sabato 20 settembre 2008

La Nascita del M.S.I.

 


La collocazione errata del fascismo e dei suoi epigoni a destra.

La volta scorsa ho, in modo oltremodo eloquente, spiegato le ragioni della mia distanza dalle cosiddette organizzazioni partitiche "classiche". Questa volta, invece, mi soffermerò sui preconcetti acquisiti e "genetici" della cosiddetta area di destra. Il primo concetto errato è, fuor di dubbio, la collocazione del partito missino a destra. Il 26 dicembre dell'anno 1946, nello studio di Arturo Michelini, fu fondato il MSI. All'inizio questo movimento nacque come strumento per assicurare una cittadinanza politica ai reduci fascisti, mantenendo, altresì, una continuità ideale con i valori esemplarmente incarnati nell'epopea di Salò.

Fino al 1948, Il MSI non aveva ancora sposato le ragioni della destra. La prova palese di tutto ciò va ricercata nel dibattito che seguì dopo la collocazione (in senso letterale) in parlamento all'estrema destra dei parlamentari missini.

In quell'occasione si rispose - assicurando la base militante - che l'opzione non era "ideologica" ma solo "tattica". Questo perché gli uomini di Togliatti erano seduti all'estremo opposto. Questa è la storia ufficiale.

In realtà, sia per posizione presa da parte di alcuni membri sia per l'influenza esercitata dai "centri di potere", il M.S.I. si trasformò, gradualmente e diabolicamente, da forza dinamica, anti plutocratica e rivoluzionaria in una forza statica, conservatrice al servizio dello Stato democratico antifascista.

Nel 1949, dopo un dibattito acceso e aspre polemiche, questo "movimento" si trasforma in un breve lasso di tempo da partito anti-americano a portabandiera dell'alleanza atlantica. Il passo successivo viene compiuto nel 1952. In occasione delle amministrative le liste missine ottengono un successo elettorale per un accordo a Roma tra missini, monarchici e democristiani. Ma veniamo al punto. Il primo preconcetto da rimuovere è quello dell'anticomunismo. Giuseppe Rauti fu il primo a determinare limpidamente la differenza tra bolscevismo e comunismo. Difatti su la rivista "Asso di bastoni" del 2 -01-55 scriveva, tra l'altro:

«La generica aspirazione anticomunista(…) si divide e si differenzia nettamente. C'è l'anticomunismo dei "valori", e c'è l'anticomunismo degli interessi. Ci sono quelli pronti a reagire contro la sovversione dilagante, per creare qualcosa di nuovo, e ci sono quelli che sono disposti solo a difendere quello che già esiste. V'è, insomma, un anticomunismo borghese ed un anticomunismo rivoluzionario, quello che per meglio distinguersi, ameremmo veder chiamare col suo più vero nome: anti bolscevismo».

Peccato però che, dopo meno di dieci anni, Rauti rinnegò integralmente le sue convinzioni e si pose al servizio di chi nasconde solidi interessi, anziché proseguire sul difficile percorso prima intrapreso.

L'equivoco è così diffuso che neppure i vertici ne sono rimasti immuni.

Mirko Tremaglia in un'intervista rilasciata alla rivista "AREA" dichiara:

"Allora Rauti era l'antitesi della sinistra: quando facemmo il congresso dell'Aquila, nel '53, da una parte c'eravamo noi, chiamati i "visi pallidi" che eravamo quelli della “sinistra”, e poi c'era Rauti che capeggiava "i figli del sole" cioè la destra "aristocratica" del raggruppamento… Beh, sono cambiate tante cose d'allora, vero?".

Dopo aver letto ciò, si sarebbe tentati di chiedere a Tremaglia il motivo (vero) per cui non si è iscritto al PCI di Togliatti.

Adesso, senza entrare nel merito di questa strumentale e improvvisata dichiarazione, ritengo utile sgombrare il campo da questi inutili dubbi citando Julius Caesar Andrea Evola.

Il Barone nero, anticomunista serio e convinto, ha sprecato litri d'inchiostro per spiegare ai sedicenti camerati questa esemplare verità:

"L'antitesi vera non è quella tra capitalismo e marxismo, ma è quella esistente tra un sistema nel quale l'economia è sovrana, quale pure sia la forma che essa riveste, e un sistema nel quale essa è subordinata a fattori extraeconomici entro un ordine assai più vasto e più compiuto, tale da conferire alla vita umana un senso più profondo e di permettere lo sviluppo delle possibilità più alte di lei."

Ma tant'è…

Franco Cardini, nel numero 18 de "lo Stato", lucidamente, scrive:

"La risposta è tutta compresa in un equivoco e un paradosso: il 1848. Per questo, le destre non sono omologabili. Esistono i liberal-conservatori, come i Gentile, i Salvador de Madariaga, Gli Ortega y Gasset, i Max Weber. Ma questo tipo di Destra non ha nulla ha che vedere con quella che nasce dalla Controrivoluzione, né con quella che - animata da un odio feroce e irremissibile contro i valori borghesi usciti dall'ottantanove - finisce spesso col simpatizzare con utopisti e rivoluzionari".

Un altro macroscopico errore va sicuramente rintracciato nel voler associare il fascismo alla destra. La sola connessione tra il fascismo -correttamente inteso- e la destra la si può ritrovare solo col nazionalismo. Dopo di che, le strade si dividono in modo irreversibile. Il socialismo rivoluzionario di un Sorel, la morte di Bombacci insieme ai gerarchi fascisti, il nichilismo di Nietzsche, il disprezzo dell'essere borghese di Drieu La Rochelle, non possono in alcun modo essere associati alla "moda borghese" di destra e di sinistra!

Per quanto concerne, poi, il fascismo, le sue origini e soprattutto l'epopea della RSI, non vi sono, a mio parere, dubbi di sorta. A prescindere dalla provenienza socialista del Duce e dall'incarnazione sociale e nazionalsocialista dell'esperienza finale, vi sono numerosi scritti del ventennio che confermano in modo inequivocabile le scelte operate da Mussolini. Scriveva Benito Mussolini il 7-04-1926:

"Noi rappresentiamo un principio nuovo, noi rappresentiamo l'antitesi netta, categorica, definitiva di tutto il mondo della democrazia, della plutocrazia, della massoneria, di tutto il mondo, per dire in una parola , degli immortali principi dell'89(…)"

A tutt'oggi, v'è, da parte di qualcuno, l'infelice scelta di associare il Fascismo al liberalismo. Non so se questo sia avvenuto più per caso (il caso non esiste) o per attirare alcuni nostalgici verso il lido sicuro dei propri interessi. Il fascismo è la negazione del liberalismo e dell’individualismo. Il fascismo è avanguardia totale, rispetto al marciume ideale ed epocale del 1789 del '48 e del 1917. Il fascismo e il nazionalsocialismo sono il superamento del materialismo storico marxista ed insieme il ripudio della società del "benessere borghese". A questo "benessere" il nazifascismo contrappone un altro benessere: il sano spirito legionario. Per operare una sintesi. Il fascismo è rivoluzionario nei principi, nelle idee e soprattutto nelle azioni. La destra è conservazione dell'ordine borghese, reazione, politica antipopolare al servizio del capitale, delle banche e di chi ha solidi interessi da difendere. Le somiglianze artificiose servono ai massoni del blocco conservatore, alla destra tutta, che nell'attuale clima, tendono a dividere il fascismo buono da quello cattivo. Questa è la strategia elaborata e portata a compimento da tutta la destra, a scapito dei militanti in buona fede. Per rendersene conto basta leggere un qualsiasi giornale di destra.

Ma veniamo ai giorni nostri. La rappresentazione più eclatante e macroscopica la si è avuta nel '68. Non ricorderò, per essere breve, le vicissitudini di Valle Giulia e l'assalto all'Università di Roma deciso dal M.S.I. Ad ogni buon conto, si può affermare, senza tema di smentita, che nel breve lasso di tempo intercorso fra questi due eventi nasce e muore l'unica idea di una rivoluzione unitaria antiborghese.

L'idea così teorizzata da Pierre Drieu La Rochelle moriva sul nascere, per mano di Almirante, Caradonna e altri. Dopo quest'ultimo episodio il potere utilizzo, a propria discrezione e consumo, i due opposti estremismi per consolidare e mantenere lo "Status quo". Appare evidente, che a farne le spese maggiori fu proprio il neo fascismo. Difatti, da quel momento, si guadagno, sul campo, la nomea di violento reazionario. Non solo! L'università perse i suoi rappresentanti. La cultura, già fortemente politicizzata e antifascista, si consolidò come unica cultura dominante del paese. La sinistra aveva messo a segno un altro importante obiettivo gramsciano: la conquista del potere culturale. Il neofascismo, per converso, fu punito e relegato nel ghetto o, meglio, nella "fogna".

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