sabato 15 giugno 2024

Ricorre oggi il genetliaco di un grande combattente: Léon Joseph Marie Ignace Degrelle.


Nato il 15 giugno 1906 a Buglione, una cittadina dell'Ardenna belga: la sua famiglia era di origine francese. Suo padre, Édouard Degrelle, era un birraio che si trasferì in Belgio dalla Francia nel 1901. Dopo un’adolescenza idilliaca nella pittoresca regione delle Ardenne, compì i suoi studi presso i Padri gesuiti e poi si iscrisse all'Università di Lovanio. Qui conquista il dottorato in diritto. S'interessa però a tutte le discipline intellettuali: amplia i suoi studi universitari, nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali; si interessa d'arte e d'archeologia, nonché della filosofia tomistica.
La giovinezza di Degrelle fu ricca di avventure. A soli vent'anni, era già proprietario di un settimanale e autore di cinque libri. Profondamente devoto al cristianesimo, si impegnò attivamente nell'Azione Cattolica, diventandone un fervente condottiero. La sua vera passione, tuttavia, era la politica: mirava a conquistare le masse, in particolare quelle marxiste, per convertirle al suo ideale di una trasformazione politica, sociale e, soprattutto, spirituale della società. Aspirava a elevare il popolo, a creare uno Stato forte, competente, responsabile e duraturo, sostenuto democraticamente da un consenso popolare consapevole e sensibile. Tenne più di duemila discorsi pubblici, sempre aperti al dibattito.
Degrelle intraprese una brillante carriera politica e militare. Nel 1932 sposò Marie-Paule Lemai, figlia di un industriale francese, e insieme ebbero cinque figli: Chantal, Anne, Godelieve, Léon-Marie e Marie-Christine. Fondò il movimento nazionalista belga di ispirazione cattolica conosciuto come "rexismo". Il 24 maggio 1936, il suo movimento ottenne un trionfo elettorale, conquistando 33 seggi tra deputati e senatori.
Il potere assoluto è ciò che cerca, in uno stile che ricorda il fascismo del tempo. L'Europa di allora era ancora confinata a nazioni gelose del loro passato, isolate dai vicini. Léon Degrelle guardava oltre. Da studente, aveva esplorato l'America Latina, gli Stati Uniti e il Canada; successivamente visitò il Nord Africa e il Medio Oriente. Conosceva l'Europa a fondo e credeva in un destino comune che un giorno l'avrebbe unita. Invitato da Mussolini, incontrò Hitler a Berlino e Churchill a Londra.
Si adoperò disperatamente, rischiando la sua carriera politica, per evitare che l'Europa precipitasse in un'altra guerra. Tuttavia, le rivalità e gli odi franco-anglo-tedeschi prevalevano. E da Mosca, Stalin mirava a sfruttare questi conflitti per imporre il comunismo in Europa una volta che fosse stata prosciugata.
La guerra scoppiò, iniziando in Polonia nel 1939, nell'Europa occidentale nel 1940, per poi diventare la Seconda Guerra Mondiale nel 1941.
Tutto cambiò. La bandiera con la svastica sventolava dal Polo Nord fino alla frontiera spagnola e alle coste della Grecia. Ma la guerra civile europea proseguiva tra tedeschi e britannici. Stalin, dal suo rifugio moscovita, attendeva il momento per porre fine al conflitto e raccogliere i frutti. Hitler lo anticipò, invadendo l'URSS il 22 giugno 1921. Per l'Europa era un tiro di moneta: vincere Hitler o Stalin.
Fu allora che migliaia di giovani volontari da tutta Europa si alzarono, comprendendo che il destino delle loro nazioni era in gioco. Alla fine, furono 600.000 europei, non tedeschi, a combattere sul Fronte Orientale, portando decine di divisioni in più alla Waffen SS.
La Waffen SS era l'esercito d'assalto europeo, sia ideologico che militare. I tedeschi, 400.000, erano in minoranza. Era, per la prima volta, un vero esercito di un'Europa unita, forte di un milione di giovani combattenti.
. Ognuna di quelle divisioni è destinata a fornire al suo popolo, dopo le ostilità, una struttura politica liberata dai nazionalismi ristretti. Tutti conducono la stessa battaglia.
Tutti hanno la stessa ideologia. Tutti vogliono lo stesso assembramento. Tutti sono diventati camerati. Di tutta la guerra europea 1940-1945, il fenomeno Waffen S.S. è il fenomeno politico-militare meno conosciuto, e, forse, il più importante.
LEON DEGRELLE ne fu uno dei guerrieri più famosi. Partito soldato semplice, guadagnando tutti i suoi gradi, da caporale a generale, per «meriti eccezionali in combattimento», conducendo 75 a corpo a corpo, ferito numerose volte, decorato con le più alte onorificenze: il collare della Ritterkreuz, le Fronde di Quercia, la Croce d'Oro Tedeica, il distintivo d'oro dei combattimenti ravvicinati, la Medaglia d'Oro dei Feriti, ecc.
Nel corso della notte che segui la fine della Seconda Guerra Mondiale, LEON DEGRELLE riuscì a sfuggire alla capitolazione superando l'Europa intera in aereo, mitragliato lungo più di duemila chilometri, per schiantarsi, gravemente ferito, davanti il porto di San Sebastian in Spagna.
E' vissuto sino alla fine del marzo 1994, in esilio, a Malaga, in una casa in cui la storia e l'arte si accoppiano. Per lui, non vi è politica senza conoscenza della Storia, non vi è elevazione dei popoli senza partecipazione alla bellezza. Dovunque, da lui, il passato più esaltante e la perfezione delle forme alimentano l'ispirazione.
L'opera di LEON DEGRELLE fu sempre epopea e poesia. Ad ognuno dei suoi passi, la grandezza di Roma, i suoi marmi, i suoi bronzi, i suoi vetri lievi ed armoniosi lo accompagnano. E la grazia dei colonnati arabi. E la gravità dell'arte gotica. E la sontuosità del Rinascimento e del Barocco. E la gloria delle sue bandiere.
Onore alla sua memoria!
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mercoledì 24 aprile 2024

25 APRILE 1945



STORIA:

Il 25 aprile 1945 non ci fu alcuna insurrezione nelle grandi città, a cominciare da Milano, dove i fascisti inquadrati in piazza Dante e in piazza S. Sepolcro, lasciarono indisturbati la città verso le 5 del mattino dell’oramai 26 aprile.
Il CLNAI ,che doveva subentrare nella autorità di governo, uscito dai comodi rifugi curiali, per mancanza di uomini dovette far occupare le sedi governative, a cominciare dalla Prefettura di Corso Monforte lasciata da Mussolini, da reparti della Guardia di Finanza, passata all’ultimo minuto con la cosiddetta Resistenza.
Di partigiani: neppure l’ombra.
Tutti gli storici seri, hanno potuto accertare, anche con testimonianze di persone del posto e non politicizzate, che il 25 aprile la vita in Milano proseguì tranquilla, cinema e ristoranti compresi, per tutto il giorno, anche se il fantasma del CLNAI aveva proclamato l’insurrezione, ma tranne alcuni scioperi tranviari e negli uffici pubblici, qualche agitazione nelle fabbriche di periferia, qualche sirena che veniva messa in azione, nessuno se ne era accorto.
Oggi sappiamo che tutti i presunti resoconti di gesta partigiane, in quel giorno, sono pure invenzioni, che le foto, fatte a posteriori, con partigiani armati di tutto punto che fingono di affrontare un inesistente nemico, sono scenografie da set, che anche il giorno dopo, il 26 aprile, in una Milano dove oramai i fascisti se ne erano andati verso Como, alcuni gruppi di partigiani , si azzardarono a mettere fuori la testa e a presidiare alcune grandi strade, ma in genere la città non li vide proprio, tanto che ci furono vari fascisti che vi capitarono a passare, anche in camicia nera, e non furono per nulla disturbati.
Solo il 27 aprile, arrivarono in Milano, assieme ad alcune avanguardie delle truppe Alleate, alcune “divisioni” di brigate Garibaldi e simili, tutte in divise nuove fiammanti di marca americana, ad attestare che questi “eroici” partigiani, fuggiti in montagna proprio per evitare di fare la guerra, di fatto non l’avevano fatta proprio.
Fu allora che le file della Resistenza si infoltirono dei cosiddetti “partigiani dell’ultim’ora”, quelli che si iscrissero ai CLN sui banchetti di strada e nelle sedi improvvisate, e nel clima festaiolo divennero tutti partigiani. In seguito si iscrissero alle associazioni partigiane: sono quelli che poi andavano dicendo: “io ho combattuto contro i fascisti” e ci rimediarono anche qualche pensioncina resistenziale.
Questa è la verità storica di un inesistente 25 aprile quale giorno di “liberazione”.
Ma quel giorno, simbolicamente, avvenne invece, questa si, la fine della nostra patria occupata, da allora e per sempre, dallo straniero.
gli alleati imposero le loro leggi, pretesero l’abolizione delle grandi riforme sociali della RSI e la riconsegna delle imprese nelle mani degli industriali, imposero al nostro paese l’adeguamento al sistema finanziario occidentale, un sistema di usura e rapina,
i esportarono la coca cola, lo chewing-gum, i flipper e con essi il vizio, le droghe, la corruzione, ma soprattutto il modello way of life americano che è significato la fine di tutte le nostre culture e tradizioni.
E da quel 25 aprile 1945 non ci siamo più liberati, anzi oggi con 113 basi straniere sul nostro territorio, abbiamo perso ogni minimo residuo di sovranità nazionale.
Possono quindi festeggiare questa fittizia data del 25 aprile tutti i democratici, i degenerati, le destre reazionarie, e accozzaglie simili.
ridicolo è invece il festeggiamento delle sinistre, quelle che si spacciavano per comunisti: per loro il 25 aprile con l’arrivo delle truppe americane era la liberazione, un momento dopo gli americani diventarono gli imperialisti da combattere.
E questo fino a quando quel “mondo occidentale”, che loro stessi avevano contribuito ad affermare, non li ha totalmente fagocitati, trasformati in compagni al caviale, poi in neoradicali, quindi in liberal, e addio comunismo: svampito, imploso con tutta la sua utopia.
Ci sarebbe da chiede ai “compagni”: 25 aprile, ma che cazzo vi festeggiate?!

Maurizio Barozzi