A ottanta anni dal vile attentato di VIA RASELLA, propongo la interessante lettura di questo testo redatto dal Prof. Antonio Pantano.
Luigi Sardi, con correttezza rara nel giornalismo italiano, fotograficamente riproduce nello intero secondo capitolo la pubblicazione, èdita da "Alto Adige - Corriere delle Alpi" nel 1979, redatta da Umberto Gandini, col titolo "Quelli di via Rasella - La storia di sudtirolesi che subirono l'attentato del 23 matzo 1944 a Roma"
Gandini, 35 anni dopo i fatti, riuscì ad intervistare alcuni superstiti dell'attentato, tutti residenti in Italia. E non solo sei di essi (Franz Bertagnoli di Caldaro, Konrad Sigmund di Luson, Franz Cassar di Termeno, Joseph Praxmarer di San Giacomo, Peter Putzer di Varna, Sylvester Putzer di Varna), ma i documenti riguardanti i 33 assassinati proditoriamente - i nomi dei quali sono oggi esposti solo in elenco affisso nel santuario cattolico alpino di Pietralba, nel comune di Nova Levante, in provincia di Bolzano - confermano che tutti furono cittadini italiani praticanti fluenti parlate italiana e tedesca, tanto che, da giovani, adempirono la leva militare nello esercito italiano in Italia e nelle colonie italiane d'oltre mare, e sempre ebbero nostro passaporto.
La ferocia falsificatrice degli stolti antifascisti servili verso i nemici Alleati, ignorò le vittime civili italiane, pur ammettendo che tutte le vittime militari, inserite nella 10.a ed 11.a compagnia del battaglione Bozen proprio perché nati e residenti nella provincia italiana di Bolzano, erano di età matura ed avanzata (quasi tutti quarantenni) e marciavano senza armi addosso, perché riservisti con compiti ausiliari burocratici di polizia, dopo esercitazione mattutina, verso gli alloggi siti all'ultimo piano del palazzo del Viminale. Con lo stesso cinico criterio di falsità si tentò di far apparire sia i feriti (oltre ottanta, tea i quali molti mutilati irreparabilmente) che i morti come "poliziotti delle feroci SS", mentendo senza pudore per tentare di giustificare la destinazione "logica e antifascista" dello attentato, che fu attuato intenzionalmente per provocare la reazione (auspicata dagli attentatori e dagli organizzatori nella inevitabile grande quantità ed effetto) dei comandi militari germanici, secondo le leggi marziali vigenti in ogni Stato e Paese in guerra.
Criterio che gli Alleati adottarono sistematicamente in maniera maggiore sulla base di 100 ostaggi contro ogni loro militare ucciso. Ma l'identica ferocia faziosa ha inventato, per fola retorica, la figura del maggiore Herbert Kappler [ Stoccarda, 23 settembre 1907 - Soltau, 9 febbraio 1978 ] come quella di un sadico aguzzino, indicato regista e partecipe di episodi degli accadimenti romani di guerra dopo 1'8 settembre 1943, sempre e solo indicato col suggestivo epiteto di "boia", certamente per sviare dalla realtà dei fatti responsabilità non consone ad un ufficiale germanico, che aveva modesto ruolo esecutivo nei servizi di polizia. Figura falsificata ribaltata dalle testimonianze non solo dei citati sei sopravvissuti, ma, per l'intero capitolo quinto che il prevenuto ed antifascista Luigi Sardi ha pubblicato, emerge come di indole contraria alla consolidata fama imbastitagli addosso, in spregio ad ogni verità.
La figura di Herbert Kappler è stata creata artificiosamente dopo il 1945 da falsari della storia prezzolati (identici a coloro che vilmente fomentarono l'assassinio bestiale del dottore Donato Carretta, direttore delle carceri romane di Regina Coeli, eseguito il 14 settembre 1944 a furor di popolo aizzato da mestatori provocatori comunisti sotto gli occhi compiaciuti delle autorità militari Alleate, e della loro gendarmeria, che su Roma imperavano in regime di occupazione).
Ancor oggi qualche mentecatto addebita a Kappler ruoli, iniziative e potere che mai ebbe e mai possibili per il suo grado militare di maggiore, a lungo portato, ed infine di tenente colonnello della polizia delle SS.
Per sminuire la portata vile dello eccidio criminale compiuto a Roma in via Rasella (ideato e voluto dagli Alleati, mentre le loro numerose e ben munite truppe ristagnavano incapaci, bloccate. Battute e decimate sul fronte di Cassino e su quello tra Nettunia, Ardea e l'E42 alla periferia della Capitale, arginate da impari - assai minori nel numero e nella potenza degli armamenti - militari italiani e germanici) i gazzettieri e gli imbonitori di aneddoti successivi millantarono la storia in pedissequa linea con le disposizioni imposte dai loro soprastanti anglo-americani.
Così si esaltò con enfasi solo la sofferenza ed il patimento delle 335 vittime (falsando e prescindendo dalle ragioni giuridiche per le quali furono imprigionate, ad esse va rivolto ogni umano rispetto) sacrificate per rappresaglia legittima nelle cave di pozzolano di Tor Marancia presso la via Ardeatina, negando e continuando a tacere ancor oggi persino i nomi di tutti coloro che, altrettanto incolpevoli ed ignari, militari comunque disarmati e civili, 24 ore prima perdettero la vita per azione vigliacca. A costoro mai alcuno della "ufficialità" civile e religiosa destinò un cenno di umana considerazione, giustificando con falsità il casuale ruolo di vittime nello assassinio in via Rasella.
Kappler trascinò l'intera esistenza fino al 15 agosto 1977, con trentennale detenzione in ergastolo isolato, nella ipocrita dannazione totale impostagli da faziosi bugiardi, inetti ad approfondire le verità storiche. Fu creato artificiosamente sul caso Kappler un "capro espiatorio" utile e necessario per tacere molte altre implicazioni di personaggi di basso cabotaggio che sui drammatici accadimenti di quei tempi hanno tratto lustro e vantaggi di carriera successiva. Ciò non solo nel campo italiano, ma anche in quello vaticano.
E la stessa dannazione perdurò ancor più dopo, oltre la morte avvenuta per cancro devastante il 9 febbraio 1978, finalmente libero, in Germania.
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35 giorni dopo il noto politico Aldo Moro fu "sequestrato" in un feroce, cinico "gioco" dialettico partitico tra fazioni italiane, e tre esatti mesi dopo fu assassinato. O, come usano scrivere impropriamente i giornalisti italiani, "giustiziato".
Ma dell'altro che Luigi Sardi ha trattato nel libro taccio per ora, specie in relazione a ciò che riguarda la vicenda della riserva aurea "italiana", essendomi ripromesso di trattare altrove, come ho fatto, sulla base di fondamenti inoppugnabili, a proposito dell'opera del ministro delle finanze della Repubblica Sociale Italiana prof. Domenico Pellegrini Giampietro, e circa la quale anche da Sardi vengono sostenute imprecise orecchiate e rimbalzate non verità.
paragrafo liberamente estrapolato dal poderoso volume di "Antonio Pantano, EZRA POUND & Pellegrini, Ed. Vita NOVA, pagg.593-594-595."
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