domenica 7 febbraio 2010

Il Big Bang del denaro

Pubblichiamo questo scritto illuminante di Massimo Fini, il quale, in tempi non sospetti, presagiva l'attuale sfascio.
I peggiori mali dell'umanità cominciano con i quattrini

“Mai un oggetto il quale debba il suo valore esclusivamente alla propria qualità di mezzo, alla sua convertibilità in valori più definitivi, ha raggiunto così radicalmente e senza riserve una simile assolutezza psicologica di valore diventando un fine” (G.Simmel, Filosofia del denaro.)

La capacità del denaro di crescere come un tumore sul corpo che gli ha dato vita sino ad invaderlo completamente, soffocarlo e distruggerlo, deriva dalla sua natura tautologica dalla sua attitudine ad autoalimentarsi. (...)
Il caso del Messico è solo il più conosciuto, ma rappresenta una frazione risibile dell'immenso circuito deficitario internazionale. Il cosiddetto "circuito del Pacifico", che coinvolge Est asiatico e Stati Uniti, è molto più cospicuo. Il Giappone presta quattrini ai Paesi asiatici a lui vicini perché questi possano comprare beni in Giappone. È vero che poi alcuni di questi Paesi (le cosiddette "piccole tigri") esportano a più non posso soprattutto negli Stati Uniti i quali però a loro volta, per sostenere il proprio enorme surplus di importazioni, si fanno prestare denaro dal Giappone da cui pure acquistano una quota rilevante dei beni.
Ma anche in Europa esiste un circuito deficitario. Tutti i Paesi dell'Unione Europea hanno, chi più chi meno, un deficit commerciale con la Germania, cioè importano dai tedeschi molto più di quanto esportino. Come fanno allora? Elementare: per poter comprare beni in surplus dalla Germania si fanno prestare i soldi dalla Germania.
Ci sono poi i 1800 miliardi (in dollari) di debiti dei Paesi del Terzo Mondo verso il quale ci si comporta su per giù come nel Messico: gli si presta denaro perché possano pagare gli interessi e poiché questi, di conseguenza, aumentano, gliene si presta ogni volta di più.
In generale, si può dire che quasi tutti i Paesi, industrializzati e del Terzo Mondo, non pagano le eccedenze delle importazioni con risparmi interni, cioè con denaro proprio, ma con soldi prestati da altri paesi. Tutti sono indebitati con tutti. Inoltre il sistema dei debiti che vengono pagati facendo altri debiti riguarda anche, in buona misura, la massa globale dei crediti alle imprese e al consumo (…)
Oggi, nonostante si sia in possesso di una tecnologia capace di forgiare materiali quasi indistruttibili, i prodotti d’uso comune hanno una resistenza e un’esistenza molto brevi. Ciò è deciso a freddo. Se la “Gillette”, per fare un esempio, fabbricasse, come potrebbe benissimo, una lama che rade per un mese andrebbe in malora. Lo stesso accadrebbe, in grande stile, all'intero sistema industriale se producesse beni di massa resistenti invece che facilmente, e programmaticamente, deperibili.
Un altro metodo è quello di introdurre su beni già esistenti continue varianti tecniche, quasi sempre superflue se non peggiorative (la Cinquecento venne ritirata dal mercato era fatta troppo bene e durava a oltranza). Un terzo sistema è creare nuovi bisogni, da soddisfare con nuovi beni. È la pazzesca legge di Say: “L'offerta crea la domanda" resa possibile, si dice, dal fatto che mentre i bisogni primari sono limitati, e oltre a una certa misura saziano, quelli voluttuari sarebbero invece illimitati. Nella realtà si tratta di bisogni eterodiretti, drogati, cui l'uomo contemporaneo, orientato o piuttosto disorientato dalla logica del denaro, viene sapientemente educato e anche costretto (...).
Ma anche il grande produttore, l'imprenditore, il finanziere, colui che già il denaro professionalmente, che dal denaro, proprio per la quantità che ne possiede, potrebbe ricevere la libertà, è stretto in una morsa analoga. Già alla fine del secolo scorso Andrew Carnegie, magnate del trust americano dell'acciaio, notava: "Speriamo sempre di non avere più bisogno di ingrandirci e sempre ci accorgiamo che rinunciarvi significherebbe per noi un passo indietro". Sottolinea Max Weber: “Il guadagno di denaro e di sempre più denaro è così spoglio di ogni fine eudemonistico o semplicemente edonistico, è pensato con tanta purezza come scopo a se stesso, che di fronte alla felicità e alla utilità del singolo individuo appare come qualche cosa di interamente trascendente e perfino di irrazionale".
Lo psicologo Franz Brentano parla a questo proposito di "razionalizzazione di una condanna di vita irrazionale". E un finanziere acuto e sensibile, oltre che straordinariamente abile, come George Soros, creatore del supermiliardario (in dollari) Quantum Fund, confessa in un suo libro-intervista: "Sentivo il Fondo come una sorta di organismo, di parassita, che mi stava succhiando il sangue e prosciugando energie. Mi chiesi, sono più importante io o il Fondo? Il Fondo serve per il mio successo o sono io lo schiavo del Fondo? In che cosa consisteva la mia ricompensa? Più denaro, più responsabilità, più lavoro, più angoscia... Il Fondo raggiunse i 100 milioni di dollari, la mia ricchezza personale doveva ammontare più o meno a 25 milioni di dollari e io mi sentivo sull'orlo di un crollo. Tutto questo non aveva alcun senso".
Ma il meccanismo della coazione a ripetere non si sfugge. Anche perché preme su un elemento psiche umana che, per quanto in passato contrastato in vari modi, è indubbiamente presente in noi: la pulsione acquisitiva. Il possesso chiama possesso e lo facilita. E il processo è esaltato dal massimo del denaro (gia l’Ecclesiaste affermava: “Chi ama il denaro non è mai sazio di denaro”). E si capisce agevolmente perché: il denaro appaga in pieno questa sete di infinito poiché, in quanto entità astratta, il suo accumulo, a differenza dei beni materiali, non conosce limiti fisici. Né psicologici. Scrive Von Mises: “Qualsiasi cosa possa un uomo aver guadagnato, ciò rappresenta per lo più una mera frazione di quel che la sua ambizione lo spingeva a conquistare. Davanti ai suoi occhi c’è sempre gente che ha avuto successo dove lui ha fallito del vagabondo verso l'uomo con un lavoro regolare, dell'operaio verso il capo-officina, del dirigente verso il vice-presidente, dell’Uomo che vale trecentomila dollari verso il milionario.
Così in virtù della combinazione di un elemento oggettivo, il denaro, e di uno soggettivo, la pulsione acquisitiva, che si potenziano a vicenda nel loro tendere all'infinito, ci siamo creati il perfetto marchingegno dell'infelicità. Perché, con un processo ben noto in psichiatria, il livello di soddisfazione viene spostato sempre più in là diventando, di fatto, irraggiungibile. Salito un gradino ce ne sempre un altro da fare. Come al cinodromo i cani levrieri, fra le bestie più stupide del Creato, inseguono inutilmente la lepre di stoffa che fugge tre metri avanti al loro muso spinta da un meccanismo, cosi noi corriamo trafelati verso una meta che, per definizione, non possiamo raggiungere. A meno di non rompere il meccanismo.
Come il levriere è agganciato alla lepre da un filo invisibile di cui non si rende conto, cosi I'uomo lo è al denaro. Il quale, al termine del suo lungo cammino, si è dunque definitivamente emancipato dalla propria condizione servile, di mezzo. Svincolato dalla materia, depurato delle funzioni originane, ormai tutte interne al processo tautologico del suo accrescimento, sfuggito di mano ai suo creatore, il denaro è diventato conclusivamente, per la società e per il singolo, un fine.Il fine.
Almeno in questo Karl Marx era stato preveggente quando scriveva: "L’ingordigia di denaro, la smania di ricchezza porta necessariamente con sé il declino e poi la fine delle antiche comunità delle quali è l'antitesi. Esso stesso, il denaro, è la comunità e non può tollerare nient'altro al di sopra di sé". A questo punto il denaro è diventato la sostanza materiale dell'esistenza, è diventato la vera comunità". È diventato tutto. (...)
La velocità di circolazione e la moltiplicazione del denaro, diventate parossistiche, sono state favorite dalla sua progressiva smaterializzazione e dalla fine dell’aggancio all’oro. E’ vero che anche l’oro, in quanto denaro, era una convenzione basata sulla fiducia, non diversamente dagli impulsi elettronici rimandati dai computer che oggi tengono moneta. Ma, a differenza di questi, la sua produzione fisica era limitata. Sganciandosi dall’oro “il sistema ha disattivato il proprio dispositivo di sicurezza”. E’ come una mongolfiera che, liberata dall’intera zavorra, sale a velocità vertiginosa verso l’alto ormai fuori da ogni controllo. Ma in questa stratosferica ascesa del denaro c’è anche il presupposto della sua fine. Come aveva intuito Werner Sombart quasi un secolo fa è proprio “la spinta verso l’infinito”, l’illimitatezza delle mete, la forza che va al di là di ogni misura organica che porta il denaro, e il sistema che su di esso è stato costruito, all’autodistruzione(…)
Infatti, anche qualora il futuro non sia un tempo inesistente ”non durerà in eterno” come ammette lo stesso Mathieu. E ancor meno durerà il denaro. Il fatto che ci sia necessariamente una fine del denaro è, secondo Mathieu, “La ragione per cui esiste ed esisterà sempre l’inflazione, e il denaro perderà sempre, mediamente, valore nel tempo; l’inflazione non è altro che il valore denaro scontato al giorno del giudizio”.
Se ciò è vero si avvertono, da tempo, sinistri scricchiolii. La stragrande maggioranza dell’umanità, soprattutto in America latina, in Africa e in ampie zone dell’Asia, deve già oggi convivere con un’inflazione a due o tre cifre o con un’iperinflazione a tassi dal mille per cento in su. Mediamente, secondo Robert Kurz, il tasso globale d’inflazione è a tre cifre. Se i paesi industrializzati riescono a tenerla bassa è perché sono ancora in grado di scaricarla altrove(…)
Il giorno che il colossale volume del denaro in circolazione, o una parte consistente di esso, si presenterà all’incasso per essere convertito in beni, servizi e lavoro che non rappresenta più da tempo, forse da sempre, il sistema crollerà.
Ciò avverrà quando, venute alla fine meno le condizioni per il suo mantenimento, sarà caduta l’illusione che il denaro sia un valore invece di simularlo.
Ad ogni modo il giorno del Big bang non è lontano.

Massimo Fini da “il Giornale” di venerdì 11 settembre ’98.

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