lunedì 22 settembre 2008

La guerra non ortodossa


Il Convegno del Parco dei Principi.

Nel 1964 viene costituito a Roma l'Istituto Alberto Pollio per gli Affari Strategici: un organismo "privato" facente capo  allo Stato Maggiore della Difesa. L'anno successivo -precisamente  agli inizi del mese di maggio  (3-5) - si svolse nella capitale Roma il primo convegno di studi politici e militari indetto dall'Istituto Alberto Pollio. L'iniziativa venne ufficialmente presa da tre giornalisti di destra, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi ed  Edgardo Beltrametti. L’organizzazione del convegno fu realizzata con fondi forniti dal SIFAR e dall'Ufficio REI. Il convegno fu presieduto da un magistrato e da due alti ufficiali dell'esercito. Fra i relatori i nomi di Guido Giannettini e Pino Rauti; allo stesso partecipano, tra gli altri, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino. Al convegno si parlò di "Guerra rivoluzionaria" in altri termini, di una dottrina che circolava da qualche anno negli ambienti militari. Il tema all’ordine del giorno era che una terza guerra mondiale fosse già in atto, non nelle forme tradizionali del conflitto dichiarato, ma condotta

 "secondo dottrine, tecniche, procedimenti, formule e concetti totalmente inediti... elaborati adottati e sperimentati dai comunisti in termini globali e su scala planetaria" ai cui "principi è ispirata comunque e dovunque la condotta non soltanto degli stati comunisti ma anche dei partiti comunisti che operano nei paesi del mondo libero" e per i quali "la competizione politica è in ultima analisi un fatto bellico avente come obiettivo la sconfitta totale dell'avversario".

(Così Finaldi nella sua relazione introduttiva).

In altre parole, la ”guerra non ortodossa” prevede l’impiego dei Mass Media, di slogan “artatamente” suggestivi, in luogo dei fucili o di divisioni corazzate. Bisogna dire, a questo punto, che la struttura Gladio era già stata costituita da circa un decennio. Sembra quindi indubitabile l'esistenza in ambito militare intorno alla metà degli anni 60 di un dispositivo flessibile volto al contrasto di "sovvertimenti interni". Estremamente ragionevole è l'identificazione di tale dispositivo con l’organizzazione Gladio, nell’impraticabilità di dare al riferimento una base diversa. Da ciò l'ulteriore conferma dell'esattezza di un'ipotesi già in precedenza avanzata; e cioè l'impossibilità di ridurre i fini cui la struttura Gladio era stata costituita nello "stay behind" nell'ipotesi d’occupazione del territorio nazionale da parte di un esercito nemico. Ipotesi che veniva riconosciuta dallo stesso Beltrametti come ormai (già nel 1965) estremamente improbabile. A ciò si aggiunga che il convegno, stante la vastità e il grado di partecipazione, determina una conferma della incapacità di ridurre le ipotesi di cui la Commissione è chiamata ad occuparsi, a meri momenti di deviazione degli apparati di sicurezza, sul presupposto che l’istituzionale circospezione di tali strutture ne legittimi un’attenta valutazione come monadi isolate. Gli atti del convegno attestano, peraltro, una ben più ampia rete di convergenti interessi, che riguardarono non soltanto le forze armate nella loro complessiva e articolata realtà, ma pure vasti settori del mondo imprenditoriale, politico e culturale. Parteciparono al convegno, tra gli altri, un qualificato esponente del ceto industriale come Vittorio De Biase che svolse un intervento dal titolo significativo: "Necessità di un’azione concreta contro la penetrazione comunista"; politici come Marino Bon Valsassina e Ivan Matteo Lombardo, Giorgio Pisanò, Giano Accame, alti ufficiali, e intellettuali: uno spaccato sociale che chiaramente testimonia l’ampia disponibilità ad un impegno operativo comune. Peraltro se nella riflessione degli organizzatori del convegno i risultati già raggiunti (nell'approntare un dispositivo flessibile di risposta alla guerra sovversiva) apparivano eccellenti, diffusissima ed anzi unanime era la valutazione della necessità di un salto qualitativo ulteriore. De Boccard esortava la Commissione ad elaborare un piano per un mutamento radicale dell'intero dispositivo militare italiano al fine di una decisa e chiara risposta controrivoluzionaria. In particolare, degna di singolare attenzione appare la proposta avanzata dal Prof. Pio Filippani Ronconi di opporre "un piano di difesa e contrattacco rispetto alle forze di sovversione" predisponendo uno "schieramento differenziato su tre piani complementari, ma tatticamente impermeabili l'uno rispetto all'altro", utilizzando "le tre categorie di persone sulle quali si può in diversa misura contare".

Da quanto delineato, appare incontrovertibile l’interna commistione tra apparati militari, imprenditori, politici e intellettuali. Tutti volti nel perseguire lo stesso ed identico fine.

La Reazione alla “Guerra rivoluzionaria” di Mosca.

L’attuazione pragmatica delle contromosse “atlantiche” comincia con l’assunto di Rauti:

“Oggi la difficoltà di combattere il comunismo dipende quasi esclusivamente dal fatto che i comunisti non si vedono”.

Si cominciò a delineare la tecnica dell’infiltrazione a sinistra. Si sfruttò, all’uopo, la divergenza allora esistente tra la Cina maoista e l’URSS. Nel 1967 questa teoria si realizzerà concretamente attraverso l’opera di Claudio Orsi, Claudio Mutti e, soprattutto, di Pier Giorgio Freda. Quest’ultimo non si limitò all’azione, ma approntò una sorta di “bibbia” del reazionario. L’opera in quistione prende il titolo de “La Disintegrazione del Sistema”. Nella stessa ottica deve vedersi l’affissione dei manifesti cinesi inneggianti al presidente Mao. Questa azione “infiltrante” - secondo il Vinciguerra - era da attribuirsi al direttore de “il Borghese”, Sen. Mario Tedeschi. Nasce cosi il soldato controrivoluzionario.

Il passo verso il baratro fu breve.

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