venerdì 25 aprile 2025

𝟑.𝟎.𝟏 - 𝐋𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐚𝐭𝐚 "𝟐𝟓 𝐚𝐩𝐫𝐢𝐥𝐞", 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐔.𝐒.𝐀. 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐮𝐛𝐞 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐲, 𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐪𝐮𝐢𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐟𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚.


 di Antonio Pantano


L'operazione militare che gli Alleati imposero in Italia alle loro truppe per invadere e conquistare la pianura padana, oggi si ritiene - con enfasi da sciuscià servili - aver avuto data al 25 aprile 1945. Infatti vige anche con la imposta aura di "giorno di vacanza lavorativa e festa nazionale", pur non condivisa da tutti gli italiani, e non sentita totalmente dai giovani delle generazioni del XXI secolo che ne ignorano l'origine.
Però quel accadimento non avvenne e non si concluse quel giorno, perché in quel giorno la sovranità effettiva a Milano e in Lombardìa, nella Venezia Euganea, nella Venezia Tridentina anche di lingua germanica, nel Friùli e Venezia Giulia del tempo, in Piemonte, e parte dell'Emilia, era ancora, nella forma e nella sostanza, esercitata dalla Repubblica Sociale Italiana, e in quel giorno la vita si svolse normalmente (anche i cinema ed i teatri funzionavano insieme con tutti i servizi pubblici!) nei territori liberi e non conquistati, senza sussulti o interruzioni.
La data del 25 aprile 1945 fu scelta ed imposta dai comandi militari statunitensi solo per farla coincidere col giorno nel quale si insediò ufficialmente Harry Truman a Washington, alla presidenza degli Stati Uniti, in subentro a Franklin D. Roosevelt, morto per disfacimento fisico e crollo mentale 12 giorni prima. Ed in più, perché quel giorno era stato deciso durante la conferenza di Yalta, tra il 4 e l'11 febbraio 1945, per la convocazione a San Francisco della conferenza organizzativa delle "Nazioni Unite" costituende.
E nella prima conferenza organizzativa delle "Nazioni Unite" lo statunitense senatore Fulbrigth fissò anche i termini della successiva "unione europea" che i vincitori vollero e stabilirono su tutto il territorio d'Europa, da organizzarsi con accorta studiata
gradualità pluriennale, che avrebbe avuto inizio con la "comunità del carbone e dell'acciaio" controllata dai magnati apolidi che avevano sedi e basi negli U.S.A ..
Quindi: nessun motivo "italiano", o riguardante accadimenti in Italia!
Roosevelt e Truman, eminenti personaggi della politica statunitense deputati a potere e governo, aderirono, ottenendo alto grado e lignaggio, a potenti logge massoniche americane, secondo il criterio tassativo da lungo tempo (e tuttora vigente) per
intraprendere una carriera pubblica di esito prestigioso in quel paese. Infatti negli S.U.A., secondo la costituzione, il presidente della repubblica deve essere "cristiano", e - meglio e possibilmente, per la garanzia ed il prestigio, e consuetudine cristallizzata - massone, comunane considerante l'Altissimo. nella qualità di "architetto dell'universo".
Dal 1909 Harry Truman e dal 1911 F.D. Roosevelt, erano ossequiosi fedeli e praticanti verso il rigoroso e molto autorevole massonico " Supremo Rito Scozzese Antico ed Accettato ", di liturgìa autonoma nord americana.
Rito cui apparteneva - protetto da "logica" copertura prudenziale - anche il rampante prelato cristiano cattolico Francis Joseph Spellman [ Whitman, Massachusetts, 4 maggio 1889 - New York, 2 dicembre 1967 ], frequentatore dal 1916 dell'Italia, ove fece
apprendistato e lavorò, primo americano, nella segreteria di stato vaticana dal 1925 al 1932, frequentando con assiduità il poco più giovane, ed a lui molto affine per indole, Giovanni Battista Montini.
Furono gli anni che provocarono e concretarono negli S.U.A. la artificiosa crisi finanziaria e la logica indotta depressione, mentre in Italia ciò era assai lontano dall'immaginarsi, dominando le conquiste sociali e le attività innovative imposte dal regime fascista.

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lunedì 21 aprile 2025

𝐈𝐥 " 𝐟𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐫𝐨𝐟𝐢𝐭𝐚 " 𝐆𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐋𝐢𝐜𝐢𝐨, 𝐚𝐧𝐠𝐮𝐢𝐥𝐥𝐨𝐬𝐨 "𝐟𝐫𝐚𝐭𝐞𝐥𝐥𝐨" 𝐦𝐚𝐬𝐬𝐨𝐧𝐞


di Antonio Pantano

Con scarsa fantasìa, uno dei tanti "aedi" gazzettieri prezzolati a servizio del regime democratico che si dedicò profondamente a pubblicare "verità" (assai ben pagate) sulla vicenda, riuscì persino ad inventare una intromissione "tangente" di un tale fantaccino - che raggiunse il grado massimo di sotto caporale - Gelli Licio, dai primi anni '50 del XX secolo divenuto "venerabile" capo massone di una autorevole loggia operante in Italia sotto l'ala tutelante e protettrice del maggiorente democristiano (già attivo intellettuale e docente universitario di "economia fascista corporativa" nell'ultimo decennio del regime , ove esercitò più volte anche il ruolo di Presidente di commissione esaminatrice dei Littoriali, ma, aretinamente, "avveduto" di riparare in Svizzera durante i mesi duri e compromettenti della guerra in Italia, secondo i suggerimenti di molti cattolici di osservanza "vaticana") Amintore Fanfani [ Pieve Santo Stefano, AR, 6 febbraio 1908 - Roma, 20 novembre 1990 ] e dei "consociati di formale opposizione partitica" del clan sovieto-comunista di Togliatti & compagni.
Gelli Licio. Che, nella adolescenza - incapace ed inconcludente negli studi primari di obbligo - riuscì ad ottenere con alacre fatica la sola licenza di scuola elementare dopo aver compiuto i 12 anni. Da giovane, durante il "ventennio fascista", scelse di avviarsi nella carriera militare per garantirsi la certezza di introitare una qualsiasi paga sicura. Poi, influenzato per certo da una diffusa e sentita atmosfera corale generale, da volontario partecipò alla campagna militare anticomunista in Spagna. Vocato ormai a vivere da militar-soldato per convenienza, nella seconda guerra mondiale si trovò inviato da semplice fantaccino in Croazia (ove, al massimo, riuscì a trovarsi nelle mansioni di attendente - cioè guardarobiere e servitor cameriere - a qualche ufficiale superiore della corte di Mario Roatta), ove poi pervenne nei Balcani, in Montenegro, nel 1941, al seguito del federale fascista di Pistoia, tale Alonza, (a Pistoia, nell'anteguerra, il giovane Gelli aveva occupato l'incarico servile di aprire la mattina la Federazione Fascista per nettarla e curarla con mansioni da sotto-fattorino ed usciere) che lo impegnò a Càttaro. In guerra, ed anche ai tempi della R.S.I., il Gelli mai riuscì a raggiungere il grado militare di caporale, a causa della insufficienza del titolo di studio e della propria indole.
Quindi il Gelli Licio mai fu coinvolto, non avendo alcun grado nemmeno di sottoufficiale, in azioni e responsabilità di alcun rilievo militare e politico.
Ma nel dopoguerra gli si attribuì (con raffinato e disinvolto falso sistema dettato da ragioni apparentemente inspiegabili, ma rientrati in trame massoniche condivise dai partiti consociativi di potere, che contribuirono a gonfiargli un fantasioso e falso ruolo) un mai raggiunto - per lui impossibile a conseguirsi - grado di "gerarca fascista", perché, in realtà, come ho già accennato, ebbe
sola mansione di addetto alle quotidiane pulizie degli uffici che ospitavano la federazione fascista di Pistoia, e, per la funzione, precario possessore delle chiavi di quella sede. Mai, poi, il Gelli ebbe incarichi relativi a "trasferimento e gestione" di qualsiasi riserva aurea in tempo di guerra.
In Montenegro il Gelli potrebbe aver orecchiato - o, con verosimile certezza, orecchiò - da qualche prelato cattolico croato, in combutta con qualche alto militare italiano, della esistenza della "riserva aurea iugoslava" nascosta in cavità sotterranee segrete dal clan monarchico belgradese dei Karageorgevic, che poi in buona parte fu fatta trasferire su un battello navale sommergibile britannico con destinazione a banche inglesi. Così come potrebbe aver raccolto notizie della quantità residua di quel tesoro ancora nascosta nelle viscere delle montagne di quella regione.
Ma è ormai risaputo che pennivendoli e stampa - prezzolati lautamente dallo interessato e da chi a lui era legato da affari ed interessi - si prestarono per decenni ad intorbidare le acque - certamente per compiacere filoni deviati della magistratura penale italiana, depistatrice su eccidi e stragi divenute famose - per confonderle, inventando situazioni, vari e pittoreschi "golpe", traffici, combutte, certamente per volere di "logge potenti" più dello "stato", innaffiati dai fumi alcoolici creati dai contaballe sensazionalisti di provincia. Questi riuscirono ad inserire il Gelli anche in fantasiose istorie relative agli inattaccabili sotterranei della antica Frenzenfeste nel comune italiano di Fortezza, in provincia di Bolzano, alla confluenza della valle d'Isarco e della val Pusteria. Ove la mitica riserva aurea italiana fu posta a sicuro riparo sotterraneo a profondità di molte decine di metri di roccia basaltica in custodia nella pertinenza della "commissariata" Banca d'Italia, data la conformazione geologica della zona stretta tra gole nel fondovalle inaccessibile, ben protetta, ed impraticabile, dagli incessanti bombardamenti aerei anglo-americani, che miravano alla adiacente linea ferroviaria per il Brennero.
Ma, in area pistoiese ed aretina, mai è stata contraddetta e smentita la attendibile fondatissima opinione che tutto fu costruito ad arte per annebbiare e camuffare traffici lucrosi "consociativi" d'antica data, scaturiti dalla stantìa cronica e disinvolta attività di "confidente" e doppiogiochista che il Gelli - animato dalla fantasìa toscana e bassitaliota - seppe svolgere e svolse con molti del fronte Alleato, ed in particolare con alcuni "prodi" proditori "partigiani comunisti", operanti alla macchia proprio nei momenti del passaggio del fronte bellico in Toscana. Partigiani che seppero e vollero arricchirsi in quei frangenti, ed assai di più nel dopoguerra, con loschi traffici di oro e preziosi trafugati in molte direzioni (anche in danno di raggirati commercianti ebrei facoltosi - nel dopoguerra fu facile e consueto, per logica, attribuire le colpe di quelle grassazioni ai nazi-fascisti!), che in quel di Arezzo, ove il Gelli si stabilì, ebbero poi lievitazione ed esplosione. E nella zona fu poi alimentato un consistente polo affaristico e produttivo.
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testo liberamente estrapolato dal volume: Ezra Pound & Pellegrini - Edizioni Vita Nova

giovedì 6 febbraio 2025

LA PAROLA ASSASSINATA

 
LA PAROLA ASSASSINATA
Il sogno europeo di Robert Brasillach

di Salvatore Santangelo


La zuppa magra, i muri freddi, la marcia orgogliosa” …  il 6-02-1945, alle ore 9.38, viene fucilato il giornalista, narratore e poeta Robert Brasillach.

L’accusa: “Intelligenza” con il nemico per aver aderito a quel gruppo composito di intellettuali, alcuni di grande spessore come Drieu la Rochelle e Céline, che scelsero di sognare un’alleanza impossibile, nel 1940-45, fra la Francia vinta e la Germania che sembrava essere lo strumento principe per la costruzione di un nuovo assetto europeo. 

Nella stagione dell’odio Brasillach è vittima designata, prima e non ultima, di una resa dei conti le cui proporzioni rimangono ancora oscure; nella sola Francia si parla di oltre 100.000 esecuzioni sommarie dopo la “liberazione”.

Così all’età di soli 36 anni, moriva uno degli esponenti più significativi della cultura europea del ‘900.

Si da giovanissimo si era infatti distinto per la vivacità intellettuale, l’agile penna e la tendenza all’eresia.

Nel 1931 diviene, a soli 22 anni, redattore dell’Action Francaise e dalla stampa i suoi primi racconti.

Ma, in quegli anni, l’Europa è attraversata da grandi e nuovi sconvolgimenti: in Italia prima, e in Germania poi, una generazione di giovani reduci forgiati nelle “tempeste d’acciaio” della Grande Guerra, ha conquistato attraverso la piazza lo Stato, dando vita ad un nuovo esperimento a cu si dava il nome di Fascismo.

 Le mal du siécle = le fascisme come lo definiva lo stesso Brasillach. Un tipo umano “che canta, che marcia che sogna”, insomma una sorta di poesia che informa di sé tutta la realtà. A questa idea di un fascismo come poesia, Brasillach resterà fedele sino all’ultimo anche quando con la catena al piede scriverà le ultime note e gli ultimi versi mentre il “grande sogno” si è infranto.

Il congresso di Norimberga del 1936, cui assiste come inviato, e successivamente, la Guerra Civile Spagnola – è tra i primi a visitare l’Alcazar liberato – gli faranno rompere le ultime esitazioni e questo figlio del nazionalismo maurassiano  si converte così ad un ideale europeo che vede nel Reno non un confine ma un ponte lanciato pe un nuovo incontro.

Un incontro di pari dignità, di quella fierezza che insieme alla speranza, Brasillach ha difeso coerentemente sino all’ultimo e che ha lasciato a testamento per coloro che, anche attraverso i suoi scritti, hanno tentano o tentano di rincorrere quel sogno.