sabato 15 giugno 2024

Ricorre oggi il genetliaco di un grande combattente: Léon Joseph Marie Ignace Degrelle.


Nato il 15 giugno 1906 a Buglione, una cittadina dell'Ardenna belga: la sua famiglia era di origine francese. Suo padre, Édouard Degrelle, era un birraio che si trasferì in Belgio dalla Francia nel 1901. Dopo un’adolescenza idilliaca nella pittoresca regione delle Ardenne, compì i suoi studi presso i Padri gesuiti e poi si iscrisse all'Università di Lovanio. Qui conquista il dottorato in diritto. S'interessa però a tutte le discipline intellettuali: amplia i suoi studi universitari, nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali; si interessa d'arte e d'archeologia, nonché della filosofia tomistica.
La giovinezza di Degrelle fu ricca di avventure. A soli vent'anni, era già proprietario di un settimanale e autore di cinque libri. Profondamente devoto al cristianesimo, si impegnò attivamente nell'Azione Cattolica, diventandone un fervente condottiero. La sua vera passione, tuttavia, era la politica: mirava a conquistare le masse, in particolare quelle marxiste, per convertirle al suo ideale di una trasformazione politica, sociale e, soprattutto, spirituale della società. Aspirava a elevare il popolo, a creare uno Stato forte, competente, responsabile e duraturo, sostenuto democraticamente da un consenso popolare consapevole e sensibile. Tenne più di duemila discorsi pubblici, sempre aperti al dibattito.
Degrelle intraprese una brillante carriera politica e militare. Nel 1932 sposò Marie-Paule Lemai, figlia di un industriale francese, e insieme ebbero cinque figli: Chantal, Anne, Godelieve, Léon-Marie e Marie-Christine. Fondò il movimento nazionalista belga di ispirazione cattolica conosciuto come "rexismo". Il 24 maggio 1936, il suo movimento ottenne un trionfo elettorale, conquistando 33 seggi tra deputati e senatori.
Il potere assoluto è ciò che cerca, in uno stile che ricorda il fascismo del tempo. L'Europa di allora era ancora confinata a nazioni gelose del loro passato, isolate dai vicini. Léon Degrelle guardava oltre. Da studente, aveva esplorato l'America Latina, gli Stati Uniti e il Canada; successivamente visitò il Nord Africa e il Medio Oriente. Conosceva l'Europa a fondo e credeva in un destino comune che un giorno l'avrebbe unita. Invitato da Mussolini, incontrò Hitler a Berlino e Churchill a Londra.
Si adoperò disperatamente, rischiando la sua carriera politica, per evitare che l'Europa precipitasse in un'altra guerra. Tuttavia, le rivalità e gli odi franco-anglo-tedeschi prevalevano. E da Mosca, Stalin mirava a sfruttare questi conflitti per imporre il comunismo in Europa una volta che fosse stata prosciugata.
La guerra scoppiò, iniziando in Polonia nel 1939, nell'Europa occidentale nel 1940, per poi diventare la Seconda Guerra Mondiale nel 1941.
Tutto cambiò. La bandiera con la svastica sventolava dal Polo Nord fino alla frontiera spagnola e alle coste della Grecia. Ma la guerra civile europea proseguiva tra tedeschi e britannici. Stalin, dal suo rifugio moscovita, attendeva il momento per porre fine al conflitto e raccogliere i frutti. Hitler lo anticipò, invadendo l'URSS il 22 giugno 1921. Per l'Europa era un tiro di moneta: vincere Hitler o Stalin.
Fu allora che migliaia di giovani volontari da tutta Europa si alzarono, comprendendo che il destino delle loro nazioni era in gioco. Alla fine, furono 600.000 europei, non tedeschi, a combattere sul Fronte Orientale, portando decine di divisioni in più alla Waffen SS.
La Waffen SS era l'esercito d'assalto europeo, sia ideologico che militare. I tedeschi, 400.000, erano in minoranza. Era, per la prima volta, un vero esercito di un'Europa unita, forte di un milione di giovani combattenti.
. Ognuna di quelle divisioni è destinata a fornire al suo popolo, dopo le ostilità, una struttura politica liberata dai nazionalismi ristretti. Tutti conducono la stessa battaglia.
Tutti hanno la stessa ideologia. Tutti vogliono lo stesso assembramento. Tutti sono diventati camerati. Di tutta la guerra europea 1940-1945, il fenomeno Waffen S.S. è il fenomeno politico-militare meno conosciuto, e, forse, il più importante.
LEON DEGRELLE ne fu uno dei guerrieri più famosi. Partito soldato semplice, guadagnando tutti i suoi gradi, da caporale a generale, per «meriti eccezionali in combattimento», conducendo 75 a corpo a corpo, ferito numerose volte, decorato con le più alte onorificenze: il collare della Ritterkreuz, le Fronde di Quercia, la Croce d'Oro Tedeica, il distintivo d'oro dei combattimenti ravvicinati, la Medaglia d'Oro dei Feriti, ecc.
Nel corso della notte che segui la fine della Seconda Guerra Mondiale, LEON DEGRELLE riuscì a sfuggire alla capitolazione superando l'Europa intera in aereo, mitragliato lungo più di duemila chilometri, per schiantarsi, gravemente ferito, davanti il porto di San Sebastian in Spagna.
E' vissuto sino alla fine del marzo 1994, in esilio, a Malaga, in una casa in cui la storia e l'arte si accoppiano. Per lui, non vi è politica senza conoscenza della Storia, non vi è elevazione dei popoli senza partecipazione alla bellezza. Dovunque, da lui, il passato più esaltante e la perfezione delle forme alimentano l'ispirazione.
L'opera di LEON DEGRELLE fu sempre epopea e poesia. Ad ognuno dei suoi passi, la grandezza di Roma, i suoi marmi, i suoi bronzi, i suoi vetri lievi ed armoniosi lo accompagnano. E la grazia dei colonnati arabi. E la gravità dell'arte gotica. E la sontuosità del Rinascimento e del Barocco. E la gloria delle sue bandiere.
Onore alla sua memoria!
Tutte le reazioni

mercoledì 24 aprile 2024

25 APRILE 1945



STORIA:

Il 25 aprile 1945 non ci fu alcuna insurrezione nelle grandi città, a cominciare da Milano, dove i fascisti inquadrati in piazza Dante e in piazza S. Sepolcro, lasciarono indisturbati la città verso le 5 del mattino dell’oramai 26 aprile.
Il CLNAI ,che doveva subentrare nella autorità di governo, uscito dai comodi rifugi curiali, per mancanza di uomini dovette far occupare le sedi governative, a cominciare dalla Prefettura di Corso Monforte lasciata da Mussolini, da reparti della Guardia di Finanza, passata all’ultimo minuto con la cosiddetta Resistenza.
Di partigiani: neppure l’ombra.
Tutti gli storici seri, hanno potuto accertare, anche con testimonianze di persone del posto e non politicizzate, che il 25 aprile la vita in Milano proseguì tranquilla, cinema e ristoranti compresi, per tutto il giorno, anche se il fantasma del CLNAI aveva proclamato l’insurrezione, ma tranne alcuni scioperi tranviari e negli uffici pubblici, qualche agitazione nelle fabbriche di periferia, qualche sirena che veniva messa in azione, nessuno se ne era accorto.
Oggi sappiamo che tutti i presunti resoconti di gesta partigiane, in quel giorno, sono pure invenzioni, che le foto, fatte a posteriori, con partigiani armati di tutto punto che fingono di affrontare un inesistente nemico, sono scenografie da set, che anche il giorno dopo, il 26 aprile, in una Milano dove oramai i fascisti se ne erano andati verso Como, alcuni gruppi di partigiani , si azzardarono a mettere fuori la testa e a presidiare alcune grandi strade, ma in genere la città non li vide proprio, tanto che ci furono vari fascisti che vi capitarono a passare, anche in camicia nera, e non furono per nulla disturbati.
Solo il 27 aprile, arrivarono in Milano, assieme ad alcune avanguardie delle truppe Alleate, alcune “divisioni” di brigate Garibaldi e simili, tutte in divise nuove fiammanti di marca americana, ad attestare che questi “eroici” partigiani, fuggiti in montagna proprio per evitare di fare la guerra, di fatto non l’avevano fatta proprio.
Fu allora che le file della Resistenza si infoltirono dei cosiddetti “partigiani dell’ultim’ora”, quelli che si iscrissero ai CLN sui banchetti di strada e nelle sedi improvvisate, e nel clima festaiolo divennero tutti partigiani. In seguito si iscrissero alle associazioni partigiane: sono quelli che poi andavano dicendo: “io ho combattuto contro i fascisti” e ci rimediarono anche qualche pensioncina resistenziale.
Questa è la verità storica di un inesistente 25 aprile quale giorno di “liberazione”.
Ma quel giorno, simbolicamente, avvenne invece, questa si, la fine della nostra patria occupata, da allora e per sempre, dallo straniero.
gli alleati imposero le loro leggi, pretesero l’abolizione delle grandi riforme sociali della RSI e la riconsegna delle imprese nelle mani degli industriali, imposero al nostro paese l’adeguamento al sistema finanziario occidentale, un sistema di usura e rapina,
i esportarono la coca cola, lo chewing-gum, i flipper e con essi il vizio, le droghe, la corruzione, ma soprattutto il modello way of life americano che è significato la fine di tutte le nostre culture e tradizioni.
E da quel 25 aprile 1945 non ci siamo più liberati, anzi oggi con 113 basi straniere sul nostro territorio, abbiamo perso ogni minimo residuo di sovranità nazionale.
Possono quindi festeggiare questa fittizia data del 25 aprile tutti i democratici, i degenerati, le destre reazionarie, e accozzaglie simili.
ridicolo è invece il festeggiamento delle sinistre, quelle che si spacciavano per comunisti: per loro il 25 aprile con l’arrivo delle truppe americane era la liberazione, un momento dopo gli americani diventarono gli imperialisti da combattere.
E questo fino a quando quel “mondo occidentale”, che loro stessi avevano contribuito ad affermare, non li ha totalmente fagocitati, trasformati in compagni al caviale, poi in neoradicali, quindi in liberal, e addio comunismo: svampito, imploso con tutta la sua utopia.
Ci sarebbe da chiede ai “compagni”: 25 aprile, ma che cazzo vi festeggiate?!

Maurizio Barozzi

martedì 1 ottobre 2019

L'eroina di Rimini (Sangue italiano)

Il Radio-giornale del Partito ha trasmesso. Ieri sera, la seguente nota su un leggendario episodio della battaglia di Rimini. dal titolo: «L'eroina riminese».




La prima pattuglia nemica entra in Rimini da Porta Romana. Il lungo viale dei platani che immette nel sobborgo XX Settembre con sullo sfondo le macerie della bramantesca chiesa della Colonnella, taglia col suo rettilineo cumuli di rottami: tutto è diroccato, lo stadio civico, la chiesa dei Cappuccini, la chiesa di San Giovanni, le case, i palazzi, il convento dei Cappuccini, la chiesa di Santo Spirito. Sul quadrivio della via Flaminia, di dove si dipartono la via nazionale di San Marino, la via dei Trai e la via XX Settembre, dondola un semaforo sospeso lassù a mezz’aria non si sa come, tra le rovine di ogni cosa all’intorno. La pattuglia canadese esita incerta sulla direzione da prendere. Il cielo è solcato dal rombo dei velivoli e delle cannonate che vengono dal mare, dalle colline e dalla parte opposta della città; crepitano in distanza le mitragliatrici, l’aria acre velata di fumo e di polvere. All’intorno, in qualsiasi parte volgano lo sguardo, i Canadesi non scorgono se non calcinacci, non una casa in piedi; le macerie si stendono per chilometri; tutta la superficie di quella che era la vivace, elegante e ricca città adriatica è una sola, immensa, caotica distesa di pietre: a malapena si distinguono i tracciati di quelle che furono le vie principali. Mentre la pattuglia sta per imboccare a caso la via XX Settembre, un’ombra si muove dietro un cumulo di rovine: i Canadesi spianano le armi, pronti a sparare. Non è un’ombra, è una donna, una giovane donna. Ella alza le mani e i Canadesi la circondano. Una granata cade sui ruderi dello stadio sollevando un nugolo di rottami. Il terriccio e la polvere entrano nella bocca e negli occhi. Alla deflagrazione la ragazza è rimasta immobile a braccia levate. Un Canadese le rivolge la parola in un gergo a base di francese. La ragazza si sforza di comprendere e alla fine riesce a capire la domanda del soldato. Costui chiede da che parte si vada per raggiungere la via Emilia. L’interpellata, dopo un’impercettibile incertezza indica con la mano la via dei Trai. Il Canadese si consulta coi compagni e torna a guardare la ragazza. Costei gli fa cenno col braccio invitandolo a seguirla. Il gruppo allora s’incammina. La ragazza, una popolana sui 18 anni, bruna, dalle membra forti, e slanciate, lacera e sporca, cammina spedita. La lunga e diritta via dei Trai conduce in piazza Tripoli, al mare, non all’arco di Augusto e alla Via Emilia. La pattuglia, composta di una ventina di uomini, più due soldati tedeschi prigionieri, procede nel tragico scenario della città morta; i Canadesi tengono i fucili spianati, pronti a far fuoco; i due Tedeschi, al centro dei gruppo, mostrano i segni della lotta nei volti e sulle uniformi, ma camminano marzialmente. La popolana li sbircia, di sfuggita: pare ai Tedeschi che quello sguardo abbia un significato. Quale significato? La giovane riminese continua a camminare, gli alberi che fiancheggiano la via sono diverti, tronchi e fronde ingombrano il passaggio, giacciono sulle macerie delle case. La popolana si volge a guardare i due Tedeschi, i quali questa volta sono loro a sorridere. Ancora pochi passi, poi una tremenda esplosione lancia in aria macerie e persone, avvolgendole in una nube di terriccio, di calcinacci, di informi rottami. Una pausa tragica. Un attimo di terrificante silenzio. Poi il gemito dei feriti. Un uomo poi si raddrizza sulle natiche, si netta il sangue dal volto, si leva in piedi. E’ ferito ma salvo. I Canadesi morti in gran parte, sfracellati dallo scoppio. I rimanenti agonizzano. Agonizza anche la popolana, che ha avuto le gambe amputate e il volto ferito dalla formidabile esplosione. L’uomo che fra tutti si è salvato, uno dei soldati tedeschi, si accosta alla moribonda: ella gli sorride con una smorfia e riesce a dire penosamente: «Sapevo che qui esisteva un campo di mine… perché vi aveva lavorato mio fratello… vi ho condotto gli Inglesi perché sono stata violentata da due Australiani… in una casa colonica dove ci eravamo rifugiati… ho seguito questa pattuglia… volevo vendicarmi … non sapevo come … la sorte mi ha favorito … ». L’eroina sta dissanguandosi; il suo volto diventa cadaverico. Il soldato tedesco non può far nulla per lei se non raccoglierne l’ultima parola: «Ho vendicato il mio onore». Il soldato tedesco si china sulla morente e la bacia in fronte. Quando risolleva il capo la giovane eroina è spirata. Questo ci ha raccontato il soldato tedesco dopo aver raggiunto i propri camerati all’altra estremità della città morta. Il soldato, che dopo un anno di soggiorno in Italia si esprime abbastanza bene nella nostra lingua, così ha commentato il suo racconto: «La ragazza non aveva indosso alcuna carta o qualsiasi documento di riconoscimento. Non ho potuto quindi sapere il suo nome». E si è rammaricato, il soldato tedesco, di non averglielo chiesto prima che ella spirasse. Il nome dell’eroina rimarrà sconosciuto forse per sempre, e così la storia di questa guerra ricorderà il leggendario episodio come quello della eroina riminese. Dell’anonima ma fulgida eroina riminese.

Articolo apparso su il "Corriere della sera" del 1, Ottobre, 1944

venerdì 5 aprile 2019

IL COMUNISMO D'AMORE DI SANT'AMBROGIO


Nel suo libro sulla vigna di Tabot S. Ambrogio ha scritto:
"Quousque extenditis, divites, insanas cupiditates? Numquid soli inhabitabitis super terram? Cur eiicitis consortem naturae? et vindicatis vobis possessionem naturae? In commune omnibus, divitibus atque pauperibus, terra fundata est, cur vobis ius proprium soli, divites, arrogatis? Nescit natura divites, quae omnes pauperes generat" (cap. I,2).

S.Ambrogio -tempera su tela, cm 109 × 75
Questa pericope inizia con una condanna della plutocrazia. La "cupiditas", la cupidigia o desiderio della ricchezza, viene considerata "insana", cioè una "aegritudo animi", sintagma latino che in italiano significa "malattia dell'animo" e che nel linguaggio patristico indica il peccato. Poco più avanti S. Ambrogio condanna la rivendicazione da parte dei ricchi del diritto alla proprietà privata ("cur...vindicatis vobis possessionem naturae?" e "cur vobis ius proprium soli, divites arrogatis?") e avanza il suo progetto di un comunismo agrario per l'Impero Romano (2) fondato sul comandamento dell'amore ("In commune omnibus [...] terra fundata est").

Questa esortazione patristica ci spinge a progettare spazi sempre maggiori di autogestione sociale nella nostra società.
Sant'Ambrogio continua il suo discorso prefigurando una società di uguali senza differenziazioni in ricchi e poveri, cioè oggi diremmo una società senza classi. Poco più avanti S'Ambrogio conclude dicendo che la natura "omnes similes creat", cioé che LA NATURA CREA TUTTI UGUALI (3). Nelle parole di S. Ambrogio troviamo la fonte del motto "liberté, egalité, fraternité" della Rivoluzione Francese...
Troviamo in questo testo anche la prima formulazione del sintagma "ius soli" come fonte di diritto: "cur vobis IUS proprium SOLI, divites arrogatis?". Il concetto di ius soli sarà applicato ai processi migratori poco tempo dopo da S. Agostino, allievo di S. Ambrogio.
Questo é il grande insegnamento del Santo di fronte a cui si inginocchiò l'imperatore Teodosio e che é alla base del Magistero Sociale di Papa Francesco.

Massimo Cogliandro
Note
(1) Il sintagma "comunismo d'amore" riferito ai Padri è di Troelsche. 
(2) La proprietà dei beni d'uso naturalmente è ammessa dalla Dottrina Sociale della Chiesa. S. Ambrogio fa riferimento ai mezzi di produzione della ricchezza sociale con particolare riferimento alla terra.
Oggi la Chiesa consente in certi casi la proprietà privata dei mezzi di produzione nel caso in cui sia orientata in senso sociale (il cosiddetto "privato sociale), altrimenti resta fermo il principio enunciato da S. Ambrogio.
(3) Ho tradotto "similes" con "uguali" dopo lunga riflessione. Sul piano antropologico siamo simili per gli accidenti legati alla nostra condizione attuale, ma sul piano ontologico la nostra "similitudo" va considerata in rapporto all'Ente Supremo increato, mentre propriamente sul piano antropologico la nostra "substantia" nella gerarchia degli enti è uguale. Certamente il "similes" ambrosiano va inteso in questo senso.

lunedì 21 maggio 2018

Ricordare Domenico Longo, quattro anni dopo. Quella querela contro Mario Monti

 


di Antonio Mazzella
La sera del 21 maggio 2014 andava oltre Domenico Longo, editore e direttore del periodico "L'altra voce", militante tradizionalista e sovranista, dirigente e candidato di Forza Nuova come presidente della provincia di Benevento. L'anno scorso l'abbiamo commemorato con un appassionato ricordo di Davide Scarinzi, che indicava i punti di fuoco del suo impegno:

 Ricordo le sue lotte durissime contro banche, usura, signoraggio. Sul suo giornale L' ALTRA VOCE Domenico scriveva del malaffare e del mondo che dal malaffare traeva ogni beneficio e vantaggio.E rischiava Domenico: come sempre rischiano gli Uomini Veri che mai si arrendono.

E a questa linea di intervento era legata sicuramente una delle sue iniziative più clamorose, la denuncia indirizzata contro l'allora presidente del Consiglio Mario Monti: nella querela il premier è accusato per alto tradimento, truffa e abuso di ruolo preminente. La querela del Sig. Domenico Longo è presentata il 2 gennaio 2012 e raccolta dal Procuratore della Repubblica di Benevento. Longo sottolinea che nella denuncia ha segnalato per gli stessi reati anche Corrado Passera, Piero Gnudi, Fabrizio Barca, Piero Giarda, Francesco Profumo, Paola Severino Di Benedetto ed Elsa Fornero. Anche il Sig. Domenico Longo – come anche il Sig. Orazio Fergnani precedentemente – ha invitato tutti i cittadini sensibili a replicare la stessa querela in tutta Italia. Un'iniziativa che ha una sua stringente attualità in questi giorni convulsi. 

venerdì 6 aprile 2018

La sacerdotessa dell'antivita

 Una foto, ormai diventata virale, mostra un'immagine di una Emma Bonino che, negli anni '70, assai molto meno incartapecorita di ora — con una pompa di bicicletta, in una sorta di tinello, pratica su una povera donna a gambe aperte un aborto con il metodo di aspirazione. A parte I'orrore sanitario e medico della faccenda, credo che questa foto riassuma bene la natura del personaggio.

Una piccolo-borghese proveniente da Bra che sull'onda di Pannella ha costruito sempre un'immagine ingiustificatamente giganteggiante di sé, che l'ha portata qualche anno fa persino ad essere candidata alla presidenza della Repubblica, in un passaggio piuttosto ridicolo della nostra storia nazionale.

Questa tal Emma Bonino di Bra si è riciclata recentemente agli ordini del grande capitalista e globalista Soros come rappresentante italiana della sua Open Society, quella associazione benemerita che fomenta da molti anni in tutto il mondo occidentale rivoluzioni variamente colorate che hanno come esito guerre civili. Come quella, ad esempio, costruita in Ucraina attraverso la presenza di milizie che hanno prodotto una vera e propria secessione civile e militare nel Paese, registrando una quantità impressionante di morti di cui nessuno parla, perché non fanno parte del regime del politically correct e a causa del cattivissimo nazionalismo antiglobalista di Putin. La Bonino litigò duramente, principalmente per questa ragione, con un morente Pannella, che era un uomo di cui si potrebbe criticare molto, ma che aveva sicuramente più coerenza morale di questa donna.

Una signora che, avversaria della vita in quanto propagandista di ogni forma di eutanasia e di aborto, ha pensato che la crisi demografica dell'Europa andasse sostenuta con un forsennato migrazionismo dall'Africa. Ma non un migrazionismo di famiglie, bensì di giovanotti che vengono qui inesorabilmente come criminali, stupratori o schiavi. Insomma, a questa sinistra globalista i migranti piacciono quando sono raccoglitori di pomodori a I euro. Questa falsa coscienza di grandi ideali esibiti e di luridissimi comodi personali pare aver stufato, perché, nonostante la ricchissima campagna che ha popolato aereoporti, città e stazioni, non ha neanche totalizzato il 3%, consentendo comunque alla Bonino di essere eletta per un vergognoso ripescaggio. Insomma dovessimo scegliere un paradigma negativo di una donna che sfrutta persino il proprio cancro come elemento di elemento di propaganda, continuando a portare un buffo cappellino afgano in testa, ci fa rifletter esull'orrore di un'incpacità critica di distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Ideologia antivita, migrazionismo spinto, globalismo finanziario, attacco alla sovranità nazionale, odio per i popoli e tatatofilia sono le cifre di questo personaggio che mostrano come icona di tuttòo ciò checi appare come male. Malgrado tutto ciò la Bonino sarà candidata ad un governo di grosse coalizioni in cui la fesseria colpevole e prezzolata dei 5 stelle e i residui di una sinistra morente faranno convergere il loro consenso. Uno scenario orrifico. Speriamo che non si realizzi ma, purtroppo, ci appare probabile.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone, persone che studiano e ferro da stiro

venerdì 30 marzo 2018

LA RAPACITÀ DEL BENE

Ideali umanitari e cinismo da pescecane: George Soros rappresenta al meglio i due volti dell'odierno potere globale


di Adriano Scianca


Quando si parla di George Soros. due sono le obiezioni:il complottismo e l'antisemitismo. Peccato che sia poi la realtà a fare giustizia di tali strategie difensive.  È stato infatti lo stesso Soros, in un' intervista rilasciata al Financial Times, a svelare gli obiettivi principali della sua «organizzazione filantropica»: bisogna combattere «patriottismo e populismo», cioè «l” ideologia dominante nel mondo» (I), ovvero «il nazionalismo». E poi Putin, in quanto «la Russia ha il potere di risorgere, basandosi sul nazionalismo», il che, par di capire, sarebbe un peccato mortale. Insomma, una  battaglia alla luce del sole, altro che complotto.
Quanto all'antisemitismo (Soros, il cui vero nome è György Schwartz, è nato in Ungheria da una famiglia di origine ebraica), basta ricordare il lungo braccio di ferro tra il magnate e Benjamin Netanyahu
Il premier israeliano sostiene che ci sia lo zampino dello speculatore dietro le recenti proteste di 20 mila immigrati africani che Israele, senza tanti complimenti, ha deciso di mettere alla porta. A quanto pare, quindi, si può criticare Soros senza essere né complottisti né antisemiti, dato che i suoi obiettivi sono palesi e che le sue manovre indispettiscono anche degli ebrei. E tuttavia la logica, quando si trattano certi argomenti, lascia il tempo che trova.
Con un patrimonio personale netto stimato in 25 miliardi di dollari, Soros rappresenta le varie facce del pensiero dominante riunite in una sola figura: la rapacità del pescecane dell'alta finanza e i buoni sentimenti dell'amico delle «minoranze». La sua storia personale, così come ce l' ha raccontata  stesso. e del resto tutto un programma Scampato per poco ai nazisti in Ungheria, si è poi «fatto da sè» secondo una biografia tutta all' insegna del mito americano del self made man: fuggito dall' Ungheria in Inghilterra, si è messo a 
studiare filosofia presso la London School of Economics con Karl Popper, mentre lavorava come facchino alla stazione e cameriere in un night-club. Dopo la laurea, afferma di aver scritto a ogni amministratore delegato di ogni banca d'affari di Londra chiedendo un colloquio, ricevendo
solo porte in faccia, fino a che Singer & Friedlander lo avrebbe assunto come impiegato perché il suo amministratore delegato era ungherese.

Nel 1950 si trasferisce a New York per lavorare per F. M. Mayer. Nel 1970 fonda la Soros Fund Management. Nel frattempo comincia ad appassionarsi alla speculazione, possibilmente contro le banche centrali. Conosciuto come «l'uomo che distrusse la Banca d' Inghilterra», il 16 settembre del 1992 guadagno 1 miliardo di dollari in 24 ore, grazie a una speculazione che obbligò Threadneedle Street a svalutare la sterlina. Sempre il 16 settembre 1992, a seguito dell'annuncio che la Bundesbank avrebbe smesso di appoggiare il cambio fisso della lira italiana al marco tedesco, Soros insieme ad altri speculatori vendette lire allo scoperto. costringendo la Banca d' Italia a svalutare per compensare l'ormai insostenibile sopravalutazione della moneta. In conseguenza di tale azione, la lira riportò una perdita di valore del 30% e dovette uscire dal Sistema monetario europeo.
Soros è anche il fondatore di Quantum Group of funds, collegato ai Rothschild, ma, soprattutto, advisor di BlackRock, la più grande società di investimento al mondo. BlackRock,  fra l,altro, è azionista rilevante del la Deutsche Bank e lo era anche nel 2011, quando, annunciando la ven-
dita dei titoli di Stato italiani, l'istituto tedesco fece esplodere lo spread tra Btp e Bund causando la «resa» di Berlusconi e l'avvento di Monti.
Non dimentichiamo, poi, che BlackRock è nel capitale di due delle maggiori agenzie di rating, Standard & Poors (5,44%) e Moodys (6,6%), con la possibilità di influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni e obbligazioni private, e di poter incidere su prezzo e valore delle attività che essa stessa acquista o vende. Se ricordiamo bene il ruolo delle agenzie di rating nella caduta del Cav, il puzzle si completa: le stesse persone che fungono da arbitro e da giocatore. E, dopo la crisi indotta, chi fu che venne a «salvare›› 1'Italia?
Ma BlackRock, ovviamente, che oggi ha partecipazioni per quasi 2 miliardi nel sistema bancario italiano, ma anche nelle società quotate sul listino principale, a partire da Eni, Enel, Generali, Telecom Italia, Mediaset e cosi via. Ma non ditelo troppo a voce alta: non sarete mica complottisti, vero?