In servizio a Firenze nel 1915 viene richiamato in Sicilia per combattere il fenomeno del “brigantaggio”
Cesare Primo Mori nasce il 22 dicembre 1871 a Pavia, ma viene riconosciuto dai genitori Felice e Pizzamiglio Rachele nell’ottobre del 1879.
Primo Nerbi saranno il nome e cognome provvisori del bambino nel periodo in cui vive nel brefotrofio di Pavia.
Il giovane, alto, diritto, volto energico, occhio sereno con riflessi d’acciaio, nel 1889 viene ammesso all’Accademia Militare di Torino. Nel 1895 è nominato tenente di artiglieria e assegnato a Taranto dove ottiene la prima medaglia al valore. Qui conosce Angelina Salvi che diventerà sua moglie, ma il regolamento del tempo lo costringe alle dimissioni per la dote non disponibile.
Cesare però manifesta la sua vocazione partecipando al concorso per entrare in Polizia, dove viene nominato Delegato di Pubblica Sicurezza e inviato in servizio a Ravenna.
Nel 1904 è assegnato con il grado di Commissario di P.S. a Castelvetrano (TP), compito che assolve con la stessa grinta e determinazione che mostrerà in seguito.
È deciso, coraggioso, incorruttibile e compie numerosi arresti. Subisce diversi attentati ma nessuno riesce a fermarlo. Spesso è costretto a usare metodi particolarmente duri e per questo è denunciato per abuso di potere, ma sarà successivamente assolto e amnistiato. Afferma il magistrato del distretto: “Abbiamo a Trapani un uomo che colpisce la mafia ovunque annidata!”
Cesare Mori viene chiamato in servizio a Firenze nel 1915 in qualità di vice questore, ma proprio in questo periodo scoppia la guerra e in Sicilia si diffonde il cosiddetto “brigantaggio”, fenomeno favorito dall’elevato numero di giovani che diserta la leva. Pertanto il nostro viene rimandato in Sicilia, a Caltabellotta (AG).
E qui il vice questore mostra ancora una volta il suo valore riportando notevoli successi, che gli valgono tra l’altro la medaglia al valore militare e la promozione a questore. Nell’occasione Mori dichiara che “il vero colpo mortale alla mafia lo daremo solamente quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d’india, ma nelle prefetture, questure, palazzi padronali e ministeri!”.
Negli anni successivi lo ritroviamo in servizio presso le questure di Torino, Roma e infine a Bologna. Arriva frattanto il 1921, anno ricco di fermento sociale per via dell’accanita lotta tra la materia e lo spirito, che si incarna nelle schiere contrapposte del socialismo e del nazionalismo. Ex combattenti, arditi e reduci sono attaccati da forze antinazionali ma rispondono colpo su colpo. Gli scontri tra le parti sono violenti e il disordine impera.
E Cesare Mori, in qualità di Prefettissimo, trova in punta di diritto il modo migliore per ristabilire lo Stato di diritto: non fare sconti a nessuno e catalogare tutti i contendenti più scalmanati come “sovversivi”.
Il 28 ottobre 1922 il Duce viene chiamato a presiedere il governo della concordia nazionale e frattanto il Prefetto va in pensione e si ritira a Firenze conducendo una tranquilla vita coniugale. Qui scriverà il libro di analisi della mafia: Tra le zagare oltre la foschia (pubblicato nel ’23 dalla Carpignani e da La Zisa nel 1988, nda).
Mussolini, l’Uomo della Provvidenza, coagula in un riuscito amalgama le istanze socialiste e quelle nazionaliste. Il capitale viene messo al servizio del lavoro in una nuova dottrina che rompe le antiche diatribe: è il certificato di nascita del fascismo. Il Duce visita la Sicilia nel maggio 1924 e nell’occasione si rende conto dei problemi che attanagliano l’isola, e della maniera di poterne venire a capo. “Il popolo siciliano ha bisogno di strade, acqua, bonifica, incolumità. Il fascismo cauterizzerà se necessario col ferro e col fuoco, la piaga della delinquenza siciliana”, sentenziò Mussolini. Affidarsi al cauterio: bruciare ma risanare. Non c’era polso più adatto all’operazione che quello del soldato Cesare Mori.
Il 28 dello stesso mese il Prefetto viene richiamato in servizio e inviato a Trapani. Il 20 ottobre 1925 arriva a Palermo come Superprefetto con l’onere di una missione chiara per conto di Mussolini: eliminare la mafia dalla Sicilia in tutte le maniere possibili. Mori ha carta bianca, e dal 1 novembre 1925 fino al 1929 conduce una battaglia spietata, con metodi spesso poco ortodossi ma necessari, suscitati però dalla bisogna e adeguati a piegare la psicologia degli avversari.
Tra le battaglie del Prefetto d’assalto, va annoverata senz’altro quella epocale del 1926: l’assedio di Gangi (Pa) che porta alla cattura di centinaia di gregari e capi mafia. L’azione è svolta con il coordinamento unico di Carabinieri, Poliziotti e Camicie Nere scelti tra ex combattenti e reduci della vittoriosa Prima guerra mondiale. La legge è applicata alla lettera dalla magistratura di competenza, diretta dal procuratore generale, Luigi Giampietro. Anche alte personalità fra cui il generale, nonché ex ministro, Antonino Di Giorgio, sono inquisiti. La lotta non si caratterizza però soltanto come campagna di polizia ma anche come insurrezione di coscienze. Un’autentica rivolta di spirito che risulta decisiva per il successo. L’eco dell’impresa e il temperamento pugnace varranno a Mori l’epiteto che l’ha consegnato alla storia: Prefetto di Ferro. Il Prefetto contadino va incontro al popolo, esorta tutti a difendere la dignità dell’uomo, si mette alla guida dei mezzi agricoli nelle terre sottratte alla mafia, conduce la bonifica integrale con autentiche sagre popolari, concluse con rito religioso e giuramento di fedeltà allo Stato. Significativamente, Mori fa ammainare le bandiere rosse usate per le segnalazioni e saluta a braccio teso il tricolore a Roccapalumba, Piana dei Greci e a Palermo, in piazza Politeama.
La sua azione di polizia arriva fino ai colletti bianchi. La corsa è irrefrenabile, anche S.E. si rende conto di essere giunto alle soglie del possibile e per questo motivo chiede al capo del Governo il consenso alla prosecuzione.
La risposta è lapidaria: Non abbia riguardi né in alto né in basso.
Molti mafiosi cercano scampo in America. Antonio Calderone, pentito di mafia, ne “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi afferma: “I mafiosi erano usciti impoveriti dal fascismo. Mio zio Luigi, un capo, un’autorità, si era ridotto a fare il ladro per guadagnarsi il pane!”. Anche Alfredo Cucco, medico oculista, segretario e deputato del Pnf che alcune macchinazioni avevano tentato di mostrare colluso, viene punito con l’espulsione dal partito. (Successivamente sarà completamente scagionato e dimostrerà la sua fede aderendo alla Rsi, nda)
Nell’occasione del conferimento della laurea in legge “honoris causa” a Palermo, il neo-dottore Cesare Mori, dirà: “La mafia è una attitudine morbosa specifica di determinati elementi. La polizia è nella funzione, civile milizia; nel fatto, azione. La mafia dà i sacerdoti, la malvivenza i fedeli”.
“Si poteva dormire con le porte aperte” e pertanto “santo” Mori aveva compiuto il miracolo. L’Italia gli è riconoscente, Mussolini lo fa nominare Senatore del Regno.
Adesso tocca allo Stato immettere la Sicilia nel giusto cammino verso il progresso di tutta la Nazione. Attacco e polverizzazione del latifondo e bonifica integrale, costruzione di infrastrutture per rendere competitiva l’agricoltura nell’ottica di inserimento nell’impresa africana.
Anche con questa carica, Mori si occupa della Sicilia ma dirà che “la misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura”.
Verso la fine del ‘29 viene nominato presidente del Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana conseguendo democratici ottimi risultati. Arrigo Serpieri, l’ideatore della legge sulla bonifica integrale, gli aveva concesso il valore consultivo dei proprietari.
Nel 1932 la Mondadori pubblica il libro Con la mafia ai ferri corti, dove tra l’altro Mori, per fugare qualsiasi dubbio o incertezza nei denigratori e zizzanieri, afferma che la lotta contro la mafia ha avuto successo perché combattuta dal regime fascista nel nome e per volontà del Duce.
Vive negli anni successivi con la moglie Angelina a Pagnacco, frazione di Tavagnacco (UD). S.E. Cesare Mori, il Prefetto di Ferro, muore il 5 luglio 1942. Lascia una eredità materiale modestissima. Viene sepolto in una umile tomba a Pavia dove riposa il sonno degli Eroi.
Calogero Vizzini, capo mafia, dirà a Indro Montanelli in una sua intervista: “Si, di mano spiccia...ma òmmo era..”
Arrigo Petacco ha scritto il libro Il prefetto di ferro, pubblicato dalla Mondadori nel 1975. Pasquale Squitieri ne ha realizzato un film interpretato da Giuliano Gemma con musiche di Ennio Morricone.
Luglio 1943. I mafiosi aprono le porte della Sicilia agli invasori anglo-americani. Cesare Mori si rivolta nella tomba, il suo “spirto guerrier” freme, vorrebbe ancora combattere la mortale nemica…
Gangi grata ricorda l’epopea intestandogli una targa marmorea.
Il magistrato Giovanni Falcone, eroe vittima di mafia, qualche tempo prima di essere trucidato, alla domanda “chi glielo fa fare” rispose: “Il senso del servizio”. Allo stesso interrogativo il Prefetto di Ferro avrebbe aggiunto: “Per amore di Patria”.
Primo Nerbi saranno il nome e cognome provvisori del bambino nel periodo in cui vive nel brefotrofio di Pavia.
Il giovane, alto, diritto, volto energico, occhio sereno con riflessi d’acciaio, nel 1889 viene ammesso all’Accademia Militare di Torino. Nel 1895 è nominato tenente di artiglieria e assegnato a Taranto dove ottiene la prima medaglia al valore. Qui conosce Angelina Salvi che diventerà sua moglie, ma il regolamento del tempo lo costringe alle dimissioni per la dote non disponibile.
Cesare però manifesta la sua vocazione partecipando al concorso per entrare in Polizia, dove viene nominato Delegato di Pubblica Sicurezza e inviato in servizio a Ravenna.
Nel 1904 è assegnato con il grado di Commissario di P.S. a Castelvetrano (TP), compito che assolve con la stessa grinta e determinazione che mostrerà in seguito.
È deciso, coraggioso, incorruttibile e compie numerosi arresti. Subisce diversi attentati ma nessuno riesce a fermarlo. Spesso è costretto a usare metodi particolarmente duri e per questo è denunciato per abuso di potere, ma sarà successivamente assolto e amnistiato. Afferma il magistrato del distretto: “Abbiamo a Trapani un uomo che colpisce la mafia ovunque annidata!”
Cesare Mori viene chiamato in servizio a Firenze nel 1915 in qualità di vice questore, ma proprio in questo periodo scoppia la guerra e in Sicilia si diffonde il cosiddetto “brigantaggio”, fenomeno favorito dall’elevato numero di giovani che diserta la leva. Pertanto il nostro viene rimandato in Sicilia, a Caltabellotta (AG).
E qui il vice questore mostra ancora una volta il suo valore riportando notevoli successi, che gli valgono tra l’altro la medaglia al valore militare e la promozione a questore. Nell’occasione Mori dichiara che “il vero colpo mortale alla mafia lo daremo solamente quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d’india, ma nelle prefetture, questure, palazzi padronali e ministeri!”.
Negli anni successivi lo ritroviamo in servizio presso le questure di Torino, Roma e infine a Bologna. Arriva frattanto il 1921, anno ricco di fermento sociale per via dell’accanita lotta tra la materia e lo spirito, che si incarna nelle schiere contrapposte del socialismo e del nazionalismo. Ex combattenti, arditi e reduci sono attaccati da forze antinazionali ma rispondono colpo su colpo. Gli scontri tra le parti sono violenti e il disordine impera.
E Cesare Mori, in qualità di Prefettissimo, trova in punta di diritto il modo migliore per ristabilire lo Stato di diritto: non fare sconti a nessuno e catalogare tutti i contendenti più scalmanati come “sovversivi”.
Il 28 ottobre 1922 il Duce viene chiamato a presiedere il governo della concordia nazionale e frattanto il Prefetto va in pensione e si ritira a Firenze conducendo una tranquilla vita coniugale. Qui scriverà il libro di analisi della mafia: Tra le zagare oltre la foschia (pubblicato nel ’23 dalla Carpignani e da La Zisa nel 1988, nda).
Mussolini, l’Uomo della Provvidenza, coagula in un riuscito amalgama le istanze socialiste e quelle nazionaliste. Il capitale viene messo al servizio del lavoro in una nuova dottrina che rompe le antiche diatribe: è il certificato di nascita del fascismo. Il Duce visita la Sicilia nel maggio 1924 e nell’occasione si rende conto dei problemi che attanagliano l’isola, e della maniera di poterne venire a capo. “Il popolo siciliano ha bisogno di strade, acqua, bonifica, incolumità. Il fascismo cauterizzerà se necessario col ferro e col fuoco, la piaga della delinquenza siciliana”, sentenziò Mussolini. Affidarsi al cauterio: bruciare ma risanare. Non c’era polso più adatto all’operazione che quello del soldato Cesare Mori.
Il 28 dello stesso mese il Prefetto viene richiamato in servizio e inviato a Trapani. Il 20 ottobre 1925 arriva a Palermo come Superprefetto con l’onere di una missione chiara per conto di Mussolini: eliminare la mafia dalla Sicilia in tutte le maniere possibili. Mori ha carta bianca, e dal 1 novembre 1925 fino al 1929 conduce una battaglia spietata, con metodi spesso poco ortodossi ma necessari, suscitati però dalla bisogna e adeguati a piegare la psicologia degli avversari.
Tra le battaglie del Prefetto d’assalto, va annoverata senz’altro quella epocale del 1926: l’assedio di Gangi (Pa) che porta alla cattura di centinaia di gregari e capi mafia. L’azione è svolta con il coordinamento unico di Carabinieri, Poliziotti e Camicie Nere scelti tra ex combattenti e reduci della vittoriosa Prima guerra mondiale. La legge è applicata alla lettera dalla magistratura di competenza, diretta dal procuratore generale, Luigi Giampietro. Anche alte personalità fra cui il generale, nonché ex ministro, Antonino Di Giorgio, sono inquisiti. La lotta non si caratterizza però soltanto come campagna di polizia ma anche come insurrezione di coscienze. Un’autentica rivolta di spirito che risulta decisiva per il successo. L’eco dell’impresa e il temperamento pugnace varranno a Mori l’epiteto che l’ha consegnato alla storia: Prefetto di Ferro. Il Prefetto contadino va incontro al popolo, esorta tutti a difendere la dignità dell’uomo, si mette alla guida dei mezzi agricoli nelle terre sottratte alla mafia, conduce la bonifica integrale con autentiche sagre popolari, concluse con rito religioso e giuramento di fedeltà allo Stato. Significativamente, Mori fa ammainare le bandiere rosse usate per le segnalazioni e saluta a braccio teso il tricolore a Roccapalumba, Piana dei Greci e a Palermo, in piazza Politeama.
La sua azione di polizia arriva fino ai colletti bianchi. La corsa è irrefrenabile, anche S.E. si rende conto di essere giunto alle soglie del possibile e per questo motivo chiede al capo del Governo il consenso alla prosecuzione.
La risposta è lapidaria: Non abbia riguardi né in alto né in basso.
Molti mafiosi cercano scampo in America. Antonio Calderone, pentito di mafia, ne “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi afferma: “I mafiosi erano usciti impoveriti dal fascismo. Mio zio Luigi, un capo, un’autorità, si era ridotto a fare il ladro per guadagnarsi il pane!”. Anche Alfredo Cucco, medico oculista, segretario e deputato del Pnf che alcune macchinazioni avevano tentato di mostrare colluso, viene punito con l’espulsione dal partito. (Successivamente sarà completamente scagionato e dimostrerà la sua fede aderendo alla Rsi, nda)
Nell’occasione del conferimento della laurea in legge “honoris causa” a Palermo, il neo-dottore Cesare Mori, dirà: “La mafia è una attitudine morbosa specifica di determinati elementi. La polizia è nella funzione, civile milizia; nel fatto, azione. La mafia dà i sacerdoti, la malvivenza i fedeli”.
“Si poteva dormire con le porte aperte” e pertanto “santo” Mori aveva compiuto il miracolo. L’Italia gli è riconoscente, Mussolini lo fa nominare Senatore del Regno.
Adesso tocca allo Stato immettere la Sicilia nel giusto cammino verso il progresso di tutta la Nazione. Attacco e polverizzazione del latifondo e bonifica integrale, costruzione di infrastrutture per rendere competitiva l’agricoltura nell’ottica di inserimento nell’impresa africana.
Anche con questa carica, Mori si occupa della Sicilia ma dirà che “la misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura”.
Verso la fine del ‘29 viene nominato presidente del Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana conseguendo democratici ottimi risultati. Arrigo Serpieri, l’ideatore della legge sulla bonifica integrale, gli aveva concesso il valore consultivo dei proprietari.
Nel 1932 la Mondadori pubblica il libro Con la mafia ai ferri corti, dove tra l’altro Mori, per fugare qualsiasi dubbio o incertezza nei denigratori e zizzanieri, afferma che la lotta contro la mafia ha avuto successo perché combattuta dal regime fascista nel nome e per volontà del Duce.
Vive negli anni successivi con la moglie Angelina a Pagnacco, frazione di Tavagnacco (UD). S.E. Cesare Mori, il Prefetto di Ferro, muore il 5 luglio 1942. Lascia una eredità materiale modestissima. Viene sepolto in una umile tomba a Pavia dove riposa il sonno degli Eroi.
Calogero Vizzini, capo mafia, dirà a Indro Montanelli in una sua intervista: “Si, di mano spiccia...ma òmmo era..”
Arrigo Petacco ha scritto il libro Il prefetto di ferro, pubblicato dalla Mondadori nel 1975. Pasquale Squitieri ne ha realizzato un film interpretato da Giuliano Gemma con musiche di Ennio Morricone.
Luglio 1943. I mafiosi aprono le porte della Sicilia agli invasori anglo-americani. Cesare Mori si rivolta nella tomba, il suo “spirto guerrier” freme, vorrebbe ancora combattere la mortale nemica…
Gangi grata ricorda l’epopea intestandogli una targa marmorea.
Il magistrato Giovanni Falcone, eroe vittima di mafia, qualche tempo prima di essere trucidato, alla domanda “chi glielo fa fare” rispose: “Il senso del servizio”. Allo stesso interrogativo il Prefetto di Ferro avrebbe aggiunto: “Per amore di Patria”.
Articolo apparso su “Rinascita” il 14 Febbraio 2012
Nessun commento:
Posta un commento