La vittoria mutilata, il biennio rosso, Piazza S. Sepolcro
di Leonardo Foscoli
Terminato il 1° Conflitto Mondiale nel 1918, l'Italia si trovò dinanzi a uno dei periodi più difficili della sua storia post-unitaria; infatti così come era accaduto nel resto dell'Europa, anche nel nostro paese il regime liberal-democratico aveva subito un lento ma irrefrenabile logoramento. La guerra, che aveva coinvolto milioni di uomini, presentava adesso la seconda parte del suo triste conto; si doveva non solo smobilitare un esercito, ma anche e soprattutto riconvertire un economia che fino ad allora sugli eventi bellici aveva costruito la fortuna della grande borghesia dell'industria, della finanza e dei grandi commercianti.
Ma il dato che forse emerge con maggior evidenza è la fragilità della vita politica e sociale del paese in quegli anni, infatti mi trovo assolutamente d'accordo con quegli storici, i quali sostengono che il dopoguerra in Italia portò alla ribalta quei problemi che la guerra aveva solo marginalmente sopito. (1)
Inoltre ritengo che l'affermarsi in modo cosi rapido del movimento fascista in Italia, quanto di quello nazista in Germania, fu più il frutto degli errori e di crisi dei movimenti e partiti democratici dell'epoca, piuttosto che la forza e la determinazione nel prendere il potere da parte dei primi. Non esiste poi una causa univoca con cui spiegare l'ascesa del fascismo in Italia; in realtà si era in presenza di una sene di avvenimenti e circostanze, concatenate tra loro, che favorirono questo movimento di reazione (2) e lo misero in grado di stravolgere l'ordinamento democratico che fino ad allora era esistito.
Cercherò allora di delineare nel modo più sintetico possibile le principali cause che spianarono la strada al movimento fascista:
1. La sconfitta diplomatica italiana a Versailles nel 1919 si tradusse immediatamente in una congiuntura economico sociale particolarmente difficile per il paese, acuita poi da quel senso di frustrazione sia da parte di coloro che si erano sacrificati in trincea, sia da parte di chi quella guerra l'aveva sempre osteggiata. Inoltre il panorama politico era sempre più preda della debolezza dei vari esecutivi succedutisi già durante il conflitto. (3)
2. La vita del paese durante la guerra era scandita in buona sostanza dai bollettini degli eventi bellici e da tutto ciò che intorno al conflitto ruotava. Adesso invece si doveva fare i conti con la smobilitazione di un esercito che per la sua gran parte era costituito da braccianti, operai, piccoli e medi borghesi. Ad essi si presentava un conto altissimo costituito da un tasso d'inflazione elevato, da salari ridotti al minimo e per di più da una carenza nel recupero delle forze lavorative.
3. In Italia mancava una forte tradizione democratica, come del resto breve e combattuta era la sua storia unitaria; in fondo la guerra era stata fatta anche per continuare quel processo di annessioni iniziato nel 1848 da Carlo Alberto, Re di Sardegna.
4. Forte durante il conflitto era stata la presenza del Partito Socialista nelle trincee; molti furono i casi di sedizione nelle Forze Armate ed altrettante le fucilazioni punitive di massa. Allo stesso modo e con forse maggior determinazione, quella stessa organizzazione politica fece valere la sua forza nel dopoguerra, potendo contare sull'appoggio sia dei braccianti agricoli, sia degli operai della grande industria.
Ne emerge quindi un quadro di forti tensioni politico sociali, di grandi rivendicazioni democratiche, di preoccupante e crescente fermento in quelle classi che tanto avevano dato e che poco o nulla stavano ricevendo. Fra la fine del 1919 e l'inizio del 1921 si concretizzò poi quel periodo meglio conosciuto come il biennio rosso; si succedettero con spaventosa continuità scioperi e manifestazioni nelle industrie più importanti nel nord del paese, nonché scontri fra leghe di braccianti agricoli e forze dell'ordine nelle campagne.
In questo clima di tensione s'inserisce la vicenda politica del movimento dei Fasci di Combattimento fondati a Milano in Piazza S. Sepolcro il 23 Marzo del 1919 e quella tutta personale di Benito Mussolini, il quale veniva da un passato molto travagliato e discusso. A tutt'oggi infatti oggetto di studio da parte degli storici non è solo il Mussolini dittatore, ma anche il Mussolini socialista, antinterventista, anticlericale e per finire antimassone. È questo l'aspetto che più interessa trattare in questo studio: vedere cioè come reagì la nostra istituzione non solo dinanzi ai fatti tragici del primo dopoguerra, ma anche dinanzi a quel movimento di reazione fondato da un uomo che da sempre si era dichiarato un acerrimo nemico della liberomuratoria.
Per far questo è necessario partire non dal 1919, bensì dagli anni che precedettero di poco il 1° Conflitto Mondiale, ovvero il biennio 1913-1914, in cui forse per la prima volta vi furono prese di posizione ufficiali contro la Massoneria da parte di esponenti di alcuni gruppi o partiti politici italiani.
Mussolini antimassone per convenienza
Il 17 Aprile 1913 con un articolo sull'Idea Nazionale, Luigi FEDERZONI (4) accusò la Massoneria di minacciare la disciplina militare e il principio gerarchico, nonché di esercitare una deleteria influenza su tutta la politica nazionale. Questa posizione fu ampiamente condivisa dal mondo cattolico, il quale da anni soleva chiamare la nostra istituzione: la setta. Come è facile intuire la Massoneria, pur vantando fra i suoi affiliati numerosi e validi esponenti nelle gerarchie politiche, militari ed economiche, non godeva certamente di buona reputazione. Anche se ad essa ci si era rivolti in mille e difficili occasioni, per riuscire a districare matasse ingarbugliate che solo la forte comunione fra i fratelli fu in grado di risolvere con successo.
Ma quando nel 1914 (5) al congresso del PSI di Ancona venne presentato un ordine del giorno dai delegati Mussolini e Zibordi, la situazione cominciò ad assumere aspetti preoccupanti.
Infatti proprio sotto la spinta di quel Mussolini, allora vivace direttore dell'Avanti, venne proposta l'immediata espulsione di tutti gli iscritti al partito, qualora fossero risultati affiliati alla Massoneria.
Mussolini stesso, in un emendamento alla proposta, ebbe a dire: Un socialista che entra in Loggia cambia come un animale che, posto in una cantina buia, muta il colore del proprio pelo! (6) Non solo, ma il fervente massimalista continuò affermando: I socialisti che fossero in Massoneria dovranno cessare ogni rapporto con l'istituzione. Se ciò non dovesse avvenire, l'espulsione sarà la conseguenza logica ed immediata.
Quella proposta fu accettata e lo stesso Matteotti la inserì nell'ordine del giorno, onde evitare di dar seguito a processi inquisitori o ad espulsioni su semplici sospetti.
Resta da capire allora perché dopo un tale aperto atteggiamento di ostilità verso la Massoneria nel suo complesso, vi fu da parte dei massimi vertici dell'istituzione un sentimento di simpatia e di appoggio alle imprese mussoliniane.
Ho volutamente usato il termine al plurale perché i rapporti con il futuro dittatore iniziarono molto tempo prima della marcia su Roma; infatti nel 1914, stando alle rivelazioni di un 33.•. piacentino, il POPOLO D'ITALIA, giornale voluto e fondato da un Mussolini espulso dal PSI, fu interamente sovvenzionato dal Grande Oriente.
I fatti, cosi come li riporta lo stesso fratello di Piacenza, si possono così riassumere: La somma totale, £. 6.500.000, venne versata a Mussolini a Milano previa la firma di una convenzione finanziaria-commerciale nel palazzo dove aveva sede il Capitolo regionale lombardo. Vi presenziarono per l'ambasciata francese il dott. Boudin, per la Massoneria gli ispettori regionali avv. Renzo Garbagni e Francesco Timpanato, assistiti da me in rappresentanza dell'on. Alberto Lapegna (Gran Maesto Aggiunto di Palazzo Giustiniani). Avevo fatto eseguire le fotografie degli assegni che conservai fino al furto fascista con la copia della convenzione. Così nacque il Popolo d'Italia. (7)
Ora se è vero che non possiamo prendere come oro colato quanto affermava questo nostro carissimo fratello, è altrettanto importante constatare che la nascita del quotidiano mussoliniano fu certamente dovuta ad interventi esterni sia al partito socialista (8), sia ai movimenti neutralisti dell'epoca. In realtà si sa per certo che il marchese Antonino di San Giuliano, a quell'epoca Ministro degli esteri, chiese a Filippo Naldi, direttore del RESTO DEL CARLINO di Bologna, di occuparsi di Mussolini; lo stesso Naldi proporrà poi all'ex direttore dell'Avanti, di fondare un nuovo quotidiano, promettendogli di trovare le malleverie e il denaro occorrenti. E il punto sta proprio qui! Infatti sia San Giuliano che Naldi erano entrambi massoni, quindi è da supporre che si fossero rivolti all'interno dell'Istituzione per riuscire nell'impresa.
Non a caso durante il conflitto, il POPOLO D'ITALIA fu l'unico quotidiano a difendere la Massoneria italiana dagli attacchi che gli provenivano da più parti ed, emblematico fu il caso relativo allo scandalo di Parigi (9), dove si accusò la Massoneria italiana di aver attentato agli interessi nazionali (l'internazionale massonica aveva messo in dubbio l'italianità delle terre irridente!). Quest'avvenimento male interpretato sia dalla stampa, sia (malignamente) dagli avversari della liberomuratona, fecero affermare a G. Salvemini: Hai ragione [rivolgendosi a G. Prezzolini] che il Popolo d'Italia è infetto da imperialismo. Chi lo finanzia è la Massoneria e la Massoneria è quello che è: una collezione di cretini che si è buttata a volere la Dalmazia senza sapere quel che facesse ed ha fatto a Parigi la figura che tutti sanno!
Dopo la guerra e le conseguenze che questa aveva portato, troviamo un Mussolini in perfetta sintonia con la Massoneria, identiche sono le aspirazioni e le preoccupazioni. Il primo deve trovare un nuovo terreno di conquista (10) dato che i socialisti lo considerano un traditore, la nostra istituzione è certamente uscita dal conflitto molto più forte di quando era cominciato tutto e su quel clima d'interventismo e di vittoria, con tutti i suoi effetti psicologia e politici, punterà per uscire dall'empasse. Non è quindi un caso che l'allora Presidente del Consiglio, V. E. Orlando, mandi un telegramma al Gran Maestro dell'epoca Ernesto Nathan, ringraziando la Massoneria Italiana per il grande contributo morale e umano fornito durante il conflitto.
Sia Mussolini che la nostra Istituzione faranno leva su quel quinto stato costituito dai reduci, dagli interventisti e dagli insoddisfatti di Versailles, per riuscire a travolgere l'ordine che fino ad allora aveva governato il paese. Certo la Massoneria operò tenendo presenti sempre quegli ideali di LIBERTÀ - UGUAGLIANZA - FRATELLANZA, mentre Mussolini fece leva sulla violenza, sulla lotta senza regole agli avversari politici: sull'intolleranza. Ma questo non emerse in Piazza S. Sepolcro al n. 9, nei locali dell'Alleanza industriale e commerciale di Milano messi a disposizione dal Fratello Cesare Goldmann; in quell'assise forse per la prima e ultima volta i Fasci Italiani di Combattimento assunsero una veste rivoluzionaria ma al contempo democratica.
Erano presenti tra gli altri: Michele Bianchi, Cesare Rossi, Roberto Farinacci e Giovanni Mannelli. Tutti massoni certi, tutti avranno nel ventennio incarichi di rilievo nel regime, escluso Cesarino Rossi. Allora furono buttate le basi per la costruzione di uno stato democratico e soprattutto repubblicano! Nel manifesto s'inneggiava all'abolizione dei titoli e privilegi nobiliari, alla requisizione delle terre a favore dei contadini, alla costituzione di organismi di controllo del sistema lavorativo. Insomma una vera e propria democrazia del lavoro.
Come è noto a tutti, il programma dei Sansepolcristi rimase lettera morta; i fascisti dopo l'impresa fiumana di D'Annunzio (11) e le sconfitte elettorali subite sia nel 1919 che nel 1921, divennero sempre più forza extraparlamentare e tesero a spostare nelle campagne con le spedizioni squadristiche la loro attenzione.
L'evento folcloristico della marcia su Roma, l'arrendevolezza del Sovrano e la successiva presa del potere furono solo la diretta conseguenza di un sistema politico istituzionale che non si stava rendendo conto di quanto stava accadendo e di quanto sarebbe accaduto.
Torrigiani: il Gran Maestro della giovinezza
Torrigiani venne eletto Gran Maestro il 23 giugno 1919, all'indomani della conclusione del conflitto e del vergognoso trattato di pace di Versailles. Poco mesi dopo per rivendicare le terre promesse all'Italia dall'Intesa nel Trattato di Londra, Gabriele D'Annunzio costituiva un corpo di legionari e partendo da Ronchi si portava all'occupazione di Fiume. Proprio in quell'occasione Domizio Torrigiani intervenne sul presidente del consiglio Nitti per garantire la sopravvivenza dell'impresa del poeta ed offrì, tramite l'aiuto del Fratello sen. Giovanni Ciraolo (Presidente della CRI), aiuti ai legionari ed alla popolazione di Fiume.
Non solo, ma come conferma anche Mola (12), il Grande Oriente sovvenzionò con danaro, viveri e materiali l'impresa fiumana, che vedeva partecipi tra le fila dei legionari numerosi suoi affiliati. (13)
Quindi se è vero quanto fino ad adesso abbiamo affermato, ovvero la natura strettamente interventista dell'impresa fiumana, il forte ascendente che Mussolini aveva presso i reduci di guerra ed in particolare gli arditi (14), il forte legame che univa molti massoni al fascismo delle origini e in particolare a quell'ideale di democrazia del lavoro (15) espresso dal manifesto del fascismo, non è fuor di luogo ritenere che la Massoneria e Torrigiani in primis, non guardassero con attenzione e simpatia al movimento che stava in quel momento nascendo.
Proprio Torrigiani in un suo discorso il 9 maggio 1920 (16) aveva detto: Noi vogliamo che la patria sia disciplina morale inviolabile per tutti e sia il bene effettivo di tutti. E che quando chiama le si concedano parte degli averi come le si dà l'intera vita, e vogliamo che lo Stato sia retto e dominato dai lavoratori del pensiero e dai lavoratori del braccio affratellati. Insomma il Popolo vero d'Italia, sì grande che soltanto per la grandezza sua possiamo serbare intatta, in momenti oscuri e turbolenti, la fede negli alti destini della Nazione.
Ma possibile che nessuno tra i Fratelli si ricordasse dell'ordine del giorno del 1914 presentato al congresso socialista di Ancona? Possibile che si siano tutti lasciati estasiare dai proclami mussoliniani della prima ora? Forse vi fu qualche voce fuori del coro, come il Gen. Luigi Capello (17), massone e militare d'indubbia fama, il quale già nel 1919 espresse dubbi sulla democraticità dei programmi di Mussolini e sul suo opportunismo nel cercare l'aiuto della Massoneria nei momenti difficili. La liberomuratoria italiana scoprirà presto l'altra faccia della medaglia, prima con l'ascesa violenta al potere nel 1922, poi con il rifiuto del sistema democratico parlamentare nel biennio 1923-1925 e, per finire, con le leggi fascistissime del 1925-1926 e le devastazioni delle logge da parte delle squadre fasciste.
La storia, di quest'errore di valutazione, termina con la Legge sulle Associazioni Segrete del 20 novembre 1925 che dichiarerà la Massoneria fuorilegge e con la morte di quel Gran Maestro che forse un po' tardi capì quali erano le vere intenzioni di Mussolini. (18)
NOTE
(1) F. Gaeta, Democrazie e totalitarismi dalla prima alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1994, pag.234 e ss.
(2) Non può che essere avvallata infatti quella teoria che delinea il movimento fascista delle origini come un'organizzazione di rivolta contro un sistema ormai logorato e stanco di gestione politica del paese, piuttosto che una forma organizzata di ideologia politica, in altri termini un partito.
(3) Solo per dare un dato statistico, dal 1915 fino all'ascesa di Mussolini nel 1922, l'Italia ebbe ben 9 diversi governi.
(4) Luigi Federzoni, oltre ad essere in quegli anni uno dei principali esponenti del partito nazionalista, fu da sempre un nemico della nostra istituzione. Quando grazie al fascismo riuscì a scalare le gerarchie del potere, non perse l'occasione di perseguitare numerosi fratelli e di accusare molti dei suoi camerati di aver fatto parte della liberomuratoria al fine di screditarli dinnanzi a Mussolini.
(5) Cfr. Nei giorni dal 26 al 29 Aprile 1914.
(6) In G. Vannoni, Massoneria, Fascismo e Chiesa Cattolica, Ed. Laterza, Bari, 1980, II ed., pg.18-19.
(7) In G. Vannoni, op. ult. cit., pg.40.
(8) Da tutti i socialisti Mussolini fu sempre considerato un traditore, un rinnegato, un soggetto di cui non fidarsi né umanamente, né politicamente.
(9) Dal 28 al 30 giugno 1917 si erano radunati nella capitale francese i rappresentanti massonici delle nazioni intesiste e neutrali per definire le condizioni della pace. Da quei lavori era emerso l'abbozzo della futura Società delle Nazioni, nonché un precario accordo fra i fratelli italiani e quelli serbi sulle terre irredente della Dalmazia e di Fiume.
(10) Mussolini è stato sicuramente uno dei più abili opportunisti che la storia abbia mai conosciuto. Non solo, ma fu capace di trovarsi, almeno fino al 1936, nel posto giusto al momento giusto.
(11) Di cui si da per certa l'affiliazione nella R.•.L.•. XXX Ottobre di Fiume.
(12) Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Ed. Bompiani, Milano, 1999, III ed.
(13) Per l'affiliazione di D'Annunzio vedi nota cit. n.12.
(14) Non solo questa specialità dell'esercito costituiva il nucleo centrale della forza del vate, ma va ricordato che gli stessi furono concepiti e fondati da un ufficiale dell'esercito, massone.
(15) Peraltro già ricordato dallo stesso Torrigiani nel suo discorso d'insediamento, Riv. Mass. giu.-set. 1919.
(16) Domizio Torrigiani, Discorso all'Assemblea della Massoneria Italiana del 9 Maggio 1920, Ed. Travi, Palermo, 1920.
(17) In G. Vannoni, op. ult. cit.
(18) Torrigiani con un decreto del 22 Novembre 1925 scioglierà tutte le Logge d'Italia e il 24 Aprile del 1927 morirà confinato dall'OVRA a Lipari.
BIBLIOGRAFIA GENERALE
1. AA.VV., I giorni della storia d'Italia - Dal Risorgimento ad oggi, Ed. de Agostini, Milano, 2000, VII ed.
2. Massimo DELLA CAMPA e Giorgio GALLI, La Massoneria Italiana, FrancoAngeli editore, Milano, 1999, II ed.
3. Vittorio FOA, Questo Novecento, Ed. Einaudi, Torino, 2000, V ed.
4. Franco GAETA, Democrazie e totalitarismi dalla Prima Guerra Mondiale alla Seconda Guerra Mondiale, Ed. Il Mulino, Bologna, 1994, III ed.
5. Denis MACK SMITH, Mussolini, Ed. BUR, Milano, 1994, IV ed.
6. Aldo A. MOLA, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Ed. Bompiani, Milano, 1999, III ed.
7. Michele MORAMARCO, a cura di, Enciclopedia Massonica, Ed. Bastogi, Foggia, 1992.
8. Benito MUSSOLINI, Contro la Massoneria, I discorsi (1925), Ed. Ulrico Hoepli, Milano, 1934, II ed. def.
9. Domizio TORRIGIANI, Discorso all'Assemblea della Massoneria Italiana del 9 Maggio 1920, Ed. Travi, Palermo, 1920.
10. Domizio TORRIGIANI, Massoneria e Fascismo, raccolta di articoli, balaustre e circolari dal 1919 al 1925, Archivio Fondo Lattanzi, Biblioteca del Grande Oriente d'Italia, Roma.
11. Gianni Vannoni, Massoneria, Fascismo e Chiesa Cattolica, Ed. Laterza, Bari, 1980, II ed.
Terminato il 1° Conflitto Mondiale nel 1918, l'Italia si trovò dinanzi a uno dei periodi più difficili della sua storia post-unitaria; infatti così come era accaduto nel resto dell'Europa, anche nel nostro paese il regime liberal-democratico aveva subito un lento ma irrefrenabile logoramento. La guerra, che aveva coinvolto milioni di uomini, presentava adesso la seconda parte del suo triste conto; si doveva non solo smobilitare un esercito, ma anche e soprattutto riconvertire un economia che fino ad allora sugli eventi bellici aveva costruito la fortuna della grande borghesia dell'industria, della finanza e dei grandi commercianti.
Ma il dato che forse emerge con maggior evidenza è la fragilità della vita politica e sociale del paese in quegli anni, infatti mi trovo assolutamente d'accordo con quegli storici, i quali sostengono che il dopoguerra in Italia portò alla ribalta quei problemi che la guerra aveva solo marginalmente sopito. (1)
Inoltre ritengo che l'affermarsi in modo cosi rapido del movimento fascista in Italia, quanto di quello nazista in Germania, fu più il frutto degli errori e di crisi dei movimenti e partiti democratici dell'epoca, piuttosto che la forza e la determinazione nel prendere il potere da parte dei primi. Non esiste poi una causa univoca con cui spiegare l'ascesa del fascismo in Italia; in realtà si era in presenza di una sene di avvenimenti e circostanze, concatenate tra loro, che favorirono questo movimento di reazione (2) e lo misero in grado di stravolgere l'ordinamento democratico che fino ad allora era esistito.
Cercherò allora di delineare nel modo più sintetico possibile le principali cause che spianarono la strada al movimento fascista:
1. La sconfitta diplomatica italiana a Versailles nel 1919 si tradusse immediatamente in una congiuntura economico sociale particolarmente difficile per il paese, acuita poi da quel senso di frustrazione sia da parte di coloro che si erano sacrificati in trincea, sia da parte di chi quella guerra l'aveva sempre osteggiata. Inoltre il panorama politico era sempre più preda della debolezza dei vari esecutivi succedutisi già durante il conflitto. (3)
2. La vita del paese durante la guerra era scandita in buona sostanza dai bollettini degli eventi bellici e da tutto ciò che intorno al conflitto ruotava. Adesso invece si doveva fare i conti con la smobilitazione di un esercito che per la sua gran parte era costituito da braccianti, operai, piccoli e medi borghesi. Ad essi si presentava un conto altissimo costituito da un tasso d'inflazione elevato, da salari ridotti al minimo e per di più da una carenza nel recupero delle forze lavorative.
3. In Italia mancava una forte tradizione democratica, come del resto breve e combattuta era la sua storia unitaria; in fondo la guerra era stata fatta anche per continuare quel processo di annessioni iniziato nel 1848 da Carlo Alberto, Re di Sardegna.
4. Forte durante il conflitto era stata la presenza del Partito Socialista nelle trincee; molti furono i casi di sedizione nelle Forze Armate ed altrettante le fucilazioni punitive di massa. Allo stesso modo e con forse maggior determinazione, quella stessa organizzazione politica fece valere la sua forza nel dopoguerra, potendo contare sull'appoggio sia dei braccianti agricoli, sia degli operai della grande industria.
Ne emerge quindi un quadro di forti tensioni politico sociali, di grandi rivendicazioni democratiche, di preoccupante e crescente fermento in quelle classi che tanto avevano dato e che poco o nulla stavano ricevendo. Fra la fine del 1919 e l'inizio del 1921 si concretizzò poi quel periodo meglio conosciuto come il biennio rosso; si succedettero con spaventosa continuità scioperi e manifestazioni nelle industrie più importanti nel nord del paese, nonché scontri fra leghe di braccianti agricoli e forze dell'ordine nelle campagne.
In questo clima di tensione s'inserisce la vicenda politica del movimento dei Fasci di Combattimento fondati a Milano in Piazza S. Sepolcro il 23 Marzo del 1919 e quella tutta personale di Benito Mussolini, il quale veniva da un passato molto travagliato e discusso. A tutt'oggi infatti oggetto di studio da parte degli storici non è solo il Mussolini dittatore, ma anche il Mussolini socialista, antinterventista, anticlericale e per finire antimassone. È questo l'aspetto che più interessa trattare in questo studio: vedere cioè come reagì la nostra istituzione non solo dinanzi ai fatti tragici del primo dopoguerra, ma anche dinanzi a quel movimento di reazione fondato da un uomo che da sempre si era dichiarato un acerrimo nemico della liberomuratoria.
Per far questo è necessario partire non dal 1919, bensì dagli anni che precedettero di poco il 1° Conflitto Mondiale, ovvero il biennio 1913-1914, in cui forse per la prima volta vi furono prese di posizione ufficiali contro la Massoneria da parte di esponenti di alcuni gruppi o partiti politici italiani.
Mussolini antimassone per convenienza
Il 17 Aprile 1913 con un articolo sull'Idea Nazionale, Luigi FEDERZONI (4) accusò la Massoneria di minacciare la disciplina militare e il principio gerarchico, nonché di esercitare una deleteria influenza su tutta la politica nazionale. Questa posizione fu ampiamente condivisa dal mondo cattolico, il quale da anni soleva chiamare la nostra istituzione: la setta. Come è facile intuire la Massoneria, pur vantando fra i suoi affiliati numerosi e validi esponenti nelle gerarchie politiche, militari ed economiche, non godeva certamente di buona reputazione. Anche se ad essa ci si era rivolti in mille e difficili occasioni, per riuscire a districare matasse ingarbugliate che solo la forte comunione fra i fratelli fu in grado di risolvere con successo.
Ma quando nel 1914 (5) al congresso del PSI di Ancona venne presentato un ordine del giorno dai delegati Mussolini e Zibordi, la situazione cominciò ad assumere aspetti preoccupanti.
Infatti proprio sotto la spinta di quel Mussolini, allora vivace direttore dell'Avanti, venne proposta l'immediata espulsione di tutti gli iscritti al partito, qualora fossero risultati affiliati alla Massoneria.
Mussolini stesso, in un emendamento alla proposta, ebbe a dire: Un socialista che entra in Loggia cambia come un animale che, posto in una cantina buia, muta il colore del proprio pelo! (6) Non solo, ma il fervente massimalista continuò affermando: I socialisti che fossero in Massoneria dovranno cessare ogni rapporto con l'istituzione. Se ciò non dovesse avvenire, l'espulsione sarà la conseguenza logica ed immediata.
Quella proposta fu accettata e lo stesso Matteotti la inserì nell'ordine del giorno, onde evitare di dar seguito a processi inquisitori o ad espulsioni su semplici sospetti.
Resta da capire allora perché dopo un tale aperto atteggiamento di ostilità verso la Massoneria nel suo complesso, vi fu da parte dei massimi vertici dell'istituzione un sentimento di simpatia e di appoggio alle imprese mussoliniane.
Ho volutamente usato il termine al plurale perché i rapporti con il futuro dittatore iniziarono molto tempo prima della marcia su Roma; infatti nel 1914, stando alle rivelazioni di un 33.•. piacentino, il POPOLO D'ITALIA, giornale voluto e fondato da un Mussolini espulso dal PSI, fu interamente sovvenzionato dal Grande Oriente.
I fatti, cosi come li riporta lo stesso fratello di Piacenza, si possono così riassumere: La somma totale, £. 6.500.000, venne versata a Mussolini a Milano previa la firma di una convenzione finanziaria-commerciale nel palazzo dove aveva sede il Capitolo regionale lombardo. Vi presenziarono per l'ambasciata francese il dott. Boudin, per la Massoneria gli ispettori regionali avv. Renzo Garbagni e Francesco Timpanato, assistiti da me in rappresentanza dell'on. Alberto Lapegna (Gran Maesto Aggiunto di Palazzo Giustiniani). Avevo fatto eseguire le fotografie degli assegni che conservai fino al furto fascista con la copia della convenzione. Così nacque il Popolo d'Italia. (7)
Ora se è vero che non possiamo prendere come oro colato quanto affermava questo nostro carissimo fratello, è altrettanto importante constatare che la nascita del quotidiano mussoliniano fu certamente dovuta ad interventi esterni sia al partito socialista (8), sia ai movimenti neutralisti dell'epoca. In realtà si sa per certo che il marchese Antonino di San Giuliano, a quell'epoca Ministro degli esteri, chiese a Filippo Naldi, direttore del RESTO DEL CARLINO di Bologna, di occuparsi di Mussolini; lo stesso Naldi proporrà poi all'ex direttore dell'Avanti, di fondare un nuovo quotidiano, promettendogli di trovare le malleverie e il denaro occorrenti. E il punto sta proprio qui! Infatti sia San Giuliano che Naldi erano entrambi massoni, quindi è da supporre che si fossero rivolti all'interno dell'Istituzione per riuscire nell'impresa.
Non a caso durante il conflitto, il POPOLO D'ITALIA fu l'unico quotidiano a difendere la Massoneria italiana dagli attacchi che gli provenivano da più parti ed, emblematico fu il caso relativo allo scandalo di Parigi (9), dove si accusò la Massoneria italiana di aver attentato agli interessi nazionali (l'internazionale massonica aveva messo in dubbio l'italianità delle terre irridente!). Quest'avvenimento male interpretato sia dalla stampa, sia (malignamente) dagli avversari della liberomuratona, fecero affermare a G. Salvemini: Hai ragione [rivolgendosi a G. Prezzolini] che il Popolo d'Italia è infetto da imperialismo. Chi lo finanzia è la Massoneria e la Massoneria è quello che è: una collezione di cretini che si è buttata a volere la Dalmazia senza sapere quel che facesse ed ha fatto a Parigi la figura che tutti sanno!
Dopo la guerra e le conseguenze che questa aveva portato, troviamo un Mussolini in perfetta sintonia con la Massoneria, identiche sono le aspirazioni e le preoccupazioni. Il primo deve trovare un nuovo terreno di conquista (10) dato che i socialisti lo considerano un traditore, la nostra istituzione è certamente uscita dal conflitto molto più forte di quando era cominciato tutto e su quel clima d'interventismo e di vittoria, con tutti i suoi effetti psicologia e politici, punterà per uscire dall'empasse. Non è quindi un caso che l'allora Presidente del Consiglio, V. E. Orlando, mandi un telegramma al Gran Maestro dell'epoca Ernesto Nathan, ringraziando la Massoneria Italiana per il grande contributo morale e umano fornito durante il conflitto.
Sia Mussolini che la nostra Istituzione faranno leva su quel quinto stato costituito dai reduci, dagli interventisti e dagli insoddisfatti di Versailles, per riuscire a travolgere l'ordine che fino ad allora aveva governato il paese. Certo la Massoneria operò tenendo presenti sempre quegli ideali di LIBERTÀ - UGUAGLIANZA - FRATELLANZA, mentre Mussolini fece leva sulla violenza, sulla lotta senza regole agli avversari politici: sull'intolleranza. Ma questo non emerse in Piazza S. Sepolcro al n. 9, nei locali dell'Alleanza industriale e commerciale di Milano messi a disposizione dal Fratello Cesare Goldmann; in quell'assise forse per la prima e ultima volta i Fasci Italiani di Combattimento assunsero una veste rivoluzionaria ma al contempo democratica.
Erano presenti tra gli altri: Michele Bianchi, Cesare Rossi, Roberto Farinacci e Giovanni Mannelli. Tutti massoni certi, tutti avranno nel ventennio incarichi di rilievo nel regime, escluso Cesarino Rossi. Allora furono buttate le basi per la costruzione di uno stato democratico e soprattutto repubblicano! Nel manifesto s'inneggiava all'abolizione dei titoli e privilegi nobiliari, alla requisizione delle terre a favore dei contadini, alla costituzione di organismi di controllo del sistema lavorativo. Insomma una vera e propria democrazia del lavoro.
Come è noto a tutti, il programma dei Sansepolcristi rimase lettera morta; i fascisti dopo l'impresa fiumana di D'Annunzio (11) e le sconfitte elettorali subite sia nel 1919 che nel 1921, divennero sempre più forza extraparlamentare e tesero a spostare nelle campagne con le spedizioni squadristiche la loro attenzione.
L'evento folcloristico della marcia su Roma, l'arrendevolezza del Sovrano e la successiva presa del potere furono solo la diretta conseguenza di un sistema politico istituzionale che non si stava rendendo conto di quanto stava accadendo e di quanto sarebbe accaduto.
Torrigiani: il Gran Maestro della giovinezza
Torrigiani venne eletto Gran Maestro il 23 giugno 1919, all'indomani della conclusione del conflitto e del vergognoso trattato di pace di Versailles. Poco mesi dopo per rivendicare le terre promesse all'Italia dall'Intesa nel Trattato di Londra, Gabriele D'Annunzio costituiva un corpo di legionari e partendo da Ronchi si portava all'occupazione di Fiume. Proprio in quell'occasione Domizio Torrigiani intervenne sul presidente del consiglio Nitti per garantire la sopravvivenza dell'impresa del poeta ed offrì, tramite l'aiuto del Fratello sen. Giovanni Ciraolo (Presidente della CRI), aiuti ai legionari ed alla popolazione di Fiume.
Non solo, ma come conferma anche Mola (12), il Grande Oriente sovvenzionò con danaro, viveri e materiali l'impresa fiumana, che vedeva partecipi tra le fila dei legionari numerosi suoi affiliati. (13)
Quindi se è vero quanto fino ad adesso abbiamo affermato, ovvero la natura strettamente interventista dell'impresa fiumana, il forte ascendente che Mussolini aveva presso i reduci di guerra ed in particolare gli arditi (14), il forte legame che univa molti massoni al fascismo delle origini e in particolare a quell'ideale di democrazia del lavoro (15) espresso dal manifesto del fascismo, non è fuor di luogo ritenere che la Massoneria e Torrigiani in primis, non guardassero con attenzione e simpatia al movimento che stava in quel momento nascendo.
Proprio Torrigiani in un suo discorso il 9 maggio 1920 (16) aveva detto: Noi vogliamo che la patria sia disciplina morale inviolabile per tutti e sia il bene effettivo di tutti. E che quando chiama le si concedano parte degli averi come le si dà l'intera vita, e vogliamo che lo Stato sia retto e dominato dai lavoratori del pensiero e dai lavoratori del braccio affratellati. Insomma il Popolo vero d'Italia, sì grande che soltanto per la grandezza sua possiamo serbare intatta, in momenti oscuri e turbolenti, la fede negli alti destini della Nazione.
Ma possibile che nessuno tra i Fratelli si ricordasse dell'ordine del giorno del 1914 presentato al congresso socialista di Ancona? Possibile che si siano tutti lasciati estasiare dai proclami mussoliniani della prima ora? Forse vi fu qualche voce fuori del coro, come il Gen. Luigi Capello (17), massone e militare d'indubbia fama, il quale già nel 1919 espresse dubbi sulla democraticità dei programmi di Mussolini e sul suo opportunismo nel cercare l'aiuto della Massoneria nei momenti difficili. La liberomuratoria italiana scoprirà presto l'altra faccia della medaglia, prima con l'ascesa violenta al potere nel 1922, poi con il rifiuto del sistema democratico parlamentare nel biennio 1923-1925 e, per finire, con le leggi fascistissime del 1925-1926 e le devastazioni delle logge da parte delle squadre fasciste.
La storia, di quest'errore di valutazione, termina con la Legge sulle Associazioni Segrete del 20 novembre 1925 che dichiarerà la Massoneria fuorilegge e con la morte di quel Gran Maestro che forse un po' tardi capì quali erano le vere intenzioni di Mussolini. (18)
NOTE
(1) F. Gaeta, Democrazie e totalitarismi dalla prima alla seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1994, pag.234 e ss.
(2) Non può che essere avvallata infatti quella teoria che delinea il movimento fascista delle origini come un'organizzazione di rivolta contro un sistema ormai logorato e stanco di gestione politica del paese, piuttosto che una forma organizzata di ideologia politica, in altri termini un partito.
(3) Solo per dare un dato statistico, dal 1915 fino all'ascesa di Mussolini nel 1922, l'Italia ebbe ben 9 diversi governi.
(4) Luigi Federzoni, oltre ad essere in quegli anni uno dei principali esponenti del partito nazionalista, fu da sempre un nemico della nostra istituzione. Quando grazie al fascismo riuscì a scalare le gerarchie del potere, non perse l'occasione di perseguitare numerosi fratelli e di accusare molti dei suoi camerati di aver fatto parte della liberomuratoria al fine di screditarli dinnanzi a Mussolini.
(5) Cfr. Nei giorni dal 26 al 29 Aprile 1914.
(6) In G. Vannoni, Massoneria, Fascismo e Chiesa Cattolica, Ed. Laterza, Bari, 1980, II ed., pg.18-19.
(7) In G. Vannoni, op. ult. cit., pg.40.
(8) Da tutti i socialisti Mussolini fu sempre considerato un traditore, un rinnegato, un soggetto di cui non fidarsi né umanamente, né politicamente.
(9) Dal 28 al 30 giugno 1917 si erano radunati nella capitale francese i rappresentanti massonici delle nazioni intesiste e neutrali per definire le condizioni della pace. Da quei lavori era emerso l'abbozzo della futura Società delle Nazioni, nonché un precario accordo fra i fratelli italiani e quelli serbi sulle terre irredente della Dalmazia e di Fiume.
(10) Mussolini è stato sicuramente uno dei più abili opportunisti che la storia abbia mai conosciuto. Non solo, ma fu capace di trovarsi, almeno fino al 1936, nel posto giusto al momento giusto.
(11) Di cui si da per certa l'affiliazione nella R.•.L.•. XXX Ottobre di Fiume.
(12) Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Ed. Bompiani, Milano, 1999, III ed.
(13) Per l'affiliazione di D'Annunzio vedi nota cit. n.12.
(14) Non solo questa specialità dell'esercito costituiva il nucleo centrale della forza del vate, ma va ricordato che gli stessi furono concepiti e fondati da un ufficiale dell'esercito, massone.
(15) Peraltro già ricordato dallo stesso Torrigiani nel suo discorso d'insediamento, Riv. Mass. giu.-set. 1919.
(16) Domizio Torrigiani, Discorso all'Assemblea della Massoneria Italiana del 9 Maggio 1920, Ed. Travi, Palermo, 1920.
(17) In G. Vannoni, op. ult. cit.
(18) Torrigiani con un decreto del 22 Novembre 1925 scioglierà tutte le Logge d'Italia e il 24 Aprile del 1927 morirà confinato dall'OVRA a Lipari.
BIBLIOGRAFIA GENERALE
1. AA.VV., I giorni della storia d'Italia - Dal Risorgimento ad oggi, Ed. de Agostini, Milano, 2000, VII ed.
2. Massimo DELLA CAMPA e Giorgio GALLI, La Massoneria Italiana, FrancoAngeli editore, Milano, 1999, II ed.
3. Vittorio FOA, Questo Novecento, Ed. Einaudi, Torino, 2000, V ed.
4. Franco GAETA, Democrazie e totalitarismi dalla Prima Guerra Mondiale alla Seconda Guerra Mondiale, Ed. Il Mulino, Bologna, 1994, III ed.
5. Denis MACK SMITH, Mussolini, Ed. BUR, Milano, 1994, IV ed.
6. Aldo A. MOLA, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Ed. Bompiani, Milano, 1999, III ed.
7. Michele MORAMARCO, a cura di, Enciclopedia Massonica, Ed. Bastogi, Foggia, 1992.
8. Benito MUSSOLINI, Contro la Massoneria, I discorsi (1925), Ed. Ulrico Hoepli, Milano, 1934, II ed. def.
9. Domizio TORRIGIANI, Discorso all'Assemblea della Massoneria Italiana del 9 Maggio 1920, Ed. Travi, Palermo, 1920.
10. Domizio TORRIGIANI, Massoneria e Fascismo, raccolta di articoli, balaustre e circolari dal 1919 al 1925, Archivio Fondo Lattanzi, Biblioteca del Grande Oriente d'Italia, Roma.
11. Gianni Vannoni, Massoneria, Fascismo e Chiesa Cattolica, Ed. Laterza, Bari, 1980, II ed.
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