirituale fra la Tradizione e la Sovversione.
Sul piano spirituale, l'etica guerriera che alimenterà la superiore capacità di combattimento dei soldati politici SS, nonché dei soldati della Wermacht, costituisce la manifestazione storica dei valori interni ad ogni forma tradizionale, la quale abbia conosciuto esperienze spirituali di iniziazione guerriera: «... tale azione spirituale -scrive Julius Evola- consisteva nel trasformare l'io individuale dalla normale coscienza umana, che è circoscritta e individuata, in una forza profonda, superindividuale (...) che è al di là di nascita e morte.» Ciò determina «... una crisi distruttiva; così come un fulmine, in séguito a una tensione troppo alta di potenziale nel circuito umano. (...) in tal caso, si produrrebbe una specie di esperienza attiva della morte (...). Nella tradizione nordica, il guerriero vede la propria walkiria per l'appunto nell'istante della morte o del pericolo mortale. (...) All'apice del pericolo del combattimento eroico si riconobbe la possibilità di tale esperienza supernormale. (...) Le Furie e la Morte, che il guerriero ha materialmente affrontate sul campo di battaglia, lo contrastano anche interiormente sul piano spirituale, sotto forma di un minaccioso erompere delle forze primordiali del suo essere. Nella misura in cui egli trionfi su di esse, la vittoria è sua». (2)
Queste valenze formatrici simbolico-guerriere hanno sicuramente plasmato la forma antropologica e ispirato le condotte esemplari di coloro che, consapevolmente, hanno vissuto la battaglia di Berlino quale atto assoluto che, irrompendo sul piano della contingenza storica, invera, al di là di ogni utilitaristica quantificazione delle occasioni, la dimensione divina del valore archetipico-guerriero. Esso devasterà l'orizzonte storico della vacillante umanità adusa a misurare la convenienza politica correlata con l'esito militare di una vicenda bellica ormai estranea a qualsivoglia valutazione di opportunità, sia pure meramente tattica. Nel 1945, a Berlino, non si pensa più in termini umani: l'aristocrazia politica nazionalsocialista sarà l'esemplificazione razziale di uno stile comportamentale sottratto al dominio contingente delle esagitazioni attivistiche in cui gli umani (?) consumano le loro insignificanti esistenze. II Führer, infatti, conosce lo spessore cosmico sotteso allo scontro militare che lo oppone alle forze alleate, braccio armato del capitalismo ebraico internazionale. La guerra, dunque, si sarebbe sicuramente conclusa con la vittoria totale o con l'annientamento totale: «Già nel 1923 -scrive Serge Hutin-, dieci anni prima della sua ascesa al potere, Hitler diceva, nel suo caratteristico stile profetico: "Ciò che oggi si prepara sarà molto più grande della Grande Guerra. Lo scontro avverrà sul suolo tedesco in nome del mondo intero! Non vi sono che due possibilità: o noi saremo gli agnelli sacrificali o noi saremo i vincitori"». (1) Parimenti, Berger e Pauwels scrivono: «(...) Fu una guerra manichea o, come dice la Scrittura, "una lotta di dei". Non si tratta, beninteso, di una lotta tra Fascismo e democrazia (...). Questo è l'aspetto esteriore della lotta. C'è un esoterismo. Questa lotta di dei che si è svolta dietro gli avvenimenti appariscenti non è terminata sul pianeta ...». (4) È il 6 febbraio 1945, quando il Führer, nel suo Quartier Generale, pronuncia le seguenti parole: «Da una lotta disperata si irradia sempre un eterno valore esemplare». (5)

Sul piano politico-razziale, noi affermiamo che, nell'apocalisse di Berlino, la forma politica nazionalsocialista scolpirà la connotazione razziale di una figura nuova, il soldato politico nichilista, il quale proietterà la sua disincarnata immagine oltre l'epilogo del secondo millennio. I soldati politici SS non combatteranno per una ratio strategico-militare ormai inesistente; non combatteranno per Dio, latitante tra le macerie di Berlino; non combatteranno per la Patria (con la «P» maiuscola...), ormai integralmente occupata dalle bande mercenarie sioniste sovietico-statunitensi; non combatteranno per le femmine e per i bambini, ormai preda di guerra per i calmucchi ubriachi; non combatteranno per sopravvivere: altrimenti si sarebbero arresi ... i soldati politici SS combatteranno nel nome della razza, ovvero nel nome della fedeltà alla propria razza, nella quale vive la superiore essenza del sangue arioeuropeo, fatalmente abbacinato da un destino di morte. Sono le visionarie prefigurazioni nichilistiche del superuomo di Friedrich Nietzsche e, successivamente, dell'autarca delineato da Julius Evola nella glaciale scultura scrittoria di "Cavalcare la tigre". Tra le rovine di Berlino, sorge l’uomo nuovo che affermerà i valori spirituali, aristocratici, gerarchici e guerrieri del Terzo Reich nazionalsocialista nell'epoca della contemporaneità nichilistica. È l'«atto del transito», che, muovendo dalla figura del soldato politico SS, approderà alla Iniziazione del Nulla, stabilendo un continuum antropologico con la futura forma razziale dell'aristocrazia politica composta dai soldati politici nichilisti del terzo millennio. Essi saranno gli iniziati del Nulla, ai quali, interiormente, non appartiene nessuna delle «buone e venerate cose» che corredano la porcilaia borghese, anche perché, simmetricamente, a nulla essi appartengono. Il rogo di Berlino è la metafora storica del nichilistico rogo esistenziale della propria vita, condotta gradualmente a combustione dentro se stessi, mediante la gelida recisione delle aderenze naturalistiche che subordinano i comportamenti del singolo alla sfera vegetativa individuale, condizionata dalla bestiale dittatura della pulsione sentimentale e dell'istinto di conservazione. Per i combattenti di Berlino non esiste la paura, poiché chi non è schiavo della paura ha superato la vita; dunque, egli è il dominatore della morte. Chi non appartiene a nulla è capace di tutto (anche di venire a prelevarvi in braccio alle troie delle vostre mogli, a casa vostra...). Egli, dunque, risulta razzialmente idoneo a fini di arruolamento nell'aristocrazia politica rivoluzionaria che guiderà la guerra totale di annientamento contro il Sistema giudaico-mondialista. Solo allora il teschio argenteo impresso sulle mostrine dell'uniforme indossata dai soldati politici SS non sarà impotente vagheggiamento nostalgico né inerte compiacimento letterario. Questo sigillo simbolico identificherà dunque l'aristocrazia rivoluzionaria dei soldati politici nichilisti trasmutati dalla Iniziazione del Nulla, ovvero dalla «prova del Fuoco», così dis-velata da Julius Evola: «Saper gittare via tutto (...) - questa (...) è la prima condizione per una tale via. È l'esperienza precedente la Grande Solitudine, il deserto senza luce in mezzo a cui l'io deve consistere, mediante una forza che egli deve 'assolutamente creare dal nulla. Di là da ciò la prova del Fuoco. (...) ... generare in sè la potenza di darsi una vita superiore mediante l'incendio e la catastrofe di tutta la propria stessa vita; confermare la propria autonomia consistendoquando ogni terreno sfugge da sotto i piedi, quando non si tocca più il fondo e tutto ciò su cui prima riposava la persuasione perde ogni fermezza e si dissolve in un caos incoercibile questo è il nuovo compito. Esso investirà (...) ogni categoria della persona; può trasmutare dunque dall'ironia per ogni espressione estetica e dalla dissoluzione di ogni religiosità, sino ad una pazzia cosciente e ragionata; da un'implacabile e onnipervadente scetticismo corrodente ogni certezza filosofica e scientifica, sino alla violazione deliberata di ogni legge morale e sociale; dalla riaffermazione di là da ogni valore riconosciuto e da ogni autorità, fino alla negazione di ogni fede, ideale o entusiasmo e al disprezzo di ogni sentimento di umanità, di amore o rispetto. Infine, dalla severità di una disciplina di ascesi e di mortificazione avente in se stessa, nel suo momento semplicemente negativo, il proprio fine e la propria gioia, sino a uno scatenato orgiasmo che, nello spingerle all'estrema intensità, arda in se stessa ogni passione. Di là da tutto: saper portare all'apice tutto ciò da cui il terrore originario è esasperato, tutto ciò che il nostro essere naturale e istintivo disperatamente non vuole, saper rompere il limite e scavare sempre più profondamente, dovunque, il senso dell'abisso vertiginoso, e consistere nel trapasso, sussistere là dove gli altri sarebbero travolti. Nulla deve più esistere, a questo punto, che possa venire rispettato, nulla che si senta di non essere capaci di fare. (...) una dipendenza non è migliore di un'altra e lo scopo non è di cambiare padroni (legge del bene, dello spirito, della libertà, ecc.), sibbene di riaffermare l'io sopra ad ogni correlazione, qualunque essa sia - di farne qualcosa di agile, di duro, di freddo, di inafferrabile, di pronto, qualcosa che è libero in questo suo vivere pericolosamente come potenza negatrice di ogni determinazione e di ogni appoggio». (6)

Per gli uomini di questa razza, il termine «resa» sarà un incomprensibile suono composto da quattro fonemi... per costoro, nell'ambito di uno specifico quadro di riferimento militare, il combattimento sarà concepito esclusivamente quale prassi tattico-strategica offensiva, sempre e comunque diretta all'annientamento del nemico, pronta a fare peggio contro chiunque voglia farti male... essi saranno sempre decisi ad elevare il coefficiente di intensità del conflitto contro chi, in una notte -per altro, afosa... - di mezza estate, ha sognato di fare loro paura... buh! ... sempre consapevoli del fatto che si risponde con moltiplicata efficacia di contrasto ad ogni attacco nemico... sempre capaci di lasciare segni indelebili sul viso e sulla vita di coloro che, non importa se con esito vincente o perdente, li hanno aggrediti... sempre determinati all'offensiva, anche sulle strade di Berlino, anche a poche centinaia di metri dal Führerbunker... Noi abbiamo così evocato, dalle scaturigini del Nulla, la razza dei combattenti capace di rendere probabile l'impossibile...
La battaglia del saliente di Kursk e la controffensiva delle Ardenne, preceduta dall'invasione alleata della Normandia, costituiscono gli eventi bellici che consentiranno alle bande mercenarie dell'ebraismo internazionale plutocratico-bolscevico di inquadrare strategicamente l'obiettivo militare rappresentato dalla capitale del Terzo Reich.

Nell'estate del 1943, il Führer decide la ripresa dell'iniziativa strategica sul fronte orientale, avviando una terza offensiva. Ciò anche in relazione al fatto che l'industria bellica nazionalsocialista si appresta a conseguire i massimi livelli produttivi. È l'operazione "Cittadella". Si tratta di accerchiare e di annientare un milione di soldati sovietici, il 40% delle forze di cui dispone l'Armata Rossa, serrandoli con una manovra a tenaglia nel saliente di Kursk. Le divisioni corazzate della Wermacht si aprirebbero così di nuovo la strada verso Mosca, capitale del bolscevismo ebraico: «La vittoria di Kursk -il Führer ne è sicuro- sarà un faro che illuminerà il mondo». Ma l'azione spionistica della "Orchestra Rossa" consentirà ai sovietici di conoscere in anticipo i piani. nazionalsocialisti e di apprestare un solido sbarramento difensivo, grazie anche e soprattutto agli aiuti militari giudaico-statunitensi. Basti solo pensare, ad esempio, ai 500.000 autocarri veloci che permetteranno ai sovietici di spostare, rapidamente e tempestivamente, soldati e mezzi lungo tutto l'arco del vastissimo fronte.
Alla fine della più grande battaglia di carri della storia, i combattenti nazionalsocialisti avranno perso mezzo milione di uomini, le migliori forze corazzate, nonché, per sempre, l'iniziativa strategica sul fronte orientale.

«Quando sbarcheranno - sono parole di Erwin Rommel- li dobbiamo ributtare in mare il giorno stesso. Quello, per la Germania, sarà il giorno più lungo». E il giorno più lungo, sul fronte occidentale, verrà il 6 giugno 1944, quando i mercenari anglo statunitensi, braccio armato del capitalismo ebraico internazionale, inizieranno il processo imperialistico di occupazione dell'Eurasia, sbarcando in Normandia: «... 6480 navi da trasporto, con circa 4000 mezzi da sbarco, scortate da 6 navi da battaglia, 23 incrociatori, 122 cacciatorpediniere, 360 torpediniere e alcune centinaia di navi attrezzi» (7), vomiteranno contro le difese del Vallo Atlantico una marea di soldati e di armi. Nel cielo, 13.000 aerei, ai quale la Luftwaffe potrà opporne solo 319, sganceranno sugli eroici soldati del Terzo Reich 12.000 tonnellate di bombe. Da questo momento, grazie a un’immane supremazia materiale, le bande sioniste avranno aperto una ferita mortale nel fianco occidentale dell'Eurasia. Esse punteranno verso Berlino, fronteggiate, per altro, dal supremo orgoglio, dalla superiore volontà e dalla incomparabile capaci di combattimento dei soldati del Terzo Reich, simboleggiata dalla leggendaria controffensiva delle Ardenne del dicembre 1944: la "battaglia dei giganti", come sarà definita dagli stessi statunitensi: «Obiettivo Anversa, il grande porto belga -scrive Romualdi- senza il quale gli americani non potrebbero alimentare l'offensiva contro la Germania. È la estrema, geniale mossa di Hitler, che tenta di ripetere la manovra del 1940, la frattura del fronte nemico e l'insaccamento di una parte di esso». (8)

Tra i boschi delle Ardenne, i generali delle Waffen-SS Sepp Dietrich e Jochen Peiper, i generali della Wermacht Hasso Von Manteuffel e Walter Model, saranno i protagonisti della magistrale controffensiva delle armate nazionalsocialiste. II 6° Panzerkorps di Dietrich sfonderà a Malmedy per puntare su Anversa; Von Manteuffel e Model punteranno su Bruxelles attraverso Bastogne e la Mosa; a sud, Peiper, al comando di un'altra leggenda (una delle tante...), ovvero la 1ª divisione corazzata "Leibstandarte SS Adolf Hitler", proteggerà il fianco meridionale: 28 divisioni, 200.000 uomini e 1000 carri si avventano contro le difese alleate. Gli anglo-statunitensi, inizialmente travolti, vacillano. Sembra l'ennesimo miracolo bellico propiziato dall’insuperata genialità strategica del Führer. Ma, alla distanza, la mancanza di carburante, l'impossibilità di disporre dell'ausilio della Luftwaffe, favoriranno le armate asservite all'ebraismo internazionale.
Anche sul fronte occidentale, l'iniziativa strategica si è definitivamente esaurita.
Nel gennaio 1945, già prima della caduta di Budapest e di Varsavia, i rapporti di forza sono irreversibilmente saltati: lungo la linea compresa tra la Prussia orientale e i Carpazi, l'Armata Rossa schiera complessivamente 3.900.000 soldati contro 1.000.000; 50.000 cannoni contro 12.000; 9.800 carri contro 1836; 14.800 aerei contro 1570. II 12 gennaio 1945, guidata dal maresciallo Koniev, inizia l'offensiva sovietica in direzione di Berlino: «In tal modo -scrive Joachim C. Fest-, l'intero schieramento tra il Mar Baltico e i Carpazi si mise in movimento, e si trattava, da parte sovietica, di una enorme macchina bellica, la cui superiorità era di undici a uno rispetto ai tedeschi per quanto riguardava la fanteria, di sette a uno per quanto atteneva alle forze corazzate, e di ben venti a uno quanto ad artiglieria». (9)

II 16 gennaio 1945, il Führer, lasciata la Wolfschanze di Rastenburg, nella Prussia orientale, rientrerà a Berlino per aspettare il nemico di razza e per fare della battaglia di Berlino la sua battaglia, ovvero l'apocalittica arsione della Civiltà arioeuropea: «Hitler aveva deciso di rimanere a Berlino per ua'ino la `rerà a Berlino per `assumere personalmente la difesa della città (...). I presenti cercarono di persuaderlo a lasciare la capitale perchè era ormai impossibile controllarne la situazione; ma Hitler rispose (...) che sarebbe rimasto e per sottolineare là sua decisione annunciò che avrebbe comunicato la sua presenza nella capitale». (10) Sono parole del Führer: «Se giunge la fine, allora voglio che mi trovi qui, nella Cancelleria del Reich. Per me non esistono compromessi. Nè tanto meno cadrò nelle mani del nemico. lo rimango a Berlino». (11) Le macerie della capitale del Reich saranno tappezzate -accanto alle preesistenti scritte: «WIR KAPITULIEREN NIE» (Noi non capitoleremo mai)- da manifesti recanti il seguente proclama: «II Führer è a Berlino. II Führer resterà a Berlino. II Führer difenderà Berlino fino all'ultimo respiro». A tale volontà porgerà eco il dr. Goebbels: «Parlando di questi giorni, la storia non potrà mai dire che il popolo abbia abbandonato il suo capo o il capo abbia abbandonato il suo popolo. E questa è la vittoria!» (12)

Intanto, 6200 carri sovietici T 34, sostenuti da migliaia di aerei, dilagano nelle pianure polacche. II ReichsFührer SS Heinrich Himmler, nominato comandante del Gruppo Armate Vistola, tenta l'impossibile sul fronte di Pomerania. Soldati politici SS e militi della Wermacht, volontari europei inquadrati nelle Waffen-SS, si dissanguano per arginare le orde slavo-mongole del bolscevismo ebraico. A marzo, però, l'impossibile diventa probabile: il fronte sarà fissato sull'Oder: Berlino è ormai città di prima linea e Joseph Goebbels, Gauleiter della capitale e Reichskommissar per la guerra totale, ne organizza la difesa. Proclamata la mobilitazione totale, tutti gli uomini validi dai 15 ai 60 anni, armati di Panzerfaust, vengono inquadrati nel Volksturm e nella Hitlerjugend; essi saranno l'esercito de popolo che contribuirà all'estrema difesa della capitale del Terzo Reich e dell'Eurasia.

II 16 aprile 1945, alle ore 4 del mattino, 22.000 cannoni, 13 armate, alla quale si oppone l'unica armata del Generale Heinrici, scatenano l'attacco finale a Berlino. Si combatterà casa per casa, nelle strade, nelle piazze, guidati dall'indomabile volontà del Führer, primo soldato politico dell'Ordine Nuovo, il quale sarà presente al suo posto di comando nel "Führerbunker" della Cancelleria del Reich, per combattere, fino al tragico esito finale, la sua battaglia, la battaglia .di Berlino. Quindi, si dissolverà nel sudario di sangue e di fuoco nel quale saranno composte le spoglie mortali della capitale del Terzo Reich.

Mentre sulla Alexanderplatz il Kampfkommandant Barefànqer risponde a chi gli obietta la scarsità di munizioni: «Allora combatteremo all'arma bianca. Noi difendiamo un'idea»; mentre sulla Friedrichstrasse, sulla Potsdamerplatz e sulla Wilhelmstrasse, le Waffen-SS e la Hitlerjugend di Axmann, attingendo a vertici di sovrumano eroismo, riescono ancora a contenere l'assalto finale del branco slavo-mongolo; mentre il 29 aprile 1945, i soldati politici della "SS Charlemagne" e della "SS Nordland" sferreranno una leggendaria controffensiva sulla Belle Alliance Platz, distruggendo sette carri sovietici; e, ancora, mentre il 30 aprile 1945, i difensori della Cancelleria del Terzo Reich -superstiti della "SS Charlemagne" e della "SS Nordland", del "15° Fucilieri SS Lettoni", e soldati della Wermacht- saranno annientati affrontando i sovietici all'arma bianca sulle scalinate e fin dentro i sotterranei del Reichstag, un annuncio radiofonico essenziale, scarno, spartano nella sua maestosa laconicità, testimonierà l'esemplare epilogo di una vita virilmente composta nella forma eroica della milizia totale: «II Quartier Generale comunica che, oggi pomeriggio, il nostro FüHrer Adolf Hitler è caduto per la Germania, al suo posto di comando nella Can­celleria del Reich, combattendo il bolscevismo fino all'ultimo respiro. II 30 aprile il Führer ha nominato suo successore il Grande Ammiraglio Doenitz».

«Altissime, poi vibranti e spezzate, poi ancora alte, cupe e solennemente funebri, erano risuonate le note della marcia funebre di Sigfrido dal "Crepuscolo degli Dèi"». (13)
Nel nome della razza.

Maurizio Lattanzio


NOTE:
1) Julius Evola, "La dottrina aria di lotta e vittoria", Ed. di Ar, s.d.;
2) Julius Evola, op. cit.;
3) Serge Hutin, "Governi occulti e società segrete", Ed. Mediterranee, Roma ‘73;
4) Berger e Pauwels, "II mattino dei maghi", Mondadori, Milano ‘63;
5) Adolf Hitler, "Ultimi discorsi", Edizioni di Ar, Padova ‘88;
6) Julius Evola, "Fenomenologia dell'Individuo Assoluto", Ed. Mediterranee, Roma ‘76;
7) A. Romualdi, "Le ultime ore dell'Europa", Ciarrapico Editore, Roma ‘76;
8) A. Romualdi, op. cit.;
9) Joachim C. Fest, "Hitler", Rizzoli Editore, Milano ‘74;
10) M. L. Gennaro, "La battaglia di Berlino", De Vecchi Editore, Milano ‘74;
11) R. D. Múller - G. R. Ueberschar, "La fine del Terzo Reich", Il Mulino, Bologna ‘95;
12) P. J. Goebbels, discorso del 20 aprile ‘45;
13) A. Romualdi, (pref. a) Adolf Hitler, "La battaglia di Berlino", Ed. di Ar, Padova ‘77

mercoledì 28 marzo 2001

Camerati Addio, Storia di un inganno

Dal n° 182 - Marzo 2001
Pubblichiamo in queste pagine la recensione, apparsa sul bollettino della Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana (dicembre 2000) al libro di Vincenzo Vinciguerra che le Edizioni di Avanguardia hanno pubblicato nello scorso novembre. Tra i tanti sabotaggi e gli innumerevoli silenzi, per viltà o per pressappochismo, soprattutto all'interno del «neofascismo atlantico di servizio»; ad oggi, solo il bollettino della FNCRSI, con “Avanguardia”, ha rotto la congiura del silenzio che circonda l'Autore insieme all'autorevole, dettagliata analisi e documentazione che egli ci ha trasmesso, inchiodando a gravi responsabilità personaggi che vanno dai Freda ai Rauti, dai Delle Chiaie ai Merlino ecc. Gli stessi che ancora oggi tengono stagnante il neofascismo italiano a posizioni di subalternità alle strategie dell'atlantismo giudaico-statunitense.


Parlare del nuovo libro di Vincenzo Vinciguerra è, allo stesso tempo, semplice ed arduo. Semplice, perché i fatti esposti dall'autore sono incontrovertibili e ci raccontano infamie, tradimenti ed inganni perpetrati per decenni ai danni dei tanti che credevano negli ideali del Fascismo ed intendevano riaffermarli. Arduo, perché in qualche modo ciò coinvolge emotivamente noi combattenti della Repubblica Sociale e ci fa ricordare immediatamente tutto il nostro passato, i nostri ideali, il costante impegno di un'intera vita, le tante iniziative, le speranze nostre e di tantissimi autentici camerati, la maggior parte dei quali ormai, o non è più di questo mondo o, per propria dignità, si è messa in disparte, giustamente schifata dall'ignobile letamaio che divenne ed è il cosiddetto «nostro ambiente».
Un impegno ed un sacrificio di generazioni di militanti, stroncato e reso vano anche -in non piccola parte- dall'opera scellerata di vari traditori e di non poche prezzolate canaglie al servizio delle «istituzioni» di questo democratico sistema.
Dunque, per coloro che non ne hanno mai sentito parlare o avessero letto sui giornali del «sistema», qualche fugace accenno alla sua vicenda, inteso a distorcere la figura ed il significato del suo gesto, vogliamo ricordare chi è e che cosa ha compiuto e compie Vincenzo Vinciguerra. Dopo un'intensa e coraggiosa militanza negli anni '60 e '70 in gruppi politici che riteneva schiettamente fascisti, resosi pienamente conto che, al contrario di quanto da essi predicato, la loro attività, in effetti, era indirizzata al sostegno di chi, al servizio dei «padroni del mondo», opprime il nostro popolo, egli, conformemente alla sua vocazione genuinamente rivoluzionaria, decise di effettuare un'azione che, colpendo i «tutori del caos», sconvolgesse gli equivoci rapporti instauratisi sotterraneamente tra «destra extraparlamentare» ed organismi del sistema, all'insegna dell'anticomunismo più becero ed ottuso e della «difesa dell'Occidente» -cioè del sistema coloniale americano-giudaico- e marcasse in tal modo l'irriconciliabile diversità tra veri e falsi «combattenti per l'Ordine Nuovo».
Egli, quindi, il 31 maggio 1972 portò a termine l'attentato di Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia. Furono uccisi tre carabinieri ma, inopinatamente, gli alti ufficiali dell'«Arma benemerita», che avevano subito individuato, anche mercé gli spioni del neofascismo, l'ambiente di provenienza degli attentatori e perciò ben compreso le loro finalità) a giusto titolo ritenute pericolose per la stabilità dello stato antifascista al servizio degli USA), si adoperarono zelantemente per occultare la verità, depistando le indagini verso falsi obiettivi e arrestando e facendo incriminare con l'avallo di procuratori e giudici «amici», alcuni poveracci, «balordi» di paese, che soltanto dopo alcuni anni di detenzione ebbero riconosciuta la loro innocenza.
Vincenzo Vinciguerra riuscì ad espatriare in Spagna dove visse alcuni anni in clandestinità e, mentre in Italia le indagini della magistratura alla fine si concentrarono sul suo gruppo, egli, vivendo in esilio ebbe sia in Europa che in Sud America, altre deludenti esperienze con pseudo camerati e giunse a conclusioni definitivamente negative sui personaggi e sugli ambienti politici che aveva frequentato e quindi sulla vera funzione «di servizio» del piccolo mondo «neofascista» italiano. Risolse coscientemente, perciò, di portate a termine il sacrificio della sua vita per smascherare il tradimento e così salvare storicamente dagli impostori i princìpi del Fascismo. Nel settembre del 1979, quindi, tornò in Italia per costituirsi all'autorità giudiziaria e -pur senza commettere alcuna delazione- assumere la responsabilità dell'attentato rivendicando fieramente le ragioni, politiche ed etiche che lo avevano determinato e affrontare i processi e la prevedibile condanna all'ergastolo che, infatti, gli venne comminata.
Egli è ormai detenuto da più di 21 anni senza usufruire né degli sconti di pena né delle indulgenze carcerarie di cui beneficiano i vari «camerati» e stragisti al servizio -consapevole o meno- degli organismi di tutela del sistema e dei loro occulti ispiratori. Vincenzo Vinciguerra, invece, sballottolato da una prigione all'altra, maltrattato e sovente vilipeso dai suoi carcerieri, angariato in molti modi ed anche illegittimamente privato della regolare consegna della corrispondenza, continua tenacemente nella sua opera di denuncia del sistema, indicando pure nei magistrati al servizio del potere gli indispensabili complici per l'occultamento delle nefande trame della democrazia. Ricordiamo i titoli dei suoi libri finora pubblicati (per altri non è finora stato possibile): “Ergastolo per la libertà. Verso la verità sulla strategia della tensione”, Arnaud, Firenze 1989; “La strategia del depistaggio”, Ed. Il Fenicottero, Bologna 1993; e, recentemente, “Camerati, addio”, Edizioni di Avanguardia, Trapani 2000, che reca il sottotitolo “Storia di un inganno, in cinquant'anni di egemonia statunitense in Italia”. È la storia di una sequela di tradimenti, in verità un unico, continuo tradimento, iniziato alle origini del «neofascismo» -vale a dire negli stessi giorni della tragica fine della RSI nel sanguinoso aprile del 1945- e durato fino ai nostri giorni; che ha visto come esecrandi protagonisti i Michelini, gli Almirante, i Romualdi, nella prima, lunghissima fase del MSI, e poi gli ancor più squallidi Fini, Servello, Rauti, Signorelli, Delle Chiaie, che tuttora imperversano, con i loro degni seguaci ed epigoni: i vari Tilgher, Merlino, ecc. ecc., tanto per citarne alcuni.
Ci rendiamo conto, a questo punto, che il solo menzionare questi personaggi e le loro nefandezze possa dare il voltastomaco: pur tuttavia è necessario conoscerle (ed è questo uno dei meriti dell'opera di Vinciguerra; per smascherare gli agenti ed i meccanismi segreti adoperati senza scrupoli per proteggere il regime democratico, antifascista ed «atlantico» che ci è stato imposto con la vittoria degli «alleati», un regime criminale, corrotto e corruttore, un autentico stato di polizia (l'Italia, tra l'altro, ha il triste primato mondiale del rapporto percentuale -oltre 370.000 uomini, c. 1:170- tra popolazione e consistenza numerica dei numerosi corpi di polizia: PS, CC, GdF, PP, CFdS che certamente non stanno lì soltanto per difendere i cittadini dai malfattori, il che completamente avviene pure, sebbene in maniera scarsamente efficace) che nel difendere se stesso, però, attua con subdola abilità ed efficienza.
Va peraltro sottolineato che il compito assegnato al regime coloniale italiano, fu purtroppo facilitato dall'attitudine reducistica e borghese dell'«ambiente neofascista» che, lungi dal dare testimonianza di fedeltà agli ideali della RSI, come quella espressa con il loro estremo sacrificio da diecine di migliaia di caduti, i quali davvero seppero combattere e morire indossando la camicia nera (come cantava una loro celebre canzone) scelsero di slancio il reinserimento nella vita «civile» ed i vantaggi della vita comoda che callidamente erano loro prospettati dai mezzani della destra nazionale e massonica, in cambio di riporre, e del far riporre, nei cassetti dell'oblio il sogno della palingenesi rivoluzionaria tramandato dai «lor maggiori» e consacrato alla Storia dagli atti della RSI e dal sangue dei nostri caduti.
Raccomandiamo vivamente, perciò, la lettura dei libri-documenti di denuncia politica e morale di Vincenzo Vinciguerra, del quale, in conclusione, vogliamo onorare l'ammirevole comportamento che non esitiamo a definire assolutamente eroico, oltreché unico nel cialtronesco ambito del «neo» e pseudo fascismo del post RSI. Lo facciamo con le rispettose espressioni di stima manifestatagli nella sentenza di condanna emessa il 25 luglio 1987 dalla Corte di Assise di Venezia: «Una posizione indubbiamente singolare quella di Vincenzo Vinciguerra (…) la sua figura di soldato politico non è mai venuta meno e mantiene intatta la sua posizione offensiva nei confronti dello stato democratico». (p. XIV)