mercoledì 31 ottobre 2012

Demonio-crazia

Premessa 

Chi studia la politica in modo serio e scrupoloso non può esimersi dal considerare il peso gravoso esercitato da quello che i filosofi tedeschi chiamano "Zeitgeist" (spirito del tempo) e i cui effetti empirici sono sotto gli occhi di tutti. Lo Zeitgeist, tuttavia, non è un fattore precisamente quantificabile ed è forse per questo motivo che non tutti i politologi lo inseriscono adeguatamente nei loro scritti o anche nei  dibattiti  accademici.

Dev'essere perciò esaminato con estrema perizia e dovizia di particolari.
Si tratta di una serie  di sentimenti, di umori, di opinioni che, partendo da una serie di eventi, influenzano la coscienza collettiva, penetrano nell'inconscio di ognuno e ispirano i giudizi sulla politica. Lo spirito del tempo, per così dire,  plasma la mentalità collettiva delle epoche e ne viene, di conseguenza, plasmato. Nessuno studioso, dunque, a qualunque livello si collochi,  può prescinderne senza scadere nel ridicolo. 
La valutazione di tutti i regimi regimi politici passa dev'essere passata al vaglio dello Zeitgeist. Infatti, nei primi decenni del XX sec. questo fattore ha "giocato" contro la democrazia, ritenuta da molti intellettuali una forma di governo pessima, caratterizzata da incapacità intellettuale, partigianeria eccessiva, verbosità   al limite del vaniloquio, ingovernabilità,  favorendo l'interesse degli intellettuali per modelli politici di segno opposto. 
Viceversa, all'indomani della seconda guerra mondiale e per cause che non sto qui a ricordare (perché arcinote), l'influsso dello Zeitgeist ha invertito la direzione di marcia, ha promosso il pensiero democratico moderno, consolidando quella credenza che vuole democrazia non solo come il migliore dei governi possibili ma anche come l'orizzonte insuperabile di ogni riflessione afferente le forme di governo più adatte ai paesi civili.
Ora, passo dopo passo, questa credenza ha snaturato le radici storiche della democrazia, piegandola ad uno solo dei significati che essa deteneva (quello che è più legato al pensiero liberale); dall'altro lato ha istigato ad  abbandonare la via di una valutazione realistica e critica dei risultati pratici da essa ottenuti,  ingenerando una retorica della democrazia che porta a pensarla in modo del tutto errato.
La democrazia sarebbe insomma una forma politica giusta di per sé, di validità atemporale, proiettata in una specie di eterno presente, faccendone un veicolo utile per l'affermazione di modelli esclusivamente positivi, così' da farne una sorta di feticcio, oggetto di culto morale ed ideale, legato a doppio filo a dottrine che hanno una radice di ordine metafisico molto distaccate dall'ordine politico, secondo categorie ricavate dalla storia del pensiero: la dottrina dei diritti dell'uomo. 
Da ciò ne discende:
  • l'inglobamento della democrazia nel concetto generale di civiltà occidentale, come struttura costitutiva insostituibile;
  • la promozione di quest'ultima a paradigma della civiltà universale tout court;
  • la presentazione della sua espansione in ogni punto del globo come un dovere etico;
  • la promozione di un progetto di democratizzazione a mano armata, attraverso la cosiddetta esportazione del modello democratico anche con la forza delle armi, che si fonda su una arbitraria gerarchia delle culture;
  • una contrapposizione rigida fra il "civile" occidente democratico e l'incivile oriente antidemocratico che andrebbe, alla luce di questo presupposto, "contaminato" oppure convertito;
  • la semplificazione dello scenario geopolitico contemporaneo,  promuovendo una contrapposizione tra "democrazia" e "terrorismo", indicando i paesi non democratici o  non allineati come protagonisti o affiliati al cosiddetto "Asse del Male".
L'uso della forza senza il consenso preventivo e reale del popolo perde la sua legittimità nel quadro di una sua legittimazione morale.
Questa trasfigurazione retorica della democrazia impone alcune riflessioni; fra cui emergono la sua identificazione con il "regno della libertà";  la sua presentazione come "governo d'opinione"(§)  che recepisce e soddisfa in diversa misura le istanze dei governati e l'affermazione di una sua coincidenza con il pluralismo delle opinioni. Nozione quest'ultima del tutto disattesa nella democrazia reale.


Democrazia e Pluralismo


Chi propone o, meglio, impone l'equazione democrazia = pluralismo dovrebbe assolutamente meditare circa i separati ambiti dove il pluralismo si realizza effettivamente e dove invece rimane solamente lettera morta.
Il pluralismo sociale è considerato - almeno in ambito accademico - una sorta di pre-condizione essenziale della democrazia. Si insiste molto sul fatto che la democrazia per funzionare bene non deve registrare - all'interno di un determinato contesto statuale - un eccessivo accumulo di ricchezze da parte di pochi soggetti; si presuppone altresì che debba assicurare una serie di equità di condizioni economiche sociali diffuse e di proporre una sorta di tendenziale uguaglianza, Tuttavia sappiamo per certo che in democrazia coloro i quali detengono il potere mass-mediatico non sono sempre poteri pubblici; spesso chi detiene enormi risorse economiche è in grado pure di influenzare e di indirizzare il pubblico non solo per acquistare merci e prodotti di vario genere ma anche per formare e indi consolidare una determinata forma di pensiero. L'influenza del denaro è enorme nel condizionare non solo l'informazione ma anche il potere politico. Nelle mani dei mass-media vi sono dei mezzi potentissimi incontrollati e, spesso, incontrollabili dal demos, che arrivano a dirigere il pensiero collettivo in un senso o in un altro. Di qui l'illusione del demos di poter decidere ed incidere... 



Il plurarismo informativo, per esempio, è ritenuto di fondamentale importanza per il funzionamento della democrazia. Eppure, nonostante le apparenze, esso non esiste affatto; o è surrettizio, proprio per non destare sospetti...
Aleksandr Isaevič Solženicyn, a questo proposito,  in un suo famoso discorso all'università di Harward, fece rilevare che nei paesi democratici per arginare il dissenso non serve utilizzare metodi cruenti: basta semplicemente staccare il microfono. 
Ecco; questo semplice aneddoto stigmatizza alacremente quello che è effettivamente il pluralismo dell'informazione in ambito democratico. Non servirebbe aggiungere altro.

Inoltre - a disposizione dei  medium di massa - vi è il famigerato framingcioè la possibilità di attribuzione di significato, d'incorniciamento delle notizie, dei commenti che, a sua volta, taglia e soffoca quelle parti del pluralismo che non vanno nella direzione voluta dai poteri dominanti. E poiché la capacità di ingresso nell'universo mediatico è condizionata dal possesso di ingenti risorse economiche, è evidente che  l'oligopolio che si forma in democrazia è assai penalizzante nel rispetto di tutte le opinioni.
Ma tendono a considerarle accettabili
L'accusa mossa alle democrazie liberali di non sapersi confrontare con tutti è assolutamente fondata. Infatti, l'assorbimento della democrazia nell'ambito politico culturale liberale ha assunto una forma cogente, ragion per cui chi non rientra in tale visione viene di fatto escluso. Si creano così all'interno delle democrazie "liberali" delle vere e proprie riserve indiane che sono del tutto escluse dall'agone politico.  Si potrebbero citare tantissimi casi di intellettuali addirittura condannati per essersi permessi di proferire un verbo che non figurava nel dizionario del "bon ton" liberale. Inoltre tale mefitica processo di "contaminazione" ha portato alla convinzione che il pensiero liberale incarni valori universali imprescindibili. In realtà si tratta del predominio di una sola cultura su tutte. Di qui discende il fatto incontrovertibile che la società occidentale di matrice liberale non esprime al suo interno alcun pluralismo culturale. Si tratta invece di un mono-culturalismo che non ammette altro verbo se non quello di matrice anglosassone.

© Petrus Aloisius

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