martedì 13 luglio 2010

La critica della reazione

LA SCUOLA E IL ’68.

"I contestatori distruggono quel che il potere neo capitalistico vuole abbattere… usano contro il neo capitalismo armi che portano in realtà il suo marchio di fabbrica e sono quindi destinati a rafforzare il suo dominio”


Pierpaolo Pasolini.



Abbiamo letto con vivo interesse lo scritto “Insieme per una nuova etica politica” e, dobbiamo aggiungere, non senza un malcelato imbarazzo. Nonostante i buoni propositi del titolo non si sono sinora intravisti altrettanto buoni propositi per “rimanere insieme”; ma, unicamente, accese invettive! Non che questo sia oggettivamente deprecabile, però…
Veniamo al dunque. In primo luogo, ci soffermeremo sulla parentesi sessantottina citata nella seconda parte dello scritto in questione. Vera è la storia di Valle Giulia e la partecipazione del MSI alla carica dell’Università Romana.
La scelta di non appoggiare e, anzi, di opporsi energicamente alla “marmaglia rossa” trova seguito e coerenza nell’opposizione alla logica della sovversione studentesca che mirava a dissolvere e distruggere l’ultimo baluardo della società civile. D’altra parte, troviamo penosa la “commedia” inscenata sulle pagine della rivista “Area”, da parte dell’On. Giulio Caradonna che, in uno scritto a sua firma, si dissociava e scaricava la sua personale responsabilità su Almirante e Michelini. In altre parole, costui si è appiccicato addosso la figura del “servo sciocco” oppure, quella più attuale dell’utile idiota. Ma tant’è. Il ’68 e la rivoluzione studentesca hanno rappresentato il punto terminale dello stato di degrado venutosi a creare all’indomani del dopoguerra. La scuola, in particolare, è stata la prima “vittima sacrificale” dei cosiddetti “Yupppies” odierni, i creativi, gli pseudo-intellettuali, di coloro i quali “volevano fare la rivoluzione”.
Parole come: “Basta con la formazione selezionativa… Distruggiamo la scuola istituzionale… Eliminiamo i professori… Evviva l’alfabetizzazione di massa…" sono state pronunciate negli anni ’70 da colui che siede sul più alto scranno dell’odierna Scuola Italiana: il ministro, Luigi Berlinguer.
Per il resto condividiamo pienamente la tesi sulla conseguente colpevolizzazione della destra e sulla sua relegazione nel “ghetto delle idee”. Ma noi confidiamo nel tempo e auspichiamo che questo “galantuomo” ci dia ragione. Concludiamo questa parte sulla Scuola e il ’68 sottoponendo all’attenzione dei lettori uno stralcio tratto da: Giorgio Almirante “Autobiografia d’un fucilatore”
Ciarrapico, Roma.


"Scuola, la mia generazione ti ringrazia. C'è tanta malinconia in questo ringraziamento perché sappiamo che non ti rivedremo più, ma con pari
certezza sappiamo che mai ti vedranno i nostri figli, i nostri nipoti. Nessun'altra istituzione è stata così spietatamente corrosa, cancellata dalla ruggine del tempo. Il che non vuol dire che tu fosti sbagliata. Eri antica. Avevi difeso tra le vecchie mura i metodi, come quei vecchi borghi toscani, umbri o marchigiani che vivono senza tempo più che fuori tempo, che rifiutano di misurarsi col ritmo imposto dall'uomo all'uomo nel nome della civiltà. Eri antica e patetica. La tua inflessibile capacità di coltivare il silenzio emergeva in ogni attimo, quando di colpo in apertura taceva e in chiusura scoppiava, al segnale di un campanello, il cinguettio dell'infanzia e il brusio dell'adolescenza. Dicono che tu fossi pedante, dispensatrice sterile e puntigliosa di inutili nozioni. Ed è strano che te lo dica la civiltà delle macchine, dei numeri, della musica dodecafonica, degli astratti e sterili simbolismi artistici. Tu, scuola, insegnavi. Insegnavi chi era Dante per farci capire quel che Dante scriveva.
Indulgevi all'eccesso delle nozioni quando la pigrizia nemica d'ogni scuola e d'ogni studio, meccanizzava l'insegnamento, lo disumanizzava. Di frequente
eri anche, pertanto, la scuola dello sbadiglio; e quando spalancavi su noi le fauci con i tuoi terribili esami di maturità, sapevi anche essere la scuola della tensione nervosa e della confusione mentale. Ma eri in ogni caso la scuola dell'esempio, perché eri la scuola del dovere. Le tue cattedre erano troppo alte, in parecchi casi troppo elevate e lontane; ma il fatto che per definizione fossero ad un superiore livello di sapere, accreditava nella nostra coscienza, forse nel nostro istinto, il
convincimento che si trovassero anche ad un superiore livello di civiltà e di moralità. Sicché tu, scuola non ti limitavi ad
insegnare, con quei tuoi
modi e metodi antichi. Tu ci educavi. Ciò significa che sapevi farti amare. Anelavamo, in quell'ambiente di dovere e quindi di compressione, alla fine della lezione, alla fine della mattinata, agli intervalli, alla fine dell'anno, alle vacanze; ma, licenziati o diplomati o "maturi" tornavamo a trovarti; e non di rado i1 rapporto d'amicizia che il timore reverenziale aveva prima impedito, si manifestava dopo; e rivedere il professore, il preside, a scuola finita, era una piacevole emozione. C'è chi tra noi, cinquantenni, sessantenni, rivede i tuoi non restaurati edifici, antica scuola, e quasi non li riconosce per le scritte che li deturpano, per l'inciviltà che li stringe in stato d'assedio; e vorrebbe poter rientrare inosservato e tranquillo, non per ritrovare la propria giovinezza, ma per cercare di raggiungere, lì dentro, lo spirito di una generazione che entro quelle pareti apprese a conoscere se stessa".

Giorgio Almirante.

Arrivederci alla prossima!

Nessun commento:

Posta un commento