sabato 17 ottobre 2009

I Cristiani e il Talmud

L’azione illuminatrice svolta energicamente nei riguardi del problema ebraico della "Difesa della Razza" di Telesio Interlandi si completa con l'edizione italiana, recentemente uscita a cura di questa stessa rivista, dell'opera di Mons. J.B. Pranaitis sul Talmud (1). L'autore russo originario del Turkestan, fu dottore in teologia e sacerdote cattolico, che raggiunse i più alti gradi dell'insegnamento con la nomina a professore d’ebraico nella Università Imperiale di Pietroburgo, cattedra che egli tenne per molti anni. Il Pranaitis fu uno dei più documentati assertori della necessità di fronteggiare il pericolo ebraico. L’opera in questione uscì nel 1892 col titolo Christianus In Talmude, sive Rabbine doctrinae de Christianis secrata ed ebbe la sorte toccata a gran parte dei libri intesi a divulgare i segreti rabbinici: fu trafugata e fatta scomparire quasi prima che potesse esser conosciuta adeguatamente e diffusa. La nuova edizione italiana riproduce integralmente quella originale, perché si compone delle fototipie delle pagine di quest'ultima, ove si trovano i testi ebraici con la loro traduzione latina a fronte: vi si aggiunge però la traduzione nella nostra lingua. In più, una pregevole introduzione a cura del compianto Mario de' Bagni circa l'origine e la composizione del Talmud e circa i rapporti che esso ha con l'azione svolta dagli Ebrei nella storia.
Sull'inquadramento che, in questa introduzione, si fa del problema ebraico, qui non è il caso di fermarsi, perché il lettore, su queste pagine, già ripetutamente e da tempo ha avuto ampie informazioni nel riguardo. Così pure, in questa stessa sede abbiamo avuto noi stessi occasio­ne di mettere in rilievo, che è erroneo esaurire l'essenza dell'Ebraismo al Vecchio Testamen­to, considerare la tradizione ebraica come
spezzata dal Cristianesimo e sopravvivente solo in forme irrilevanti di commenti sussidiari quasi scolastici. Vero è invece, per usare le parole del de' Bagni, che “da tredici secoli e più gli ebrei accordano una importanza limita­tissima alla Bibbia, che considerano come un testo incompleto di scarsissima utilità, mentre assumono per codice religioso fondamentale il Talmud, gli insegnamenti del quale sono da loro scrupolosamente osservati anche e soprattutto quando si trovano in aperto contra­sto con quelli mosaici”. Nel Talmud è quindi racchiusa l'essenza e la norma del giudaismo, ed è al talmud che occorre attingere se si vuo­le avere una idea esatta dei giudaismo stesso. Solo che il Talmud si compone di due parti distinte, l'una, diciamo così, esoterica e l'altra riservata agli iniziati, vogliamo dire ai tradizio­nalisti, agli ortodossi al cento per cento, alla clique rabbinica. Sulla prima non mancano opere esaurienti d'informazione - anzi si trova­no spesso libri, e non solo di Ebrei, che mettono in risalto le “nobili” idee contenute nel Talmud strettamente aderenti a quella spiritua­lità dell'Antico Testamento, che passò anche in retaggio al Cristianesimo. Altrimenti stanno le cose nel riguardo della seconda parte del Talmud, e specialmente là dove si tratta della morale interna dell'Ebraismo, dell'apprezzamento dei non Ebrei, delle norme di condotta da seguire nei loro riguardi. É già significativo che al principio del settecento, quando comin­ciarono ad uscire delle edizioni quasi complete della letteratura rabbinica, da un sinodo di rab­bini autorevoli riunitosi in Polonia venne deciso che nelle nuove edizioni del Talmud in ebraico i passaggi relativi a questa parte interna, soprattutto dove si trovino insulti contro i cri­stiani e contro la loro religione, avrebbero dovuto esser lasciati in bianco e sostituiti da un segno convenzionale, affinché i rabbini avessero potuto insegnarne il contenuto solo verbalmente - e il de' Bagni riproduce il testo esatto di un tale decreto. Ma, in più, gli Ebrei non hanno risparmiato alcun mezzo per impe­dire la divulgazione di questo nucleo segreto e anti cristiano, tacitato ma non abolito, della loro dottrina. Essi hanno gridato al tradimento alla profanazione dovunque uno studioso abbia voluto illuminare il pubblico in proposito.
In ogni modo si è cercato di discreditare opere del genere, accusandole di falso e di tendenziosa diffamazione, diffondendo dubbi sulla capacità dell'autore sulla base del menomo appiglio;
oppure sì è provve­duto a far scomparire i libri dal mercato (come è accaduto con i libri dei came­rata Giovanni Preziosi e con altri testi segnalati dalla Redazione di "Avanguardia", ndr) con acquisti di massa quando non perfino a provvedere alla eliminazione della persona incomoda.
Il De' Bagni ricorda, nel riguardo, il caso tipico dell'abate Chiarini, che avendo intrapreso la traduzione in france­se de Talmud fu aspramente combattuto con libelli e insidie d’ogni genere e giunse a conse­gnare alla stampa solo il primo volume, perché una improvvisa e misteriosa morte nell’1830 lo tolse alla scienza a soli quarantun'anni nel pie­no vigore della salute e dell'intelletto. Del resto, anche Mons. Pranaitis, nell'epilogo alla sua opera, dichiarava di rendersi conto di tutto il pericolo a cui si esponeva, aggiungendo però: “Qualunque cosa mi possa accadere per quanto ho scritto, la sopporterò volentieri, essendo pronto a dare la mia stessa vita per rendere testimonianza alla verità”.
E non è escluso che in ciò egli avesse avuto un giusto presentimento, perché non si sa che fine egli abbia propriamente fatta, nel punto della rivo­luzione bolscevica scompare, di lui, ogni trac­cia; e, parimenti, è cosa che dà a pensare la morte recente, e essa stessa alquanto enig­matica, proprio del presentatore di questa edi­zione italiana dell'opera dal Pranaitis di Mario de' Bagni. Nello stesso Talmud (Sanedrin, 59) sta scritto: “il non-Ebreo che scruta la leg­ge è reo di morte”.
Per venire ora al contenuto del libro qui segna­lato, diremo che esso si compone di due parti principali; nella prima sono messe in rilievo le vedute del Talmud nel riguardo dei cristiani e della loro religione; nella seconda sono ripro­dotti i precetti che il Talmud impone all'ebreo di seguire contro i cristiani; comandando di evi­tarli, di disprezzarli, di danneggiarli nei beni, di mentire e di giurare il falso contro di loro in giu­dizio, di rifiutare loro qualsiasi assistenza, di sterminarli o soggiogarli senza pietà. Le cita­zioni in proposito sono raccolte con grande cura e, come si è accennato, con il testo ebrai­co a fronte, ad evitare ogni contestazione.
Quanto alle osservazioni del de' Bagni, non siamo interamente d'accordo con lui, quando egli fa una netta separazione fra Antico Testamento e Talmud, affermando perfino che il Talmud “s'intende ad esaltare il sofisma e dottrina di odio contro il non ebreo a detrimen­to dei precetti biblici” e che esso “è stato codi­ficato per tentare di cancellare e sostituire con molte parole le lineari verità della Bibbia”. Non bisogna vedere la Bibbia attraverso il Nuovo Testamento (arriveremmo anzi a dire, che mol­to nel Nuovo Testamento sarebbe piuttosto da vedersi attraverso la Bibbia) e non bisogna dimenticare che la Bibbia, malgrado la sua codificazione da parte della religione cristiana, rappresenta essenzialmente una espressione dell'anima semita e giudaica. Così, negli svi­luppi posteriori, mentre da un lato ci si sforzò di estrarre dall'antica Legge un contenuto eso­terico e metafisico attraverso la tradizione cab­alista, dall'altro si procedette ad adattazioni, esegesi e presunti “completamenti” atti ad andare incontro alle mene degli elementi giu­daici più bassi, alla tattica d'inganno, all'odio represso e alla volontà di potenza del “popolo eletto” disperso fra le varie nazioni. Anche a quest'ultimo riguardo, sarebbe difficile conte­stare che l'Antico Testamento, e soprattutto gli ultimi libri dei Profeti, contengano già in modo preciso temi che, con adeguati sviluppi, riap­pariranno non solo nel Talmud, ma perfino in documenti, come i famosi Protocolli dei Savi di Sion. Così stando le cose, non ha interamente torto chi ha rilevato che la polemica antisemita tende a descrivere la traiettoria propria al moto di un boomerang: iniziata originariamente dal cristianesimo, minaccia, alla fine, di ritorcersi perfino contro di esso con l'accusare gli ele­menti semitici che, malgrado tutto, questa fede contiene, col tendere dunque ad una revisione, col constatare - spesso in base a fatti precisi - come allo stesso cattolicesimo oggi riesca diffi­cile assumere una Posizione netta di fronte all'antiebraismo e al razzismo. Soprattutto in certe forme tedesche di antigiudaismo questo rivolgimento è ben visibile, mentre in quelle francesi si conserva essenzialmente la pre­messa cristiana e il punto di vista, nel quale si pone lo stesso mons. Pranaitis.Il quale ha ragione nell'indicare l'origine religio­sa di quella morale segreta ebraica, che il Talmud codifica nelle sue parti meno note e che di Israele fanno una Sostanza inassimilabile e nemica rispetto ad ogni diverso popolo. Noi diciamo con intenzione “diverso”, e non semplicemente “cristiano”. Certo, contro il cri­stianesimo, e non semplicemente per la pole­mica relativa al vero Messia e per le persecu­zioni subite, gli ebrei hanno un fatto personale. Ma non v'è dubbio che il loro stile di raggiro e di parassitismo e la loro volontà di potenza si manifestino in egual modo di fronte a Popoli non cristiani e non ariani.
Con questa osservazione intendiamo rilevare che mentre è legittimo, ed anzi necessario,
risalire alle radici originariamente religiose da cui, per materializzazione, secolarizzazione e spesso perfino per deviazione sono proceduti gli istinti più pericolosi degli ebrei, non si può definire questo substrato originariamente reli­gioso solo come anticristianesimo, ma bisogna penetrare un contenuto superiore e universale, qualcosa che ha effettivamente tratti sinistri e inafferrabili adombrati dall'antica formula, secondo la quale gli ebrei venivano, in genere, detti i nemici del genere umano. Si può del resto ricordare, a questo riguardo, che le accu­se mosse da Apione contro gli ebrei presso Caligola da un punto di vista “pagano”, non cristiano - come lo stesso de' Bagni lo rileva - sono un facsimile di quelle mosse degli anti­semiti odierni; anzi, nel perseguire i cristiani Roma antica credette originariamente di non aver a che fare che con una setta ebraica più fanatica e virulenta delle altre.
Spigolando ora nella raccolta dei passi del Talmud contenuti nel libro del Pranaitis, noi ne ricorderemo qualcuno dei più significativi e tipi­ci. Vi è anzitutto il noto passo del Cheritut (6 b) in cui si ricorda che, con riferimento agli ebrei, sta scritto: “Voi, o gregge mio, siete uomini, voi siete chiamati uomini, non i goim (i non ebrei il Midraso' Thlpiot, fol. 255 d) aggiunge: “Dio li creò in forma di uomini in onore d'Israele poiché i cristiani (Akum - termine originariamente applicato ai Gentili) non furono creati ad altro
fine se non quello di servire i Giudei giorno e notte, né mai deve loro esser data requie che cessino da simile servizio. Sconviene al figlio del re (che sarebbe l'israelita) che lo servano bestie in quanto tali, ma è conveniente che lo servano bestie in forma umana”. Interessa quest'altro passo, che sanziona, dal punto di vista ebraico, esattamente i provvedimenti raz­ziali contro i matrimoni misti, contro cui gli ebrei moderni tanto strepitano: “Se il giudeo contrae matrimonio con una Akum o con una serva (le due cose, dunque, si equivarrebbero), esso è nullo non essendo essi capaci di contrarre matrimonio; similmente se un cristiano o un servo sposerà una giudea il matrimonio è nul­lo” (Eben aeze) 44, 8). A tanto, vi è una giustifi­cazione superrazista, che ripete il tema contenuto nel passo precedente: “il seme di lui (Goi) deve esser stimato come il seme di una bestia” (Chetubot, 3 b, Tosei). In un altro gruppo di passi scelti dal Pranaitis (pp. 151 agg.), si vede che il Talmud anticipa altre disposizioni assunte dai regimi antisemiti; si prescrive infatti all'ebreo di evitare i cristia­ni, di isolarsi da essi, di non giovarsi né dell'insegna­mento cristiano, né dal medico o professionista o perfino barbiere cristiano - donde risulta che, in questa congiuntura, le dette misure antiebraiche non fanno che aiutare l'ebreo a restare fedele ai precetti della sua stessa tradizione. Come ragioni del divieto di com­mercio con i non-ebrei il Talmud adduce anzitutto la diversa dignità del popolo eletto, che non permette la familiarità con essi , poi il carattere “immondo”,idolatra e delittuoso della loro genia.
Da P 177 in poi abbiamo una scelta di passi, dai quali risulta che ai seguaci di “quell'uomo”, il cui stesso nome presso gli Israeliti, per mez­zo di una trasposizione di lettere, significa “Sia distrutto il suo nome e la sua memoria” (Gesù come Jesciu), il Talmud non può augurare se non che muoiano quanti sono, affinché gli ebrei possano esser liberati da quella che essi consi­derano la loro quarta cattività. Qualunque Israelita, nella misura delle sue forze, è quindi tenuto a distruggere i regni costituitisi secondo ingiustizia su tutta la terra, che è proprietà legit­tima solo d'Israele. Detestabilissimo fra tutti è poi per i Giudei quell'impero, la cui città madre è Roma. Essi lo chiamano Regno d'Esaù. Regno Edomitico, Regno della Superbia e dell'Empietà. Connessa alla rovina di Roma essi vedono la salvezza e la liberazione del popolo eletto - del resto, su queste stesse pagi­ne J.Evola ha documentato, attraverso i cosiddetti Libri Sibillini Ebraici, l'esistenza di un identico affetto antiromano nutrito dagli ebrei già nei tempi più antichi. Ma poiché non si spe­ra troppo che lo sterminio automatico dei goim avvenga a breve scadenza, il Talmud insegna che bisogna almeno distruggerli indirettamente, vale a dire nuocendo loro in ogni modo, dimi­nuendo la loro potenza e preparando loro la rovina. Il Giudeo non solo non deve aiutare o soccorrere l'Akum, ma, dovunque sia possibile, deve sopprimerlo o ridurlo in ceppi. Zohar, I, 25 b: “Coloro che fan del bene all'Akum non risor­geranno dopo la morte”: lbid., I, 160 a: “Farai loro guerra nei commerci. Quale guerra? S'intende la guerra condotta contro quella genia che ciascun figlio dell'uomo (ciascun Giudeo) è tenuta a debellare, allo stesso modo di come Giacobbe fece verso Esaù, il quale appartiene a quella gente; e cioè combattere con astuzia (e perversità) e dovunque sia necessario, combattere senza tregua, fino al raggiungimento del nuovo ordine (fino al com­pleto assoggettamento dei popoli della terra, conforme alla Promessa). E per que­sto io dico che debbono esser esaltati coloro che possono liberarsi (da quella genia) e dominarla”. Il passo “Il migliore fra i Goim merita di essere ucci­so” (Abada Zara, 26 b, Tosefot) è assai noto - si aggiunge, che chi sopprime un goim non commette pec­cato, ma offre a Dio un sacrificio graditissimo:
“Distruggi la vita del non- ebreo e spegnila. Sarai gradito dalla Maestà divina come colui che fa offerta d'incenso” (Sefer Or Israel, 177 b); “Nessuna maggior letizia può esser data a Dio benedetto di quella che noi gli diamo sterminando gli empi e i cri­stiani su questo mondo” (ibid., fol. 130). E Infi­ne l'espressione Più brutale e feroce già ricordata da Preziosi: E la morte loro avven­ga per occlusione della bocca, come si fa col bruto, che si estingue senza voce e senza favella” (Zohar, 11,119 a).
Di fronte a precetti simili, quelli che sanciscono l'usura, l'inganno, il falso giuramento, il furto a danno dei non-ebrei non sono dunque che mie­le. I Cristiani e i Goim, come servi o bestie al servizio dei figli d'Israele, appartengono al Giudeo con la loro vita e con le loro sostanze. Ogni mezzo è dunque lecito per ristabilire la giustizia e, come oggi si direbbe, lo “stato di diritto” e per recuperare quel che è suo proprio. Allo stesso modo, l'ideologia marxistico-comunista, considerando ogni proprietà come un furto fatto al proletariato, in ogni ladro vede un eroe e un antesignano dell'ordine nuovo, limitatosi a prendersi per sé un anticipo di quel che dovrà essere restituito. Alcuni testi: “Se la vita sua (del Goi) è (in mano d'Israele), tanto maggiormente lo saranno le sue Sostanze”. “Tutte le Sostanze dei goim sono simili al deserto; chi
primo riva ~e è ;) C5 oa Datra, 54
b). Nello Zohar; I, 219 b si legge: “Di certo la nostra prigionia durerà fino a quando siano distrutti sulla terra i capi dei popoli adoratori di idoli” - vale a dire, quelli che non adorano Il Dio d'Israele; precetto, questo, che presenta una curiosa corrispondenza con quelli dei Protocolli indicanti come mete essenziali dell'attacco ebraico tutto ciò che è monarchia e principio d'autorità dall'alto nelle nazioni del goim".
Abbiamo già rilevato che Roma è fatta partico­lare oggetto di espressioni d'odio da parte degli ebrei. Nell'Obadia Rabbi Chimscl scrive esplicitamente: “Ciò che dissero i Profeti negli ultimi giorni della devastazione del Regno di Edom si riferisce a Roma, come io stesso ho spiegato in saia (XXXIV, 1) al verso: Venite genti ed ascoltate. Poiché, quando Roma sarà devastata, allora sarà la redenzione degli Israeliti”. E Rabbi Abram nel Tseror ammor aggiunge: “Nella devastazione di Roma sarà l'immediata redenzione nostra". Il Messia ebraico è dato come distruttore di Roma - Rabbi Bescia scrive: “Così verrai a sapere a proposito dell'ultimo dell’ultimo Salvatore, che subitamente apparirà ai nostri giorni; egli uscirà dalla metropoli di Roma e sarà il suo distruttore”. Nel riguardo di queste idee, il Pranaitis si domanda, che cosa potesse inten­dersi nel riguardo di quella distruzione dell'impero romano e di Roma, su cui i testi insistono, in tempi, nei quali dell'impero roma­no non era rimasto nemmeno il nome. E uno strascico di reminiscenze antiquate? Può esservi qualcosa di più: può trattarsi del pre­sentimento della aeternitas di Roma, della sensazione, che il simbolo romano sarà sem­pre l’irriducibile ostacolo all'imperialismo mes­sianico del presunto “popolo eletto”. E come in precedenza su queste stesse pagine, impo­stando la questione ebraica, è stato detto, in realtà, l'antitesi vera delta volontà di potenza d'Israele non può esser costituita da idee particolaristiche, quindi nemmeno da punti di vista semplicemente nazionali o razziali, ma essa può sorgere solo nel riferimento ad una conce­zione superiore, supernazionale e universale del Regnum, spirituale e di segno opposto a quella giudaica: e ciò, almeno per l'Occidente, non può aver senso che nel riferimento a Roma. Così vedendo le cose, l'odio antiroma­no e la speranza che “Roma” sparisca dal mondo, espressi dalla letteratura talmudica, testimoniano di una sicurezza d'istinto, e di un potere visivo che vanno, purtroppo bisogna riconoscerlo, assai più in là di quello di molti antisemiti dagli incerti principi.
Un ultimo rilievo. Dalla lettura di questi estratti dal Talmud qualcuno può aver l'impressione che si tratti, in fondo, di vecchie tradizioni o superstizioni, suscettibili d'avere solo un interesse storico, perché la grandissima maggio­ranza degli ebrei moderni non ha con esse più nulla a che fare e ne sa molto meno di quanto noi ne sappiamo. Gli ebrei, a loro volta, si dan­no con ogni mezzo ad assicurare ostentata­mente che proprio così stanno le cose e che queste riesumazioni sono illegittime e tenden­ziose. La verità è tutt'altra. E inutile che qui riproduciamo ancora una volta tutte le testimo­nianze relative al fatto, che il Talmud dagli stes­si ebrei venne sempre considerato come l'ani­ma formatrice della razza ebraica. Parlar di razza con riferimento al piano puramente bio­logico non si può, nel caso degli israeliti, che fino ad un certo punto: sangui diversissimi hanno confluito in quel popolo. Qui si può assai più positivamente parlar di razza, qualo­ra la razza la si definisca soprattutto in funzio­ne di un modo d'essere, di uno stile di vita, di pensiero, di sensibilità, d'azione. Ora, esatta­mente in questi termini esiste una unità dell'Ebraismo in tutte le sue espressioni e in tutte le parti del “popolo eletto” disperso fra le nazioni e spesso notevolmente differenziato quanto al lato puramente antropologico. Ma proprio la Legge, la tradizione, e in particolare quella talmudica, stanno alla radice di una tale unità - essa è il vero cemento e il vero sigillo dell'Ebraismo. Ora, che i significati religiosi ori­ginari di tale tradizione in molti casi si siano cancellati, non significa che poco: la loro forza sussiste nel senso di una eredità, di una men­talità ereditaria, di una “razza dell'anima”, di forme, passate a valere in sé e per sé, indipen­dentemente dalla loro originaria e fanatica giu­stificazione religiosa. Perciò, riportarsi a testi, come il Talmud, non significa perdersi in riesu­mazioni di fisime superate, ma rifarsi alle origi­ni, cogliere in nuce ciò che, per via di processi vari, ha dato luogo a quelle “qualità” del­l'ebreo, che hanno imposto, alla fine, l'attitudi­ne di difesa e di contrattacco dei popoli ariani.

di Arthos
J.B. Pranaitis, "Cristo e i cristiani nel Talmud", Biblioteca della "Difesa della razza", Roma-Milano, 1939-XVII, pag. 247; £30.

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