domenica 28 febbraio 1999

Platone e il Terzo Reich nazionalsocialista

dal n° 157 - Febbraio 1999 della rivista mensile “Avanguardia”.

La cultura greca rappresenta l’orizzonte necessario e non eludibile di ogni successiva esplorazione, in particolar modo il pensiero di Platone permane quale referente primario del successivo sviluppo della filosofia europea e della storia delle dottrine politiche.

Le opere di Platone possono essere lette in chiave metafisica e gnoseologica, quali messaggio di una tematica religiosa, o in chiave politica, meglio ancora etico-politica-educativa.

Lo stesso Platone nella lettera VII afferma chiaramente che la sua passione di fondo è appunto la politica, ma occorre intenderci sul significato di “politica” per Platone.

Ora, è d’uopo avere la consapevolezza dell’esistenza di un’ unica Tradizione, che trova le radici agli albori della civiltà Indoeuropea e che nel corso dei secoli, a seconda delle contingenze storico-politiche, ha assunto differenti forme, pur mantenendo intatta la propria essenza e conservando inalterati i propri principi arazionali e sovrarazionali radicati in un unico ceppo primordiale. «L’insegnamento platonico costituisce un frutto particolare, maturato in un clima storico, di una pianta del sapere dalle radici meta-storiche, tipicamente rinvenibile alla fonte arcaica della generale sapienzialità Indoeuropea». (1)

Come troviamo rappresentata la proiezione della Tradizione unica nel pensiero di Platone, così è palese ravvederla nell’esperienza della Rivoluzione Nazionalsocialista. Il rapporto Terzo Reich/Platone rappresenterà infatti l’esclusivo tentativo di questa analisi, tendente ad evidenziare gli aspetti del pensiero politico di Platone che, pur con i doverosi distinguo, hanno potuto concretizzarsi nelle dinamiche operative del Terzo Reich Nazionalsocialista. Già diversi studi hanno provato a sottolineare come il “totalitarismo platonico” possa richiamare formalmente il totalitarismo europeo contemporaneo.

Anche se erroneamente lo si è potuto credere tale, lo Stato Nazionalsocialista non è totalitario, perché non intende collettivizzare la vita della nazione. Meglio e più precisa, così come per il pensiero di Platone, è la definizione di Stato organico, quando, spogliato di certe esuberanze dovute alla sua breve apparizione sulla scena della storia, si presenta come “luogo geometrico” di organi, istituzioni e comunità popolare in piena armonia, sotto la direzione di Adolf Hitler.

Nello Stato totalitario il potere deriva da un’auto-legittimazione esterna del possesso materialistico della forza, nello Stato nazionalsocialista il potere deriva dalla figura carismatica del Fuhrer, una “legittima autorità che, incarnando principi metapolitici e metastorici, garantisca il retto orientamento dell’universo umano – il suo “governo” - ai punti cardinali del cosmo in temporale delle idee”. (2)

La guida, il Fuhrer, come precisa René Guénon ne “Il re del mondo”, essendo posto al centro, non partecipa più al movimento delle cose, in netto contrasto allo Stato democratico, sia esso liberale o marxista; al fine del raggiungimento del bene e della giustizia in favore della Comunità popolare. Il ruolo del Fuhrer, quale capo carismatico, così come identificato da Max Weber, potrebbe riallacciarsi alla “lettura politica” del “mito della caverna” di Platone.

Platone ne “La repubblica” parla di un ritorno nella caverna di colui che si era liberato dalle catene, di un ritorno che ha per scopo la liberazione dalle catene di coloro in compagnia dei quali egli prima era stato schiavo. E’ la figura del filosofo politico, il quale ridiscende nella caverna per salvare gli altri poiché l’uomo che ha visto in vero bene dovrà e saprà correre questo rischio che è poi quello che dà senso alla sua esistenza.

Nonostante lo scetticismo e la diffidenza nell’avvicinare Platone al nazionalsocialismo, anche Adriano Romualdi viene a riconoscere una sorta di eredità platonica nei movimenti fascisti europei: «L’identificazione dello Stato con la minoranza eroica che lo regge, il fervido sentimento comunitario, l’educazione spartana della gioventù, la diffusione di idee forza per mezzo del mito, la mobilitazione permanente di tutte le virtù civiche e guerriere, la concezione della vita pubblica come spettacolo nobile bello cui tutti partecipano: tutto ciò è fascista, nazista e platonico insieme. L’evidenza parla da sola». (3) La visione organica e gerarchica del mondo sono elementi comuni sia al pensiero platonico sia allo Stato del Terzo Reich.

Platone, influenzato dalla concezione di armonia propria dei pitagorici, concepiva il “suo” mondo delle idee come un sistema gerarchicamente organizzato e ordinato, in cui le idee inferiori implicano quelle superiori, su sino all’idea che sta al vertice della gerarchia, che è condizione di tutte e non è condizionata da nessuno. L’ordinamento statuale ravvisato da Platone nella tripartizione in philòsophoi, casta dei ‘sapienti’ a cui spetta “reggere” lo Stato; guerrieri, addetti alla custodia e alla difesa; ed infine nella figura del georgos, il contadino, l’uomo del popolo, lo riscontriamo nell’organizzazione del Terzo Reich, dove al vertice tutto confluisce nella figura del Fuhrer, cui subordinati stanno i soldati politici rappresentati dall’Ordine delle SS di Himmler, fino a giungere al popolo. Così come ritroviamo nell’antica India indoeuropea la divisione della società in sacerdoti (Brahmani), guerrieri (Ksathrya) e contadini (Vaisya), come nell’antica Persia indoaria tra Asravan (Sacerdoti del fuoco), Artestar (montatori del carro da guerra) e Vastryos (agricoltori), come tra i Celti d’Irlanda, tra i Druidi, seguiti dalla nobiltà militare e dagli allevatori-agricoltori.

Una analoga tripartizione esistette tra i germani, nell’antica Roma, tra gli sciiti, tra i traci, i frigi, fino a giungere ad oggi dove ritroviamo l’unica forma rimasta di Stato tradizionale nella Repubblica Islamica dell’Iran, caratterizzata dal ruolo della Wilayatu’l Faqih e dal Consiglio dei Giurisperiti, formato dagli Ulama; dai Pasdaran, guerrieri della rivoluzione, e dal popolo. Non a caso fra il musulmano Platone è detto “Imam dei filosofi” e molti lo chiamano Sayyidna Iflitun, ossia “Nostro Signor Platone”, ritenendolo un profeta mandato da Allah ai greci. Questa forma si rinnova in tutti gli ordinamenti delle società ariane di ceppo Indoeuropeo a testimoniare ulteriormente l’esistenza di una Tradizione unica la quale contempla l’organizzazione di uno «Stato che imprime una forma alla Comunità nazionalpopolare costituendo un sistema di gerarchie culminanti in una aristocrazia. E’ una gerarchia fondata su valori spirituali, etici, qualitativi, contrapposta all’odierna contraffazione del verticismo oligarchico fondato sulla divisione del lavoro e sul possesso della ricchezza famigliare. La gerarchia sarà la risultante della differenziata struttura inferiore del singolo, quale sarà predisposto ad un determinato compito che lo renderà funzione individuale della totalità popolare, non accidentalmente o in base a “virtù” profane come lo spirito di iniziativa e la fortuna, il cinismo e l’avidità di guadagno, l’intelligenza o la cultura, ma in relazione alla fondamentale fedeltà alla propria natura e a ciò che si è spiritualmente, eticamente e fisicamente, in una parola: “razzialmente”…». (4)

Ogni cittadino partecipa alla vita dello Stato

Come un singolo organicamente inserito nel tutto; l’uno non può venire pensato in maniera assoluta, ossia in maniera tale da escludere ogni molteplicità: l’uno non è senza i molti, così i molti non sono senza l’uno. Questo è ciò che distingue gli Stati tradizionali dalle moderne società che presentano l’individuo quale soggetto antitetico e in contrasto con la Comunità popolare intesa non come somma di più individui ma come totalità armoniosamente organizzata, funzionante grazie al rispetto delle gerarchie.

Nelle società tradizionali questo è possibile poiché non vi è distacco tra etica e politica, tra morale e universo politico, così come avviene oggi. «Già abbiamo notato come la nozione dell’adesione dell’individuo alla Comunità politica, del rapporto tra l’essere individuale e lo Stato venisse riconosciuta in maniera affatto naturale dai greci antichi, per i quali era normale che l’etica individuale fosse in correlazione con l’organismo politico, così come il principio secondo cui le due entità si determinassero reciprocamente in un vincolo di mutuo coordinamento. E’ opportuno quindi ripetere che nella Polis antica non interviene alcuna soluzione dualistica tra individuo e comunità: né l’individuo né la comunità vivono una esistenza conclusa in funzioni e limiti specifici (e come tali distinti), ma esiste la vita dell’uomo inserito nella comunità e la vita della comunità che è comunità dell’uomo». (5)

Grazie a questa concezione, nelle società tradizionali vengono meno le assillanti preoccupazioni del fattore economico, caratterizzanti le società moderne, regolate solo ed esclusivamente dalle leggi del consumo. Così nel comunismo aristocratico di Platone è possibile evidenziare il superamento degli ordinari ostacoli derivanti dai bisogni e dai sentimenti con un’osservanza di uno stile di esistenza impersonale e che prescinde dal singolo individuo, anche nel Terzo Reich nazionalsocialista possiamo scorgere la realizzazione di postulati dottrinari socioeconomici che,pur in pochissimi anni, riescono a raggiungere l’obiettivo di un ordinamento nazionale, organico e socialista, improntato ad esclusivo vantaggio della Comunità popolare. In uno Stato organico non solo l’economia va pianificata in funzione delle esigenze della Comunità popolare, ma anche ogni aspetto della vita sociale, come nello Stato platonico ove ravvisiamo uno “Stato etico che subordina i valori economici al conseguimento della virtù e sostiene i valori conseguiti avvalendosi di tutti i mezzi, compresi il mito, la menzogna e la propaganda. Al servizio di quest’ultima è l’arte, cui Platone nega ogni autonomia”. (6)

Anche lo Stato nazionalsocialista utilizza l’arte come forma di propaganda, valorizzando ogni aspetto della Kultur indoeuropea e rigettando gli esempi di arte degenerata, dal campo letterario, a quello figurativo ecc.; visti come portatori di un’anima sovvertitrice e distruttiva. Quindi, in quest’ottica viene a concretizzarsi lo sforzo per la salvaguardia della propria razza, portatrice di valori immutabili ed eterni, proiezione del ceppo unico della Tradizione primordiale. Ciò che Platone chiama anamnesi; ovvero una forma di ricordo, un riemergere di ciò che esiste già da sempre nell’interiorità della nostra anima, per i nazionalsocialisti si identifica con la razza. Ma lo scivolamento in una sorta di razzismo meramente biologico in cui si imbatte sia Platone quando parla dei meteci (gli immigrati che non godevano dei diritti politici e della cittadinanza ateniese) così come alcuni aspetti del razzismo pangermanista vanno revisionati a favore di una concezione tradizionale del razzismo, così come lucidamente esposta da Julius Evola.

Il razzismo di Julius Evola, illustrato nella trilogia ontologica (razza del corpo, razza dell’anima e razza dello spirito) si riallaccia sostanzialmente alla trinità ellenica di soma-psychè-nous, a quella romana di mens-anima-corpus, a quella indoaria di sthula-linga-karana-çarira, ripercorrendo il filone del pensiero tradizionale sicuramente estraneo ad ogni forma di razzismo meramente antropologico. Questa tripartizione rappresenta la proiezione dei “tre mondi”, cioè «…i tre termini del Tribhuvana: la terra (bhu), l’atmosfera (bhuvas), il cielo (swar), cioè, in altri termini, il mondo della manifestazione corporea, il mondo della manifestazione sottile o psichica, il mondo principale non manifestato». (7)

Ugualmente la conservazione della comunità popolare riecheggia in Platone quanto nel Terzo Reich. Secondo la politica eugenetica di Platone «bisogna che gli uomini migliori si uniscano alle donne migliori più spesso che possono, e, al contrario, i peggiori con le peggiori; e si deve allevare la prole dei primi, non quella dei secondi, se il nostro gregge dovrà essere quanto mai eccellente». (La Repubblica, 459)

Questi provvedimenti li ritroviamo nella Germania Hitleriana, ove l’èlite nazionalsocialista, le SS, viene invitata ad unirsi, anche fuori dal matrimonio, alle migliori femmine germaniche, le quali dovranno contribuire a donare al Terzo Reich nuovi uomini forti e valorosi. L’attenzione riposta nelle giovani generazioni spiega l’enorme cura e diligenza con cui lo Stato nazionalsocialista intende crescere ed educare i nuovi soldati politici, ulteriori “uomini nuovi”, cresciuti secondo un’etica improntata all’ordine guerriero tramite una dura selezione al fine di giungere a riconoscere quelle forze che potranno essere chiamate alla guida dello Stato. Lo stesso Platone ne “La Repubblica” (415) auspica che «Dio comanda ai governanti di essere, innanzi tutto e soprattutto, attentissimi custodi ed osservatori acutissimi dei fanciulli, e di quale metallo siano composte le loro anime; e, se i loro stessi figli hanno in se il ferro o rame, di non avere pietà, e dando alla natura il valore che a natura è dovuto, li caccino fra i contadini e gli operai; e se, invece, questi ultimi hanno avuto figlioli in cui si intraveda oro e argento, di riconoscerne il valore e di elevarli a governanti o a difensori».

Per supportare tutto questo, sia Platone sia lo Stato nazionalsocialista hanno bisogno della perpetuazione del mito. Il mito, che Heidegger ritiene essere la più autentica espressione del pensiero platonico, più che espressione di fantasia, è espressione di fede e di credenza. «Platone, insomma, affida alla forza del mito il compito, quando la ragione sia giunta ai limiti estremi delle sue possibilità, di superare intuitivamente questi limiti, elevando lo spirito ad una visione, o almeno ad una visione trascendente». (8)

Tensione trascendente sempre mantenuta alta dal nazionalsocialismo che costantemente rievoca principi e simboli di una metastoria interpretata da una civiltà ario-germanica, discendente dal ceppo indoeuropeo, identificatesi nel simbolo uranico-solare dello Swastika, divenuto il vessillo della Totalkampf nazionalsocialista.

Manuel Negri

NOTE:

1)F.G. Freda, “Platone. Lo Stato secondo giustizia”, Ed. di AR, Padova 1996, pag. 63

2)ibidem, pag. 50

3)Adriano Romualdi, “Platone”, Ed. Settimo Sigillo, Roma 1992, pag. 54

4)Maurizio Lattanzio, “Stato e Sistema”, Ed. di AR, Padova 1987, pag. 30

5)F.G. Freda, op. citata, pp. 46-47

6)Adriano Romualdi, op. citata, pp. 46-47

7)Renè Guènon, “Il re del mondo”, ed. Adelphi, Milano 1994, pag. 40

8)G. Reale-D. Antiseri, “Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi”, Vol. I, Ed. La Scuola, Brescia 1983, pag. 96