Proscritti, orfani di una nazione scomparsa. Rompiamo l'accerchiamento psicologico di chi ci vorrebbe nel ghetto, nella fogna delle opinioni irricevibili. Navighiamo a vista nelle rovine elettroniche del nostro tempo per preparare il terreno culturale della riscossa ideale.
domenica 18 novembre 2012
mercoledì 31 ottobre 2012
Demonio-crazia
Premessa
lunedì 1 ottobre 2012
Dipartita – “Grazie Savino Frigiola per la tua battaglia e per la tua perseveranza…” di Giuseppe Turrisi
Lettere inviate e ricevute Paolo D'Arpini 2 ottobre 2012
Ci ha lasciato un uomo e per quanto mi riguarda un maestro. Ricordo con affetto le lunghe telefonate a parlare di economia immaginando una Italia libera dagli usurai. Una di quelle persone che non ti fanno giri di parole per imbambolarti ma chiamano le cose con il loro nome e ti dicono le cose cosi come stanno. Una delle poche persone che si incontrano sempre di meno. Aveva conosciuto Giacinto Auriti e fu prima suo discepolo e poi suo collaboratore in quella che fu (ed è) la battaglia contro la più grande truffa dell’umanità derivante dalla emissione monetaria a debito da parte di banchieri privati. Certamente una figura di spicco tra i vari collaboratori più stretti del professor Giacinto Auriti e certamente uno dei più determinati nel portare avanti la battaglia incominciata all’epoca del corso Post Lauream di “Perfezionamento in studi Giuridici e Monetari”, un corso unico al mondo istituito dall’università d’Abruzzo. Lo ha caratterizzato una passione per l’economia ma soprattutto per quella economia fatta da uno “Stato sociale”, prima che cadesse nelle mani dei neoliberisti e degli usurai dove si costruivano ponti, città, ferrovie, case popolari, imprese di stato, ecc. senza indebitare i cittadini di un solo centesimo; ciò si poteva fare perché c’era più etica, più onore, ma soprattutto c’era la sovranità monetaria e uomini di stato capaci di comprendere cosa significasse “avere la sovranità monetaria”. Ha scritto libri di economia come: “La Fabbrica del debito, dell’usura e della disoccupazione” Pragamteia Rimini 1997, “Alta finanza e miseria: l’usurocrazia mondiale sulla pelle dei popoli” di Savino FRIGIOLA, ed. Controcorrente 2008, questo libro è molto particolare, oltre che per la chiarezza, per i suoi innumerevoli allegati tra cui la storia dell’”Isola dei naufraghi”, la visura camerale della Banca d’Italia nel registro della CCIAA di Verona al n. 9554 del 1931 e molti altri. Sulla rete si trovano facilmente i suoi articoli ed i video delle sue conferenze. Chiudo riportando due stralci di articoli dove con estrema chiarezza sintetizza la situazione attuale.
“L’attuale violenta crisi economica ha scosso l’intera Nazione. Pesa una grande responsabilità di tutto l’apparato politico verso la totalità dei cittadini inasprita dalla sensazione diffusa che né la maggioranza né l’opposizione dispongano delle necessarie risorse culturali e della reale volontà per traghettare la Nazione fuori dalle secche economiche. Tutti ormai riconoscono che la crisi è stata generata dagli apparati bancari e monetari guidati dai privati che agiscono nella più assoluta autonomia, svincolati da qualsiasi controllo politico. Il signoraggio primario e secondario indebitamente incamerato dai banchieri all’atto dell’emissione monetaria, aggravato dagli interessi passivi stabiliti autonomamente da costoro sul debito pubblico e privato, che proprio l’attuale attività monetaria ha generato, determina la più impressionante e macroscopica speculazione mai concepita da esseri umani. Di fronte a questa situazione, l’impaccio della politica è di tutta evidenza: l’esecutivo non dispone di sufficienti risorse per far fronte alle esigenze sociali e di mercato, l’opposizione reclama a gran voce maggiori impegni di spesa, ma non indica come e dove reperire le necessarie coperture finanziarie. Occorre rapidamente ripristinare il corretto rapporto di fiducia tra l’elettorato e la classe politica, pesantemente compromesso dalla constatazione che mentre si è costretti a lesinare risorse per il sostegno dell’economia, dell’occupazione, della scuola, della ricerca e del sociale, si continua a corrispondere ai banchieri somme ingentissime reperite con l’alta tassazione e con l’incremento del debito pubblico. Poiché non s’intravede la soluzione a questo stato di cose, perdurando le cause, è assolutamente indispensabile interrompere questo perverso meccanismo e ritornare all’emissione monetaria diretta da parte dello Stato, come da centennale esperienza già felicemente compiuta.”
“Lo Stato italiano ha battuto moneta in prima persona e monetizzato il proprio territorio dal 1874 al 1975. Ciò ha consentito, subito dopo l’unità d’Italia di realizzare tutte le infrastrutture necessarie ad un nuovo stato, compreso i famosi palazzi e quartieri “umbertini”, ancora esistenti, senza imporre tasse e senza indebitarsi. Successivamente utilizzando sempre la moneta emessa da parte dello Stato si sono costruite le opere dell’Italia moderna: strade, autostrade, ponti, ferrovie, porti, aeroporti, centrali elettriche, ospedali, sanatori, colonie, le grandi bonifiche, intere città, i grandi complessi industriali, gli Istituti Assistenziali, le scuole, le università, tutte contraddistinte dalle inconfondibili linee architettoniche ispirate dal Piacentini. Anche tutte queste opere furono realizzate senza aumentare le tasse ai cittadini e senza aumentare il debito pubblico che anzi, sino al 1940 era rimasto stabile al 20 % (tra i più bassi della storia d’Italia) per passare al 25% nel 1945 a guerre finita. Successivamente si continuò a battere moneta da parte dello Stato, gli introiti così incamerati hanno contribuito in maniera significativa alla ricostruzione del territorio nazionale devastato dall’invasione nemica (all’inizio degli anni 70 il debito pubblico era sceso al 20 %).”
Grazie Savino.
Giuseppe Turrisi
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Commento ricevuto: “Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo.
Una persona semplice, col suo simpatico accento romagnolo, combattiva, umile, mai prepotente anche quando ci sgridava paternamente per le nostre ingenuità, riconoscente per la nostra passione, sinceramente dispiaciuto per le nostre sconfitte, con lieve sorriso compiaciuto per le nostre piccole vittorie.
Quando è stato il caso è venuto da noi, a Roma, a Napoli ovunque fosse necessario, a dare il suo contributo, il consiglio, l’approvazione o meno, sempre con l’obiettivo di aiutarci vicendevolmente.
Ci mancherai, molto, piccolo grande uomo, gigante tra i nani che spadroneggiano nel mondo”
(AlexFocus)
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Articoli di e su Savino Frigiola: https://www.google.com/search?client=gmail&rls=gm&q=savino%20frigiola%20paolo%20d’arpini
lunedì 21 maggio 2012
La FINANZA della R.S.I.
Premessa
mercoledì 25 aprile 2012
L’unica liberazione possibile
© Petrus Aloisius
martedì 17 aprile 2012
Milena: pennivendola del Sistema!
lunedì 16 aprile 2012
Fuori dall'euro: torniamo alla Lira!
lunedì 2 aprile 2012
Il “Sistema Law”
John Law |
Testo liberamente estrapolato dal testo: il denaro «Sterco del Demonio». Storia di un’affascinante scommessa sul nulla. di Massimo Fini
sabato 24 marzo 2012
La «sinistra» nella Repubblica Sociale Italiana
sabato 18 febbraio 2012
O la Borsa o la vita!
In poche parole l'illustre economista indicava ai suoi prediletti tre semplici mosse:
- si prenda il Wall Street Journal,
- lo si apra alle pagine delle quotazioni in borsa, e dopo averlo posto ad una certa distanza,
- lo si prenda di mira tirandoci sopra diverse freccette. Preferibilmente molte freccette perchè queste ripartiscono il rischio e riducono le perdite.
D'altra parte, già nel secolo scorso, il primo direttore dell'Economist, Sir Walter Bagehot, nel suo famoso libro, "Lombard Street", descriveva il mercato di Borsa come una grande bisca internazionale. Di qui il celeberrimo modo di dire: Quell'uomo "gioca" in Borsa.
In secondo luogo della Banca d'Italia prima e della BCE adesso. Prima perché non ha governato o perché non ha saputo governare. La vita di un economia si regge su alcune istituzioni, e se queste istituzioni non sono capaci di governare bene e, soprattutto, nell'interesse della collettività, è quasi scontato che certe cose accadano, prima o poi. Se questo tipo di "democrazia" ci ha portato allo sfascio o non è una vera democrazia, oppure non è un sistema adatto per governare. Quello che serve è un'unità di indirizzo tra economia e politica, poiché, all'origine dello sfascio, vi è il fatto inconfutabile che l'economia non è più al servizio della politica. In parole povere se tutti i ministeri più alti: Bilancio, Economia, Tesoro, devono (o no) essere composti da persone come quelle che vediamo oggi; oppure se al loro posto vi debbano essere persone del tutto sganciate dai poteri forti e perciò stesso veramente autonome. Ora, un altro punto: autonomia non equivale a completa libertà di fare i propri comodi. L'autonomia esige un controllo, altrimenti diventa un arbitrio. Purtroppo oggi le banche centrali e commerciali sono l'unica fonte di emissione monetaria. E, siccome manca assolutamente ogni sorta di controllo, la quantità di denaro emessa viene espansa o ristretta ad unico vantaggio dei potentati finanziari. L'inflazione e la deflazione sono - a tutti gli effetti - degli strumenti in mano alle banche centrali. Le Banche centrali attraverso l'elargizione di credito e la cosiddetta "stretta creditizia" sono riuscite a soggiogare intere nazioni. E lo fanno ancora oggi, di fronte ai nostri occhi. E' il cosiddetto andamento ciclico degli affari, un vero e proprio artifizio atto a condizionare e dirigere l'economia di un paese, a tutto vantaggio dei banchieri centrali.
Un raccordo fra la politica e la economia va dunque ristabilito, in modo tale da restituire la sovranità al popolo per la legittimazione reale della democrazia.
© Petrus Aloisius
martedì 14 febbraio 2012
Cesare Mori: l’uomo che colpiva la mafia duramente
Primo Nerbi saranno il nome e cognome provvisori del bambino nel periodo in cui vive nel brefotrofio di Pavia.
Il giovane, alto, diritto, volto energico, occhio sereno con riflessi d’acciaio, nel 1889 viene ammesso all’Accademia Militare di Torino. Nel 1895 è nominato tenente di artiglieria e assegnato a Taranto dove ottiene la prima medaglia al valore. Qui conosce Angelina Salvi che diventerà sua moglie, ma il regolamento del tempo lo costringe alle dimissioni per la dote non disponibile.
Cesare però manifesta la sua vocazione partecipando al concorso per entrare in Polizia, dove viene nominato Delegato di Pubblica Sicurezza e inviato in servizio a Ravenna.
Nel 1904 è assegnato con il grado di Commissario di P.S. a Castelvetrano (TP), compito che assolve con la stessa grinta e determinazione che mostrerà in seguito.
È deciso, coraggioso, incorruttibile e compie numerosi arresti. Subisce diversi attentati ma nessuno riesce a fermarlo. Spesso è costretto a usare metodi particolarmente duri e per questo è denunciato per abuso di potere, ma sarà successivamente assolto e amnistiato. Afferma il magistrato del distretto: “Abbiamo a Trapani un uomo che colpisce la mafia ovunque annidata!”
Cesare Mori viene chiamato in servizio a Firenze nel 1915 in qualità di vice questore, ma proprio in questo periodo scoppia la guerra e in Sicilia si diffonde il cosiddetto “brigantaggio”, fenomeno favorito dall’elevato numero di giovani che diserta la leva. Pertanto il nostro viene rimandato in Sicilia, a Caltabellotta (AG).
E qui il vice questore mostra ancora una volta il suo valore riportando notevoli successi, che gli valgono tra l’altro la medaglia al valore militare e la promozione a questore. Nell’occasione Mori dichiara che “il vero colpo mortale alla mafia lo daremo solamente quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d’india, ma nelle prefetture, questure, palazzi padronali e ministeri!”.
Negli anni successivi lo ritroviamo in servizio presso le questure di Torino, Roma e infine a Bologna. Arriva frattanto il 1921, anno ricco di fermento sociale per via dell’accanita lotta tra la materia e lo spirito, che si incarna nelle schiere contrapposte del socialismo e del nazionalismo. Ex combattenti, arditi e reduci sono attaccati da forze antinazionali ma rispondono colpo su colpo. Gli scontri tra le parti sono violenti e il disordine impera.
E Cesare Mori, in qualità di Prefettissimo, trova in punta di diritto il modo migliore per ristabilire lo Stato di diritto: non fare sconti a nessuno e catalogare tutti i contendenti più scalmanati come “sovversivi”.
Il 28 ottobre 1922 il Duce viene chiamato a presiedere il governo della concordia nazionale e frattanto il Prefetto va in pensione e si ritira a Firenze conducendo una tranquilla vita coniugale. Qui scriverà il libro di analisi della mafia: Tra le zagare oltre la foschia (pubblicato nel ’23 dalla Carpignani e da La Zisa nel 1988, nda).
Mussolini, l’Uomo della Provvidenza, coagula in un riuscito amalgama le istanze socialiste e quelle nazionaliste. Il capitale viene messo al servizio del lavoro in una nuova dottrina che rompe le antiche diatribe: è il certificato di nascita del fascismo. Il Duce visita la Sicilia nel maggio 1924 e nell’occasione si rende conto dei problemi che attanagliano l’isola, e della maniera di poterne venire a capo. “Il popolo siciliano ha bisogno di strade, acqua, bonifica, incolumità. Il fascismo cauterizzerà se necessario col ferro e col fuoco, la piaga della delinquenza siciliana”, sentenziò Mussolini. Affidarsi al cauterio: bruciare ma risanare. Non c’era polso più adatto all’operazione che quello del soldato Cesare Mori.
Il 28 dello stesso mese il Prefetto viene richiamato in servizio e inviato a Trapani. Il 20 ottobre 1925 arriva a Palermo come Superprefetto con l’onere di una missione chiara per conto di Mussolini: eliminare la mafia dalla Sicilia in tutte le maniere possibili. Mori ha carta bianca, e dal 1 novembre 1925 fino al 1929 conduce una battaglia spietata, con metodi spesso poco ortodossi ma necessari, suscitati però dalla bisogna e adeguati a piegare la psicologia degli avversari.
Tra le battaglie del Prefetto d’assalto, va annoverata senz’altro quella epocale del 1926: l’assedio di Gangi (Pa) che porta alla cattura di centinaia di gregari e capi mafia. L’azione è svolta con il coordinamento unico di Carabinieri, Poliziotti e Camicie Nere scelti tra ex combattenti e reduci della vittoriosa Prima guerra mondiale. La legge è applicata alla lettera dalla magistratura di competenza, diretta dal procuratore generale, Luigi Giampietro. Anche alte personalità fra cui il generale, nonché ex ministro, Antonino Di Giorgio, sono inquisiti. La lotta non si caratterizza però soltanto come campagna di polizia ma anche come insurrezione di coscienze. Un’autentica rivolta di spirito che risulta decisiva per il successo. L’eco dell’impresa e il temperamento pugnace varranno a Mori l’epiteto che l’ha consegnato alla storia: Prefetto di Ferro. Il Prefetto contadino va incontro al popolo, esorta tutti a difendere la dignità dell’uomo, si mette alla guida dei mezzi agricoli nelle terre sottratte alla mafia, conduce la bonifica integrale con autentiche sagre popolari, concluse con rito religioso e giuramento di fedeltà allo Stato. Significativamente, Mori fa ammainare le bandiere rosse usate per le segnalazioni e saluta a braccio teso il tricolore a Roccapalumba, Piana dei Greci e a Palermo, in piazza Politeama.
La sua azione di polizia arriva fino ai colletti bianchi. La corsa è irrefrenabile, anche S.E. si rende conto di essere giunto alle soglie del possibile e per questo motivo chiede al capo del Governo il consenso alla prosecuzione.
La risposta è lapidaria: Non abbia riguardi né in alto né in basso.
Molti mafiosi cercano scampo in America. Antonio Calderone, pentito di mafia, ne “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi afferma: “I mafiosi erano usciti impoveriti dal fascismo. Mio zio Luigi, un capo, un’autorità, si era ridotto a fare il ladro per guadagnarsi il pane!”. Anche Alfredo Cucco, medico oculista, segretario e deputato del Pnf che alcune macchinazioni avevano tentato di mostrare colluso, viene punito con l’espulsione dal partito. (Successivamente sarà completamente scagionato e dimostrerà la sua fede aderendo alla Rsi, nda)
Nell’occasione del conferimento della laurea in legge “honoris causa” a Palermo, il neo-dottore Cesare Mori, dirà: “La mafia è una attitudine morbosa specifica di determinati elementi. La polizia è nella funzione, civile milizia; nel fatto, azione. La mafia dà i sacerdoti, la malvivenza i fedeli”.
“Si poteva dormire con le porte aperte” e pertanto “santo” Mori aveva compiuto il miracolo. L’Italia gli è riconoscente, Mussolini lo fa nominare Senatore del Regno.
Adesso tocca allo Stato immettere la Sicilia nel giusto cammino verso il progresso di tutta la Nazione. Attacco e polverizzazione del latifondo e bonifica integrale, costruzione di infrastrutture per rendere competitiva l’agricoltura nell’ottica di inserimento nell’impresa africana.
Anche con questa carica, Mori si occupa della Sicilia ma dirà che “la misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura”.
Verso la fine del ‘29 viene nominato presidente del Consorzio per la bonifica integrale della Bassa friulana conseguendo democratici ottimi risultati. Arrigo Serpieri, l’ideatore della legge sulla bonifica integrale, gli aveva concesso il valore consultivo dei proprietari.
Nel 1932 la Mondadori pubblica il libro Con la mafia ai ferri corti, dove tra l’altro Mori, per fugare qualsiasi dubbio o incertezza nei denigratori e zizzanieri, afferma che la lotta contro la mafia ha avuto successo perché combattuta dal regime fascista nel nome e per volontà del Duce.
Vive negli anni successivi con la moglie Angelina a Pagnacco, frazione di Tavagnacco (UD). S.E. Cesare Mori, il Prefetto di Ferro, muore il 5 luglio 1942. Lascia una eredità materiale modestissima. Viene sepolto in una umile tomba a Pavia dove riposa il sonno degli Eroi.
Calogero Vizzini, capo mafia, dirà a Indro Montanelli in una sua intervista: “Si, di mano spiccia...ma òmmo era..”
Arrigo Petacco ha scritto il libro Il prefetto di ferro, pubblicato dalla Mondadori nel 1975. Pasquale Squitieri ne ha realizzato un film interpretato da Giuliano Gemma con musiche di Ennio Morricone.
Luglio 1943. I mafiosi aprono le porte della Sicilia agli invasori anglo-americani. Cesare Mori si rivolta nella tomba, il suo “spirto guerrier” freme, vorrebbe ancora combattere la mortale nemica…
Gangi grata ricorda l’epopea intestandogli una targa marmorea.
Il magistrato Giovanni Falcone, eroe vittima di mafia, qualche tempo prima di essere trucidato, alla domanda “chi glielo fa fare” rispose: “Il senso del servizio”. Allo stesso interrogativo il Prefetto di Ferro avrebbe aggiunto: “Per amore di Patria”.
mercoledì 1 febbraio 2012
Il “Club Bilderberg” e/o le strategie (semiocculte) della cricca mondialista
Mercoledì 01 Febbraio 2012